Demenza: predirla con un test combinato

Demenza: predirla con un test combinatoÈ ancora uno studio (Sustainable method for Alzheimer’s prediction in Mild Cognitive Impairment: EEG connectivity and graph theory combined with ApoE (F. Vecchio, F. Miraglia, F. Iberite, G. Lacidogna, V. Guglielmi, C. Marra, P. Pasqualetti, F.D. Tiziano, P.M. Rossini Ann Neurol, 2018. doi:10.1002/ana.25289), ma ricercatori dell’Irccs Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli – Università Cattolica, in collaborazione con l’Irccs San Raffaele Pisana, stanno mettendo a punto un semplice test combinato in grado di predire, fin dai primi risultati, chi si ammalerà di una forma di demenza.
Si tratta, in particolare, di un doppio test che prevede un prelievo di sangue e un elettroencefalogramma da somministrare a tutti coloro che hanno già manifestato un lieve declino cognitivo (MCI), 20 volte più a rischio di sviluppare una forma di demenza.

Uno dei principali vantaggi di questo test combinato, oltre alla semplicità, è l’economicità: oggi si può discriminare chi dei soggetti con MCI si ammalerà di demenza, ma per farlo si deve ricorrere a Pet, RM e puntura lombare.
La ricerca è stata condotta su 145 pazienti con MCI che al tempo 0 sono stati sottoposti a esame del sangue ed elettroencefalogramma: il primo serve per valutare la presenza di una mutazione sul gene ApoE, correlata al rischio di Alzheimer; il secondo serve per capire in che modo sono connesse tra loro le diverse aree del cervello.

I pazienti sono stati seguiti nel tempo e 71 di loro hanno sviluppato demenza.
Il test ha dimostrato un’accuratezza fino al 92% e non ha dato falsi positivi ne’ false diagnosi.

Il prof. Paolo Maria Rossini, direttore dell’Area di Neuroscienze dell’Irccs Fondazione Policlinico Agostino Gemelli e ordinario di Neurologia all’Università Cattolica, spiega: «grazie a questo studio conoscere chi si ammalerà di demenza tra i soggetti a rischio sarà semplice e rapido, perché basteranno un prelievo del saungue e un Eeg eseguito in modo routinario ma analizzato con metodi sofisticati.

Oggi nella pratica clinica manca un test come questo, che potrà essere di grande aiuto sia per le persone con declino cognitivo sia per le loro famiglie, per iniziare il prima possibile i trattamenti medici e riabilitativi, introdurre le necessarie modifiche nello stile di vita e orientare per tempo scelte anche difficili che si è costretti ad affrontare in caso di diagnosi di demenza».

Tra le azioni che si potrebbero intraprendere a seguito di una diagnosi precoce vi è l’assunzione di farmaci già disponibili e più efficaci nelle prime fasi della malattia, oltre che il cambiamento di stili di vita, come la dieta, il controllo della depressione, l’attività sportiva.

Riprende il professor Rossini: «il test è utilizzabile da subito nella pratica clinica ma è previsto un suo “collaudo” all’interno di un progetto di ricerca comparativa denominato Interceptor, di recente finanziato da Aifa e Ministero della Salute. Nel trial il nostro e altri test saranno messi a confronto per valutare la loro accuratezza, i loro costi e la loro facilità di esecuzione all’interno di un modello organizzativo su scala nazionale».

Purtroppo il bando per partecipare a Interceptor è scaduto da qualche tempo.
Un’occasione che rischia di essere mancata, soprattutto perché del progetto hanno già parlato vari esperti internazionali nel corso di congressi di settore.

Lo studio, che è stato coordinato dal professor Rossini, con la collaborazione del dottor Fabrizio Vecchio dell’Irccs San Raffaele Pisana di Roma, del professor Camillo Marra, responsabile della Clinica della Memoria della Fondazione Gemelli, della dottoressa Francesca Miraglia, bioingegnere presso il Policlinico Gemelli, del professor Danilo Tiziano, della Genetica medica della Fondazione Gemelli, e del dottor Patrizio Pasqualetti, responsabile bio-statistico e direttore scientifico dell’Associazione Fatebenefratelli per la ricerca (AfaR), è stato pubblicato sulla rivista Annals of Neurology.

Stefania Somaré