Chirurgia metabolica: l’ultima frontiera della chirurgia dell’obesità

Alessandro Giovannelli

È la chirurgia metabolica l’ultima frontiera della chirurgia bariatrica, branca che interviene su medi e grandi obesi che necessitano di un calo ponderale per migliorare lo stato metabolico e su alcuni pazienti diabetici.

A parlarci di chirurgia metabolica è Alessandro Giovanelli, responsabile dell’Istituto Nazionale per la Cura e la Chirurgia dell’Obesità del Gruppo ospedaliero San Donato, intervenuto al convegno “L’obesità severa: il vissuto e la gestione del problema”, nel corso del quale sono stati presentati i dati della ricerca omonima di GfK Italia. «Due i tipi di intervento che principalmente corrispondono a questa finalità: il by-pass gastrico e la sleeve gastrectomy. Si tratta di interventi che in qualche modo modificano in modo differente il tratto gastro-intestinale intervenendo solo parzialmente nell’assorbimento dei cibi. Nel tempo si è osservato che questi interventi hanno un effetto positivo e sinergico: le zone lasciate libere dal transito di cibo o che lo ricevono in modo differente, infatti, iniziano a produrre con maggiore intensità alcuni entero-ormoni, una categoria di sostanze endogene dell’intestino che hanno funzione regolatrice su tutto l’organismo e su alcuni organi, in particolare il pancreas. Come risultato si ha un miglioramento metabolico e, quando presente, un miglioramento del diabete. I risultati sono tali che negli ultimi anni la chirurgia metabolica è entrata di diritto tra le possibilità di trattamento per i pazienti diabetici e si sta imponendo anche tra endocrinologi e diabetologi».

La chirurgia, tuttavia, non è la sola arma contro l’obesità. Riprende Alessandro Giovanelli: «come per molte altre patologie a origine multifattoriale, anche l’obesità va trattata in modo diversificato e personalizzato. Serve quindi un approccio multidisciplinare. Quando un paziente si reca da noi viene sottoposto a una serie di valutazioni, alcune sono strumentali, altre cliniche. Deve quindi sottoporsi a varie visite (nutrizionale, endocrinologica, psicologica-psichiatrica, fisiatrica, cardiologica e respiratoria): in questo modo delineiamo un quadro complessivo del suo problema, delle ragioni che lo hanno portato ad aumentare di peso e delle malattie correlate. E comunque, prima di arrivare alla proposta chirurgica, va sempre percorsa una via conservativa».

Esistono dei criteri che portano il paziente all’intervento chirurgico, dettati dalle linee guida della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle malattie metaboliche. Oltre ad aver tentato un approccio conservativo sotto controllo medico, bisogna aver eliminato il dubbio che l’obesità sia secondaria a problemi endocrinologici puri o a malattie psichiatriche. Inoltre, è necessario calcolare l’indice di massa corporea. Vi è infine una discussione aperta sulla possibilità di operare pazienti con BMI tra 30 e 35, ma solo se affetti da diabete di tipo 2. Sotto il 30 non vi è indicazione operatoria: si interviene con altre terapie.

L’intervento chirurgico non è la fine di un percorso, bensì l’inizio. Il paziente che dimagrisce a seguito di intervento di chirurgia bariatrica deve essere affiancato da un team che lo aiuti ad accogliere la nuova immagine di sé che pian piano si crea. Sembra banale, ma queste persone spesso arrivano a non riconoscersi. Inoltre, essendo l’obesità una malattia cronica recidivante, è essenziale seguire negli anni i soggetti operati anche dopo l’intervento per valutare se insorgono complicanze, recupero del peso perduto e così via, in modo di intervenire per tempo. A volte sono necessari interventi correttivi negli anni successivi. In ogni caso, i pazienti non vanno mai abbandonati a se stessi, garanzia questa assicurata soprattutto dai grandi centri per il trattamento del paziente obeso».

Stefania Somaré