Disegno di legge Gelli alle battute finali

Judge’s Gavel and stethoscope

Con 168 voti favorevoli, 8 contrari e 35 astenuti, in data 11 gennaio 2017 il Senato della Repubblica ha approvato il DDL n. 2224, intitolato “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, a firma del Responsabile Sanità del Partito Democratico, dott. Federico Gelli.
Al vaglio per l’approvazione definitiva stimata entro fine febbraio il D.d.l. che spera di risolvere il problema della medicina difensiva.

1. Introduzione del diritto alla sicurezza delle cure.
L’incipit della riforma è un’enunciazione di principio: “la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”. Con “sicurezza delle cure” il legislatore ha ribadito il dovere di ogni struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, di compiere ogni attività finalizzata alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie, nonché all’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative; dovere esteso, per espressa volontà della Commissione del Senato, a tutto il personale operante nella struttura, compresi i liberi professionisti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale.
Al fine di dare applicazione pratica a questo principio, la riforma prevede l’istituzione di tre figure:
1) il Garante per il diritto alla salute (presso l’Ufficio del Difensore Civico), potrà essere adito gratuitamente da ogni cittadino per eventuali segnalazioni di disfunzioni del sistema di assistenza sanitaria e, una volta verificata la loro eventuale fondatezza, potrà intervenire a tutela del diritto leso, con i poteri e le modalità – nel testo approvato dal Senato non ben specificati – stabiliti dalla legislazione regionale;
2) i Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, con la funzione di raccogliere dalle strutture sanitarie e sociosanitarie presenti sul territorio i dati relativi agli errori sanitari, alle cause, all’entità, alla frequenza e all’onere finanziario del contenzioso. Le singole strutture, d’altro canto, nei loro oneri di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario (c.d. risk management) di cui all’articolo 1, comma 539, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, saranno tenute a predisporre un’apposita relazione annuale consuntiva degli eventi avversi verificatisi, delle cause dei sinistri e delle iniziative intraprese in merito;
3) l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza nella sanità, acquisirà i dati dai ridetti Centri; si occuperà di individuare idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario, il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, nonché la formazione e l’aggiornamento del personale sanitario; riceverà, altresì, direttamente dalle strutture e dagli esercenti la professione sanitaria i dati relativi alle coperture assicurative obbligatorie.
Iniziative lodevoli sulla carta che potrebbero avere il merito di dare voce sia al paziente che usufruisce della prestazione sanitaria sia alla struttura che la fornisce, anche in un’ottica costruttiva e propositiva di miglioramento, ma che rischia di rimanere solo un’enunciazione di principio, se si considera che, per espressa previsione legislativa, questi sistemi dovrebbero essere attuati senza maggiori nuovi oneri a carico della finanza pubblica.

2. Il nuovo regime di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria.
Fra i cavalli di battaglia della Novella, vi è certamente la previsione di un “doppio binario” di responsabilità nei confronti del paziente: se da un alto, infatti, in armonia con quanto ha sempre insegnato la giurisprudenza, viene ribadito che la struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, in sede civile, risponderà contrattualmente per le condotte dolose e colpose degli esercenti la professione sanitaria di cui si avvale, anche se scelti dal paziente o non dipendenti; dall’altro, ridefinisce completamente la responsabilità del personale sanitario.
In ambito penale (art. 6), viene introdotta la nuova fattispecie di reato di cui all’art. 590-sexies Codice Penale (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) per cui l’esercente della professione sanitaria non sarà punibile per la morte o le lesioni personali di un paziente:
– se il fatto è stato determinato da imperizia (=incapacità tecnica);
– e sempre che, la condotta imperita sia stata comunque conforme alle linee guida definite e pubblicate ai sensi di legge (Cfr. infra), ovvero, in mancanza di queste, alle buone pratiche clinico-assistenziali;
-e sempre che le linee guida di cui sopra risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Sembra quasi di capire che in caso di morte o lesioni personali del paziente, l’operatore sanitario non sia punibile, pur non avendo dimostrato particolare esperienza ovvero capacità di applicazione delle nozioni teoriche, purché si sia attenuto pedissequamente alle regole scritte nelle Linee Guida.
Il rischio è che, nella pratica di tutti i giorni, il medico per tutelarsi preferisca comunque optare per una acritica applicazione delle Linee Guida pubblicate, per non doversi assumere l’onere, in caso di eventuali accuse, di dimostrare la sussistenza di rilevanti specificità del caso concreto che lo hanno legittimato a discostarsene.
Infatti, discostandosene, non potrà più avvalersi del “paracadute” di tale comma, che, come detto, esclude la responsabilità per colpa (imperizia) soltanto quando le raccomandazioni vengono applicate e lasciando, quindi, all’accusa l’onere di dimostrare che avrebbe dovuto disattenderle perché non adeguate alla specificità del caso concreto.
In parole povere, mentre nel caso in cui siano state rispettate le raccomandazioni di comportamento l’onere probatorio sarebbe in capo all’accusa, all’opposto spetterebbe all’operatore dimostrare con sufficiente valenza che nel caso specifico era assolutamente necessario discostarsi dalle linee guida.
Il rischio, pertanto, è che l’applicazione rigorosa di questa norma spinga l’attenzione del personale sanitario a spostarsi dal malato alla malattia. In altri termini, dal caso concreto alla linea guida.
In ambito civile (art. 7), la responsabilità del soggetto che fornisce la prestazione sanitaria – anche in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione o di ricerca clinica ovvero attraverso la telemedicina o, ancora, in regime di convenzione con il SSN (medici di medicina generale) – viene ricondotta, con una disposizione imperativa e, quindi, non derogabile neppure su accordo delle parti, nell’alveo dell’art. 2043 del Codice Civile, il che significa che risponderà solo a titolo extracontrattuale della sua condotta nei confronti del paziente, su cui graverà l’onere di dimostrare le accuse mosse al personale sanitario e di far valere i suoi diritti entro il più breve periodo di 5 anni (rispetto ai 10 che imponeva la precedente “Responsabilità da contatto sociale” di elaborazione giurisprudenziale, già comunque messa in discussione a partire dall’entrata in vigore della Legge Balduzzi nel 2012).
Unica eccezione a questa regola generale, l’ipotesi in cui l’operatore sanitario (libero professionista) abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione assunta direttamente con il paziente, quindi privatisticamente, nel qual caso il danneggiato, così come accade nei confronti della struttura, potrà godere del termine di prescrizione decennale e avrà il compito di dimostrare in giudizio solo il rapporto contrattuale e il danno patito, incombendo sul sanitario la prova liberatoria per andare esente da responsabilità.
Sia per l’una che l’altra “categoria” viene, in ogni caso, previsto che il Giudice, nella determinazione del risarcimento, debba tenere conto della condotta assunta rispetto alle raccomandazioni e le linee guida pubblicate ai sensi di legge, ovvero in mancanza alle buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che risultino adeguate alla specificità del caso concreto.
Ancora una volta, quindi, un richiamo a quelle indicazioni di comportamento clinico, che, per esigenze di certezza del diritto, il Legislatore (art. 5), per la prima volta, prova a istituzionalizzare mediante la previsione di un sistema di raccolta, conservazione e pubblicazione delle linee guida elaborate da enti pre-indicati iscritti in un apposito elenco regolamentato con decreto del Ministro della Salute – da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge – aggiornato con cadenza biennale: un sistema di accesso alle fonti scientifiche di riferimento che garantisca linee guida predeterminate, certe e di facile reperibilità nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e attraverso il sito internet dell’Istituto Superiore di Sanità, che si spera riesca a stare al passo con i tempi, laddove si consideri che la medicina è una scienza in continua evoluzione.
A chiusura di quel gruppo di norme che trattano il profilo della responsabilità del personale sanitario, l’art. 9, infine, introduce interessanti e favorevoli novità anche con riguardo alle azioni di responsabilità amministrativa (per gli esercenti all’interno di strutture pubbliche), di rivalsa (per gli esercenti all’interno di strutture private) e di surrogazione dell’assicuratore. Insomma, tutte quelle ipotesi in cui si tratta di recuperare direttamente dal soggetto materialmente responsabile dell’evento dannoso le somme versate al danneggiato.
Sia in sede amministrativa che di rivalsa, la responsabilità viene circoscritta ai soli casi di dolo e colpa grave, con l’ulteriore precisazione che il Giudice non potrà assumere argomenti di prova da quanto emerso nel giudizio civile instaurato dal danneggiato, salvo che l’operatore sanitario non ne abbia fatto parte. Inoltre (ai sensi del successivo articolo 13), è previsto che entrambe le azioni possano essere esercitate solo ed esclusivamente qualora il soggetto sia stato formalmente (mediante PEC o raccomandata con ricevuta di ritorno) e puntualmente reso edotto, entro 10 giorni, dell’instaurazione del giudizio promosso dal danneggiato ovvero dell’avvio di trattative stragiudiziali con il medesimo.
E ancora, ai fini della quantificazione del danno, nel settore pubblico, si dovrà tenere conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato. E, comunque, per ogni singolo evento, ma solo ed esclusivamente in caso di colpa grave, l’importo della condanna per responsabilità amministrativa azionata dal Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti, così come quello della surrogazione dell’assicuratore, non potrà superare una somma pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale (in tal caso dunque annoverando anche i lavoratori diversi da quelli subordinati e i rapporti di lavoro con prestazioni non annuali o occasionali), conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo.
Tuttavia per i tre anni successivi al passaggio in giudicato della decisione che ha accolto la domanda del danneggiato, l’esercente non potrà essere preposto a incarichi professionali superiori (rectius “blocco carriera”) e, comunque, la decisione definitiva verrà valutata dai commissari in sede di pubblici concorsi (rectius “una macchia sul curriculum”).
Mentre nel settore privato, in caso di colpa grave, la misura della rivalsa e quella della surrogazione dell’assicurazione, non potrà superare una somma pari al valore maggiore del reddito professionale ivi compresa la retribuzione lorda, conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo. Naturalmente questo limite di responsabilità non varrà per chi abbia svolto la propria attività all’interno della struttura, ma in regime libero professionale ovvero come mero libero professionista che si è servito della struttura per adempiere all’obbligazione contrattuale assunta direttamente nei confronti del paziente.
Inoltre, se l’operatore della struttura privata non è stato parte del procedimento giudiziale o stragiudiziale, l’azione di rivalsa potrà essere esperita solo a risarcimento avvenuto, e, comunque, entro e non oltre il termine di decadenza di un anno dal pagamento in favore del danneggiato.

3. E il paziente?
A queste nuove forme di tutela per il medico, che dovrebbero incentivare il paziente che vuole ottenere un risarcimento a rifarsi prima sul soggetto economicamente più solido (la struttura), con la conseguenza di garantire al personale sanitario di poter operare con maggiore serenità e senza appesantire i costi del SSN con iniziative inutili finalizzate solo a evitare possibili futuri contenziosi, il ddl Gelli affianca come ulteriore obiettivo quello di continuare a garantire una giusta tutela alle vittime di malpractice, introducendo anche delle vie più rapide e sicure per i pazienti che devono ottenere un risarcimento per i danni causati dalla sanità.
In tale ottica, la Riforma prevede, innanzitutto, precisi doveri di trasparenza in capo alle strutture sanitarie (art. 4), siano esse pubbliche o private, introducendo specifici oneri anche temporali, a cui dovranno essere adeguati tutti i Regolamenti interni entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge:
– fornire entro sette giorni dalla presentazione della richiesta da parte degli aventi diritto, e preferibilmente in formato elettronico, la documentazione clinica relativa al paziente;
– fornire entro massimo 30 giorni dalla presentazione della richiesta eventuali integrazioni;
– pubblicare sul proprio sito internet i dati relativi a tutti i risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio;
– pubblicare sul proprio sito internet una relazione annuale consuntiva degli eventi avversi verificatisi, delle cause dei sinistri e delle iniziative intraprese in merito;
– valutare e concordare con i familiari, o gli altri aventi titolo che ne facciano richiesta, l’esecuzione dell’autopsia, sia in caso di decesso intra-ospedaliero che extra-ospedaliero, e consentire che ciò avvenga alla presenza di un medico di loro fiducia.
Ma uno dei capisaldi della Riforma posto a garanzia dei danneggiati è l’obbligo di assicurazione, che, all’art. 10, viene ribadito, ampliato e precisato nei suoi contenuti.
Il comma 1, prevede, infatti, in capo alle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, un dovere di copertura assicurativa o di altre analoghe misure (c.d. autoassicurazione) che ricomprenda i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso la struttura compresi coloro che svolgono attività di formazione, aggiornamento, sperimentazione e ricerca clinica; e si estenda a quelle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero di convenzione con il SSN, nonché attraverso telemedicina.
Oltre che un dovere di fornire adeguata copertura (sempre con una polizza o misura analoga) per la responsabilità civile verso terzi anche agli esercenti la professione sanitaria (e ciò al fine di garantirli con riferimento all’ipotesi in cui il danneggiato esperisca azione direttamente nei confronti dell’operatore). Questo obbligo tuttavia non opera per gli esercenti di cui al comma 2 (Cfr. infra).
Da precisare, altresì, che tali misure assicurative dovranno essere soggette a pubblicità sul sito delle strutture, per consentire ai cittadini di conoscerne i contenuti nel dettaglio.
Il comma 2, prevede l’obbligo di assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio della medesima attività a carico dei professionisti sanitari che svolgano la propria attività al di fuori delle strutture suddette o all’interno ma in regime di libera professione o, ancora, in forza di un contratto diretto con il paziente.
E, infine, il comma 3, al fine di garantire efficacia alle azioni di rivalsa e responsabilità, introduce l’obbligo in capo a ciascun esercente a qualsiasi titolo la professione sanitaria di stipulare, con oneri a proprio carico, un’adeguata polizza per colpa grave.
Una disposizione che unitamente a quella dell’art. 12, che prevede l’innovativa possibilità per il paziente danneggiato di agire direttamente contro l’impresa di assicurazione (così come avviene per i sinistri stradali) con termini di prescrizione pari a quelli dell’azione esercitata (quindi 10 o 5 anni) e a quella dell’art. 14 che introduce il nuovo istituto del Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, con il compito di intervenire, salvo regresso nei confronti del responsabile:
– Qualora il danno sia di importo eccedente rispetto ai massimali previsti dai contratti di assicurazione stipulati dalla struttura e/o dal sanitario;
– Qualora la struttura e/o il sanitario risultino assicurati presso un’impresa che al momento del sinistro si trovi in stato di insolvenza o di liquidazione coatta amministrativa o vi venga posta successivamente;
– Qualora la struttura e/o il sanitario siano sprovvisti di copertura assicurativa per recesso unilaterale dell’impresa assicuratrice o per la sopravvenuta inesistenza o cancellazione dall’albo dell’impresa assicuratrice,
hanno certamente il merito di voler ridurre al minimo il rischio per il paziente di non essere risarcito per il danno subito.
Unico neo di queste previsioni, l’assoluta mancanza di ogni riferimento ai requisiti minimi e condizioni generali di operatività di queste forme di assicurazione, fatta eccezione per la previsione di retroattività e ultrattività di almeno 10 anni (art. 11), rimessi ad un successivo decreto del Ministro dello Sviluppo Economico da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, a cui, peraltro, è subordinato anche il diritto di azione diretta contro l’assicurazione.

4. Novità procedurali per ridurre i tempi del contenzioso
La Novella prevede, altresì, che chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso per Consulenza Tecnica Preventiva ai fini della composizione della lite, ai sensi dell’articolo 696-bis del codice di procedura civile, dinanzi al giudice competente.
Nel testo licenziato in Senato viene, in realtà, mantenuta in vita anche la strada della attuale mediazione in alternativa al procedimento di cui all’art. 696-bis c.p.c., ma, per esperienza diretta, ritengo che questo strumento non abbia nessun vantaggio se non quello di far spendere ai cittadini dei soldi inutilmente. Poiché conciliare senza entrare nel merito è praticamente impossibile!
Riservo, pertanto, maggiori speranze nella procedura di Accertamento Tecnico Preventivo che, avendo come scopo la redazione di una Consulenza da parte di uno o più tecnici nominati dal Tribunale (sulla base di un albo che il Disegno di legge prevede venga aggiornato periodicamente, almeno ogni 5 anni, e integrato con le specializzazioni, oltre che con l’indicazione per ciascuno esperto di un curriculum dettagliato e degli incarichi ricevuti e revocati), potrebbe fornire delle risposte concrete circa la fondatezza o meno delle pretese del danneggiato in un periodo comunque contenuto (il termine massimo previsto dalla norma è 6 mesi), con l’ulteriore vantaggio di favorire effettivamente un tavolo di trattativa, dal momento che la Riforma prevede che la partecipazione sia obbligatoria per tutte le parti chiamate a parteciparvi – sotto comminatoria in difetto di condanna al pagamento delle spese di lite e di consulenza oltre che di una pena pecuniaria, indipendentemente dall’esito del giudizio – e anche per l’impresa di assicurazione, tenuta, peraltro, anche a formulare un’offerta, ovvero a comunicare i motivi per cui ritiene di non formularla.
Ove la conciliazione ex art. 696-bis non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, il danneggiato potrà iniziare il processo che, comunque, seguirà le norme del rito di cognizione sommaria previsto dagli artt. 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, e cioè un rito più snello in cui la definizione del giudizio dovrebbe ottenersi al termine di un’unica udienza, poiché il giudice, una volta sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, e compiuto ogni atto di istruzione ritenuto più opportuno in relazione all’oggetto, provvede immediatamente all’accoglimento o al rigetto delle domande, ma con la facoltà, comunque, di disporre la conversione del rito in ordinario (quindi con tutti gli attuali step di difesa fino a sentenza) qualora ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria.
Sarà, quindi, davvero possibile concludere un contenzioso in tempi così rapidi e con un’istruzione sommaria o, alla fine, la conversione del rito diventerà una regola non scritta, tale da vanificare la previsione legislativa?

5. Brevi considerazioni finali
Monitoraggio, trasparenza, certezza, garanzia, rapidità, risparmio per la spesa pubblica, questi, riassumendo, i principi ispiratori della Riforma.
Senza voler anticipare frettolosi commenti – allo stato ancora prematuri, dal momento che per un giudizio puntuale sarà necessario attendere, certamente, l’approvazione definitiva del testo di legge, ma, soprattutto, i prossimi passi, e, così, l’applicazione sul campo di questa Riforma e i successivi interventi ministeriali – la sensazione è che questo testo, più che una vera e propria Riforma storica come qualcuno l’ha definita, sia ancora una mera dichiarazione di intenti, una lodevole teoria che, tuttavia, ha ancora diversa strada da fare per ottenere i risultati che si è prefissata.
Si veda ad esempio, l’assoluta discrezionalità da parte delle Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano nell’affidamento al Difensore Civico della funzione di Garante della Salute Pubblica; o, ancora, la previsione che l’istituzione dei Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, così come dell’Osservatorio delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, debba avvenire senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, il che, come già accennato nel corpo di questo articolo, rischia di vanificare, ab origine, l’iniziativa di una rete che garantisca un costante controllo sugli eventi avversi e i contenziosi nell’ottica di un miglioramento dei servizi e delle prestazioni sanitarie.
O ancora, si pensi alla previsione di tutta una serie di decreti da emanarsi successivamente all’entrata in vigore della legge, che dovrebbero dare contenuti e concreta attuazione ad alcuni dei capisaldi della Riforma stessa:
– come la creazione di quel Sistema di raccomandazioni previste dalle Linee Guida, che oltre a guidare la condotta degli esercenti la professione sanitaria, dovrebbe orientare la valutazione del Giudice penale per escludere la loro punibilità in caso di imperizia ai sensi dell’art. 590 sexies del Codice Penale di nuova introduzione; e dovrebbe condizionare, altresì, anche la valutazione del Giudice civile all’atto della determinazione del risarcimento del danno;
– come la definizione dei requisiti minimi delle polizze assicurative, le modalità e i termini per la comunicazione all’Osservatorio e per l’accesso a tali dati da parte di terzi, cui è subordinata, com’è ovvio che sia e per espressa previsione legislativa (art. 12, ultimo comma), l’esercizio dell’azione diretta da parte del soggetto danneggiato nei confronti dell’impresa di assicurazione.
È vero, il Disegno di Legge prevede dei termini ben precisi e anche ragionevoli (al massimo 120 giorni dall’entrata in vigore della legge) entro cui colmare questi “vuoti” legislativi, ma il vero problema è: questi termini riusciranno a essere rispettati?
E, ancora, l’introduzione di obblighi assicurativi, finalizzati, peraltro, anche a offrire al cittadino danneggiato e pure allo Stato in caso di azione di responsabilità amministrativa per colpa grave, maggiori garanzie di solvibilità, che, senza la previsione di sanzioni per il caso di mancata osservanza, sembra decisamente poco incisiva a livello pratico: per gli avvocati, ad esempio, l’ultima Riforma Forense ha previsto che la violazione degli obblighi assicurativi costituisce illecito disciplinare e può comportare anche la radiazione dall’albo. Questo è certamente un grande incentivo al rispetto di questo onere. Forse sarebbe, quindi, il caso di prevedere espressamente anche in capo agli operatori sanitari delle precise conseguenze pregiudizievoli qualora decidano consapevolmente di non adeguarsi a queste novità normative.
Ad ogni buon conto, ripeto, si tratta, allo stato, di mere speculazioni intellettuali. Fra qualche mese, a seguito dell’entrata in vigore della legge, e quando l’esperienza, che come sempre è la migliore maestra di vita, ci darà risposte – ci si augura positive – e una visione sicuramente più completa dei risultati di questa Riforma, ci si potrà esprimere con maggior puntualità.

avv. Luigi Lucente
Studio Legale Lucente