Angioplastica primaria con stent riduce mortalità del 3-5%

Angioplastica primaria con stent riduce mortalità del 3-5%«L’angioplastica coronarica con impianto di stent (pPCI), una procedura mininvasiva salvavita, è ormai entrata nella pratica clinica quotidiana e sta sconfiggendo la mortalità per infarto miocadico acuto», così Giuseppe Tarantini, presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE).

Ogni anno in Italia si registrano circa 150 mila sindromi coronariche acute; l’angioplastica primaria, trattamento principale per trattare in fase acuta questa patologia, nel 2017 ha avuto un incremento del 3,9% per un totale di 36.876 interventi, pari a 609 per milione di abitanti.

«L’angioplastica primaria ha realmente rivoluzionato la cardiologia perché permette di effettuare contemporaneamente la diagnosi e l’immediato trattamento dell’infarto miocardico acuto, prima causa di morte nei Paesi occidentali», ha commenta Giovanni Esposito, presidente del 39° congresso GISE, svoltosi in questi giorni.

L’Italia è stata tra i primi Paesi europei a eseguire l’angioplastica primaria: alcune Regioni sono un modello per l’organizzazione della rete per l’infarto, con una riduzione della mortalità del 3-5%.

«Nell’ambito del progetto Stent for Life, promosso dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) e dalla Società Europea di Interventistica Cardiovascolare (EAPCI)», riprende Tarantini, «si è riusciti ad assicurare a tutti i pazienti italiani con infarto miocardico acuto pari opportunità di accesso tempestivo all’angioplastica primaria, anche attraverso la stesura di decreti regionali, con conseguente maggiore omogeneità di trattamento a livello nazionale».

Nelle Regioni che hanno aderito al progetto Stent for Life per assicurare a tutti i pazienti con infarto miocardico il rapido accesso all’angioplastica primaria (Piemonte, Veneto, Sicilia, Puglia, Campania), è stato raggiunto un importante obiettivo legato all’aumento del numero di angioplastiche coronariche con impianto di stent che, in alcuni casi, ha segnato una differenza positiva.

Se nell’ambito della cardiologia interventistica coronarica si sono raggiunti gli obiettivi prefissati quanto a numero e accessibilità delle procedure in tutta Italia, nella gestione della cardiopatia strutturale per il trattamento delle valvulopatie per via percutanea resta invece marcato il divario nel numero di prestazioni effettuate nelle varie Regioni e nell’accessibilità a tali procedure.

Con una media di 91,2 interventi di TAVI per milione di abitanti/anno e di 14,1 clip mitraliche per milione di abitanti/anno, con solo il 21% dei laboratori predisposti per effettuare entrambe le procedure, l’Italia è ancora sotto il volume procedurale medio in Europa.

Giuseppe Tarantini

«Il trattamento percutaneo della valvola aortica sintomatica ha registrato un aumento delle procedure di TAVI del 20,4% nel 2017 rispetto al 2016, ma con significative disparità territoriali riconducibili all’identificazione non univoca della procedura nelle schede di dimissione ospedaliera, al DRG e all’eterogeneità di rimborso dell’intervento, secondo policy differenti da Regione a Regione», dichiara Giuseppe Tarantini. «Questi aspetti irrisolti pongono il nostro Paese in una situazione di svantaggio rispetto ai sistemi sanitari europei più avanzati e proprio su questi aspetti l’interazione tra clinici e decisori potrà aumentare e uniformare l’accessibilità alle tecnologie più innovative».

L’evoluzione tecnologica, l’esperienza crescente e l’accumularsi di evidenze scientifiche hanno spinto GISE ad aggiornare il proprio position paper sui requisiti minimi per ospedali e operatori che eseguono procedure di impianto transcatetere di protesi valvolare aortica in pazienti con stenosi valvolare severa sintomatica, che definisce gli standard necessari per eseguire procedure TAVI.

«A sette anni dalla prima stesura, abbiamo cercato di aggiornare i requisiti strutturali e i livelli minimi di attività per i centri che effettuano TAVI, con l’auspicio di razionalizzare il processo e ridurne anche la dispersione geografica regionale», precisa Tarantini.

«L’Heart Team è il nucleo operativo centrale fondamentale per questa procedura: attraverso la sua interdisciplinarietà – ne fanno parte cardiologi interventisti, cardiochirurghi, chirurghi vascolari e anestetisti – assicura un lavoro di squadra teso a garantire il migliore standard di cura per il paziente con stenosi valvolare aortica».

«Un altro requisito fondamentale è avere un livello minimo di attività di 3 procedure al mese, vista la correlazione diretta tra volume procedurale e risultati clinici per cui tanto maggiore è il numero delle procedure eseguite tanto minore è il numero di complicanze con un impatto favorevole sullo stato clinico e funzionale dei pazienti».

In Italia circa il 3,4% della popolazione over 75 soffre di stenosi aortica severa. Il bacino potenziale di pazienti candidabili a TAVI è di circa 32.000 individui classificati come inoperabili o ad alto rischio e circa 15.500 pazienti a rischio intermedio, numeri che confermano come sia necessario lavorare in ambito scientifico e istituzionale per aumentare in modo significativo le procedure di TAVI, così da rispondere ai bisogni della popolazione su tutto il territorio nazionale.

Nell’ambito delle cardiopatie strutturali assume un importate significato il trattamento percutaneo della patologia della valvola mitrale che si configura spesso nell’ambito più complesso dello scompenso cardiocircolatorio, patologia in costante crescita nel nostro paese in relazione all’aumento della vita media e alle plurime patologie presenti nei pazienti di riferimento.

«Nei pazienti ad alto rischio operatorio non responder alla terapia medica tradizionale, la riparazione transcatetere della valvola mitrale si è affermata come valida alternativa terapeutica, con un miglioramento dei sintomi e della qualità della vita dei pazienti. Tutto questo si riflette sul SSN per una riduzione dei re-ricoveri per scompenso cardiaco», dichiara Tarantini.

«Nel 2017 sono state effettuate in Italia circa 900 procedure di mitraclip per il trattamento dell’insufficienza mitralica, procedura che si è mantenuta costante in termini di numero assoluto rispetto al 2016, ma per GISE rappresenta un’ulteriore sfida per i prossimi anni. Il nostro obiettivo infatti è definire percorsi di cura appropriati e omogenei attraverso un’attenta analisi dei dati della letteratura, con particolare riguardo ai registri seguiti dalla Società per indicare la corretta strategia di intervento in modo che i pazienti con indicazione a questo trattamento vengano indirizzati ai centri di riferimento».