Bisturi in fuga dall’Italia

238048SDCCMYK35Di questo passo tra dieci anni non avremo più chirurghi formati ed esperti e a farne maggiormente le spese saranno le categorie più fragili e povere come le famiglie con bambini, gli anziani, i soggetti con malattie croniche, le persone con bisogni speciali. È l’allarme lanciato dal professor Francesco Corcione, presidente eletto della Società Italiana di Chirurgia al congresso della società svoltosi di recente a Roma. «Le scuole di non riescono a riempire i posti a disposizione: negli ultimi anni abbiamo assistito a un calo di iscrizioni del 30% e ormai formiamo risorse che cercano fortuna all’estero». Le ragioni sono molteplici: un periodo di formazione più lungo rispetto all’estero, a fronte di minori soddisfazioni: mentre uno studente americano nei sette anni formativi necessari ha eseguito circa duemila interventi nelle varie specialità, uno italiano, dopo circa undici anni di studi, ha lavorato su cartelle cliniche e interventi minori e si avvia una vita da “precario”. Anche le soddisfazioni economiche e le prospettive di crescita non sono nemmeno confrontabili rispetto a quelle che lo aspetterebbero al di fuori del Bel Paese. A fronte di tutto questo emerge però un piccolo esercito di “chirurghi in rosa”: in dieci anni, infatti, le donne iscritte alle scuole di specializzazione in chirurgia sono aumentate dall’8% (2001) al 50% (2010).

Paola Gregori