Convention Fiaso, il ruolo dell’innovazione tecnologica e del middle management

I 20 anni della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere ha costituito l’occasione per ripensare al percorso sinora fatto dalla Federazione, riflettere sui cambiamenti e sulle transizioni in atto e su quanta strada ci sia ancora da percorrere per continuare a garantire una sanità tra le migliori al mondo nel rapporto tra sostenibilità e qualità assistenziale.

I venti anni di Fiaso rappresentano venti anni di storia delle aziende italiane del settore sanitario, basti pensare che a oggi la federazione associa 137 aziende, oltre il 70% dell’intero Sistema Sanitario Nazionale.

Francesco Ripa di Meana

«Quarant’anni fa si istitutiva il nostro Ssn e venticinque anni fa le vecchie Usl venivano sostituite dalle aziende sanitarie. A distanza di tanti anni siamo ancora vitali, spendiamo meno di tutti gli altri Paesi paragonabili al nostro, siamo sempre ai primi posti delle classifiche per universalità e qualità delle cure e abbiamo il minor numero di letti per abitante perché abbiamo radicalmente mutato la nostra produzione, puntando su mininvasività degli interventi e continuità assistenziale».

Così il presidente Fiaso Francesco Ripa di Meana ha rivendicato in apertura della prima grande convention del management della sanità il ruolo determinante delle aziende a garanzia del diritto alla salute.
In occasione di questo compleanno – che coincide con quello dei 40 anni del Sistema Sanitario Nazionale, Fiaso ha organizzato a Roma tre dense giornate di lavoro strutturate in quindici sessioni, tavole rotonde, workshop e conferenze. Un’occasione di confronto, per “fare il tagliando” su principali temi del settore, dal lavoro quotidiano agli scenari che si prospettano per il futuro.

Uno spazio di confronto tra professionisti di settore e stakeholder (responsabili di imprese pubbliche e private ai massimi livelli, mondo accademico…) per guardare al cambiamento partendo proprio dai limiti e dalle prospettive future.
Ripensare dunque la sanità in maniera differente e secondo diversi asset.

Dopo la giornata inaugurale del 7 novembre, di taglio istituzionale, l’8 novembre il tema portante ha interessato i cambiamenti del lavoro, l’accesso ai servizi, le disuguaglianze, l’innovazione tecnologica e la governance di sistema.

La giornata conclusiva del 9 novembre è stata dedicata al Forum Management in Sanità. La sessione plenaria si è aperta con la presentazione di una ricerca sulla percezione dei nuovi ruoli e responsabilità del “middle management”, ormai spina dorsale della nuova organizzazione del sistema, per poi approfondire i temi della presa in carico assistenziale, della gestione integrata del rischio e delle tecnologie abilitanti per nuovi modelli di cura.
Fil rouge che ha contrassegnato la convention è stato l’incontro tra management e innovazione tecnologica.

L’importanza dell’innovazione tecnologica in sanità

Nel 2020 la spesa sanitaria globale si attesterà a 8,4 trilioni di dollari. Negli anni si è assistito a grandi cambiamenti: crescita e invecchiamento della popolazione cui si è accompagnato un generale miglioramento delle cure mediche e assistenziali.

Rimangono tuttavia forti disuguaglianze quanto a offerta sanitaria tra le varie aree geografiche e, anche all’interno della nostra Penisola – uno dei Paesi più vecchi al mondo insieme al Giappone – l’offerta di cure differisce, anche in modo significativo, da Regione a Regione.
In questo panorama la sanità del futuro deve cambiare quanto a logiche organizzative e modelli di business.

Un tassello fondamentale in questo scenario è l’investimento in tecnologie avanzate, utili tanto per la diagnostica quanto per la cura. Questa trasformazione porta con sé ulteriori esigenze formative per il personale medico e paramedico. La sanità di oggi si trova davanti un paziente più attivo e consapevole e necessita pertanto tendere sempre più verso una value based healthcare.
Per raggiungere questo obiettivo, però, alcuni step appaiono imprescindibili: occorre anzitutto cambiare il modo di lavorare, dal lato clinico, andando verso un sistema integrato, valutare, attraverso l’utilizzo di indicatori, esiti e costi delle strategie sul paziente, rivedere le modalità di pagamento (oltrepassando la valutazione per singola prestazione), favorire l’integrazione tra strutture separate e utilizzare piattaforme tecnologiche capaci di supportare tutto questo.

Il raggiungimento degli obiettivi è determinato dall’equilibrio tra investimenti, organizzazione robusta e strutturata, solida linea strategica e forte governance.

Il tema portante oggi anche nel nostro Paese, in linea con le tendenze mondiali, è quello delle patologie croniche. Dati mostrano come il 39% della popolazione italiana soffra di una cronicità. I pazienti che invece accusano più di una cronicità pesano per quasi l’80% sulla spesa sanitaria complessiva. La consapevolezza di questa situazione ha costituito un ulteriore motore di spinta al cambiamento, verso una maggiore condivisione dei dati e percorsi di riorganizzazione dei presidi ospedalieri sul territorio.

Occorre osservare che l’Italia si attesta a livelli di spesa sanitaria per abitante tra i più bassi di Europa: 27,3 euro a fronte dei 63 euro spesi dalla Svezia o dei 70 della Danimarca.
Se questo elemento costituisce un vanto a fronte di una sanità complessivamente efficiente, va evidenziato tuttavia che il 75-80% del budget complessivo occorre per gestire l’esistente, lasciando una parte assai residuale (20%) da investire in innovazione.

La sanità del futuro, tuttavia, ha bisogno di investimenti e, soprattutto, necessita di superare l’attuale frammentarietà del sistema attraverso una governance forte a livello centrale, una digital strategy chiara e la creazione/implementazione di nuove competenze, nuovi profili professionali e team multidisciplinari.
Sempre più, anche nel settore sanitario, idee competenze e risorse provengono da strutture collocate all’esterno del sistema come start-up, imprese, enti di ricerca, programmatori.

La digital innovation è infatti solo una faccia di una business innovation volta a generare valore e risultati in termini di qualità, efficacia ed efficienza per i cittadini.
Cesare Guidorzi, country manager Italia di InterSystems ha mostrato dati interessanti sull’impatto della tecnologia a favore della riduzione della spesa. L’impatto delle best practice ha ridotto la degenza media del 5%, con un risparmio di circa 140 milioni di euro l’anno. Anche le performance hanno un ruolo determinante, basti pensare che la riduzione di 3 secondi per visita (grazie a sistemi a risposta veloce) garantirebbe un risparmio annuo di 180 milioni di euro. Anche i piccoli miglioramenti, dunque, giustificano gli investimenti, che vanno visti come opportunità e non come costi.

Un interessante progetto presentato nel corso della convention è @home, sviluppato da PWC con APSS Trento. Si tratta di un progetto pilota messo in campo in soli 4 mesi e che ha interessato il settore delle cure domiciliari, consentendo a 300 infermieri di passare dagli appunti su carta al tablet in piattaforma condivisa per gestire le informazioni relative a ogni paziente seguito.
«Il risultato», ha sottolineato Andrea Mantovani, director Price Waterhouse Cooper, e-health, «non è quello che l’azienda ha imposto, ma quello che il team di lavoro ha creato».
Da una parte, dunque, strumenti utili per lo staff clinico e dall’altro quel che appare ancora deficitario è il servizio ai cittadini per quanto concerne prenotazioni online, pagamenti, ritiro dei referti.
Il percorso è ancora lungo, ma non può esserci innovazione non sostenibile e la sostenibilità del sistema ha comunque bisogno di innovazione.

La rete degli ospedali pediatrici

Uno dei focus della convention Fiaso è stato dedicato agli ospedali pediatrici, una realtà a sé nel panorama della sanità italiana per caratteristiche precipue non assimilabili alle altre strutture.

La sessione è stata inaugurata dalla firma del protocollo d’intesa tra l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e l’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani (Aopi). Uno dei punti cardine del protocollo è quello di garantire più diritti ai piccoli pazienti in corsia, in primis quello di non essere trattati come piccoli adulti ma nel rispetto della loro specificità.

A ridosso della giornata mondiale per i diritti del fanciullo (20 novembre), questa intesa tra il Garante e le 13 eccellenze pediatriche italiane, parte di Aopi, «ha l’obiettivo di far conoscere la Carta dei diritti dei bambini in ospedale», ha spiegato Paolo Petralia, presidente Aopi e direttore generale del Gaslini di Genova. «L’accordo di oggi», ha commentato, a sua volta, la Garante Filomena Albano, «rappresenta un passo in avanti nella promozione della salute delle persone di minore età».

La sessione ha preso dunque il via con l’intervento di alcuni direttori delle realtà pediatriche più importanti del Paese, dal Bambino Gesù di Roma al Meyer di Firenze, al Gaslini di Genova al Burlo Garofalo di Trieste, con l’obiettivo di offrire proposte migliorative di quella che oggi rappresenta un’eccellenza della realtà ospedaliera italiana, senza tuttavia tralasciarne i limiti ancora presenti.

Compito dell’Aopi è declinare la specificità pediatrica, una specificità che va considerata anche in termini gestionali, ovvero di sostenibilità dei sistemi. Occorre anzitutto sottolineare la costosità intrinseca della pediatria dovuta alla frammentazione dei punti di erogazione e alla dispersione delle competenze.

Inoltre, i piani di efficientamento in sanità hanno previsto la chiusura dei piccoli ospedali, concetto questo che, tuttavia, non può essere applicato tout court alla realtà pediatrica, la quale deve essere considerata come una realtà monospecialistica. Una specificità, quella pediatrica, che dovrebbe essere riconosciuta anche a livello di costi, in quanto solo il 45% di essi viene coperto dalle tariffe.

Altresì, non secondaria la circostanza che nel corso degli ultimi tempi si registrano patologie sempre più gravi a fronte di un numero sempre decrescente di specialisti della settore.

A fronte di questa situazione, si è avvertita l’esigenza di fare fronte comune, attraverso la circolazione delle informazioni, ed è così che è nata la rete Aopi.

Tuttavia, come accennato in precedenza, non possono essere nascoste le criticità del sistema, a partire da classificazioni che non tengono conto della specificità pediatrica. Aopi si sta battendo per l’inclusione nell’elenco di 31 DRG, raggruppamento omogeneo di diagnosi, ovvero un sistema che permette di classificare tutti i pazienti dimessi da un ospedale in gruppi omogenei per assorbimento di risorse impegnate – a fronte dei soli 7 a oggi presenti, ma soprattutto per un suo superamento.

Il sistema dei DRG, ha lamentato Aopi, risulta inadeguato per la pediatria, finendo per sottostimare e sottopagare l’attività pediatrica, un segmento tuttavia vivo e attivo anche a livello di ricerca, come ha mostrato il professor Luciano Cavallo, direttore del Dipartimento di Assistenza Integrata Scienza e Chirurgie Pediatriche, AOU Policlinico di Bari.

Lo studio condotto ha messo in luce le tipologie di ricerca più frequenti messe in atto dalla singola struttura pediatrica nell’arco di 24 mesi tra il 2016 e il 2018. Nel periodo evidenziato gli studi svolti sono stati oltre 2.000.

Il continuo confronto tra queste realtà di eccellenza ha già permesso di raggiungere importanti risultati nell’identificare approcci sostenibili alla cura dei bambini con malattie complesse e croniche e di migliorare la formazione di tutti i professionisti chiamati a curare i bambini. L’auspicio è che la rete Aopi continui a garantire anche in futuro i livelli di efficienza raggiunti nel settore.

Il ruolo del middle management in sanità

Un altro tema caldo della convention è stato il lavoro che cambia in una sanità che ha subito una profonda riorganizzazione. Angelo Tanese, direttore Asl Roma 1, ha riassunto i 40 anni del Ssn in tre fasi.

Si parte degli anni ’80 con le Usl, tutte uguali, con una popolazione media inferiore a 50 mila unità; già dopo 10 anni si comprende la necessità di un accorpamento di un sistema che appare troppo frammentato, localistico, inefficiente.
Così, tra il 1995 e il 2005 si ha una prima fase di aziendalizzazione in cui i modelli si differenziano soprattutto a seconda del direttore generale a capo di ogni struttura. In questo modo l’azienda acquista un’identità nel sistema locale.

Si tratta però di un sistema non ancora pronto e con direttori generali non selezionati. Fanno seguito la crisi economica e una stanchezza degli operatori. Il sistema ha tenuto ed è diventato più forte.

Da 670 Usl si è passati a 180 aziende e a un sistema fatto di minori risorse e maggiori incertezze che ha bisogno di un nuovo management per nuovi modelli di governance. Ed è proprio nel middle management, ovvero nel livello intermedio, che si individua la spina dorsale del sistema.
Di qui la ricerca, realizzata da Fiaso con il Forum Management Sanità, dal titolo “Il middle management nella sanità italiana: stato dell’arte e prospettive gestionali”.

Al progetto di ricerca hanno aderito 55 aziende e 585 manager. La ricerca è nata dalla crescente sofisticazione e complessità istituzionale e dal bisogno di avere squadre più coese in organizzazioni di più ampie dimensioni.

«Da un lato crescono responsabilità e incombenze affidate a professionalità mediche e non che si collocano tra il management apicale e i professionisti che gestiscono i servizi, ma dall’altro non ci si è soffermati quasi per niente sulle nuove funzioni svolte da queste figure professionali, quasi che le sfide della modernizzazione non li interessino», ha sostenuto Carla Collicelli, ricercatrice CNR-Itb Roma nel presentare lo studio.

La ricerca sul campo ha fatto emergere molti aspetti positivi sullo stato dell’arte degli assetti organizzativi, dal punto di vista sia del clima sia della percezione del ruolo.

Sono stati quindi evidenziati 10 profili di ruolo declinati in 5 cluster: i direttori di dipartimento, i direttori di presidio, i farmacisti ospedalieri, i responsabili acquisti e uffici tecnici e i risk manager.
Il profilo di ruolo è anche il frutto dell’unione di 15 competenze e 8 skills.
I profili di ruolo appaiono fondamentali per la programmazione di attività di formazione strutturate sulla base di gap rilevati in modo sistemico e utili a individuare una profilatura di competenze da utilizzare in azienda.
Il fine ultimo, è stato più volte ribadito, è il miglioramento della qualità dei servizi e una strada che porti a ulteriori vantaggi sul piano della sostenibilità.

Il ruolo del Risk Management in Sanità

La gestione integrata del rischio è stato uno dei temi della giornata conclusiva della convention Fiaso. Numerosi gli interventi in merito, da quello di Maria Grazia Cattaneo (segretario generale SITI) a quello di Andrea Minarini (vicepresidente CARD Italia), da quello di Matteo Tripodina (presidente AIRESPSA) a quello di Maurizio Gilioli (docente del Politecnico di Torino).

Gli speaker hanno evidenziato l’importanza crescente, che hanno assunto i “sistemi di gestione” nel miglioramento organizzativo delle imprese e nel loro controllo.

Di particolare interesse lo studio dell’organizzazione delle imprese in funzione del tempo, contrassegnata da parte degli studiosi nelle seguenti ere: quella della “non significatività”, in cui la consapevolezza circa l’esistenza dei pericoli che possono generare rischi assume un’importanza secondaria rispetto alla necessità di operare; quella della “regolamentazione”, in cui si reagisce alla non significatività attraverso l’introduzione di vincoli normativi da parte del legislatore; quella della “internalizzazione”, in cui la consapevolezza da parte delle organizzazioni di avere sotto controllo gli elementi critici diventa una necessità per la propria efficacia e per la propria affidabilità nel tempo.

Oramai è acquisita, dunque, la consapevolezza da parte di tutti gli stakeholder della “centralità e irreversibilità dell’approccio sistemico” nel garantire una gestione efficace dell’impresa, che duri nel tempo.

Un approccio, questo, che deve partire necessariamente dall’analisi dei pericoli esistenti in una determinata realtà organizzativa che, se non conosciuti e dominati, possono minare il raggiungimento degli scopi prefissati.

Secondo Gilioli, «un’analisi dei rischi adeguata non può prescindere dall’identificazione dei pericoli esistenti, di qualunque natura essi siano, pena la compromissione del disegno strategico».
La presenza di un’adeguata analisi dei pericoli e la loro combinazione, infatti, rende percorribile i contenuti di un’efficace programmazione.
In questo processo si avverte la necessità del contributo di tutte le conoscenze, esperienze, esistenti nell’ambito di un’organizzazione aziendale.

Da queste premesse parte una sana programmazione. Un’azione, questa, che va sottoposta a continue verifiche nel tempo, sia con riferimento ai risultati raggiunti sia in relazione al suo funzionamento.

Alla programmazione si accompagna la conoscenza delle norme vigenti, di norme tecniche, che, come ha riferito Gilioli, non inventano nulla ma recepiscono la realtà fattuale: è «l’esperienza a divenire norma».

Altresì, di assoluto rilievo la gestione delle risorse umane: è ormai assodato che il valore di un’impresa viene valutato anche in ragione delle risorse esistenti.

In alcuni settori, come quello bancario-finanziario, si assiste addirittura al tentativo di iscrivere a bilancio il valore delle risorse umane di un’impresa.

Particolare importanza assume, infine, la misurazione del funzionamento del sistema nel perseguimento della performance ottenuta, e ciò al fine di garantirne la continuità nel tempo.

«La missione dell’approccio sistemico, una volta colmate le eventuali lacune, è garantire positività», ha concluso Gilioli.

Elena D’Alessandri