La valutazione delle performance promuove la sanità di valore

La valutazione delle performance promuove la sanità di valore
Carlo Favaretti

È questo, in sintesi, il senso di quanto sta attuando Dove e Come mi Curo (DCMC), come spiega Carlo Favaretti (nella foto), membro del comitato scientifico di DCMC che dal 2013 lavora al censimento delle strutture sanitarie italiane pubbliche e private.

Medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva, Favaretti è stato direttore generale e direttore sanitario di diverse aziende sanitarie e ospedaliere nonché coordinatore nazionale del Programma OMS Ospedali per la promozione della salute. Attualmente è segretario e membro del Comitato Direttivo del Centro di Ricerca e Studi sulla Leadership in Medicina dell’Università Cattolica di Roma e presidente onorario della Società Italiana di Health Tecnology Assessment di cui è stato fondatore e presidente.

Dottor Favaretti, Dove e Come Mi Curo si rivolge ai cittadini…
Nel nostro Paese, fino a qualche anno fa, non c’era alcuna tradizione di quello che gli inglesi chiamano public reporting. Ha iniziato Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, attraverso il Programma Nazionale Esiti, a monitorare alcuni indicatori ospedalieri, approfittando del fatto che da molti anni in Italia esiste un’unica SDO (scheda nosologica). Questo progetto è rivolto alle esigenze tecnico-programmatorie e gestionali, con un linguaggio quindi per addetti ai lavori.
Dove e come mi curo, invece, attraverso l’impiego dello stesso database nazionale, si rivolge direttamente ai cittadini e ai pazienti, dunque alle persone che devono usare i servizi sanitari, con l’intento di aiutarli a orientarsi. Solitamente, infatti, una persona sceglie di rivolgersi a un ospedale perché ha già avuto in passato un’esperienza positiva o perché ne ha sentito parlare bene, dunque basandosi prevalentemente su esperienze soggettive, attraverso una modalità assolutamente informale. Noi ci poniamo, invece, il problema di aiutare i cittadini a scegliere sulla base di dati quantitativi, come per esempio il numero dei casi trattati per una certa patologia, che ormai è certo esser un parametro molto importante nella valutazione della qualità di un ospedale.

Come si scelgono i parametri per valutare le performance di un ospedale?
Si attingono dalla letteratura scientifica, sulla base dell’esperienza pluriennale maturata anche in altri Paesi: in Inghilterra, per esempio, il dettaglio delle performance arriva sino a individuare quelle di ogni singolo medico. Noi, in Italia, per il momento, stiamo lavorando sulle performance degli ospedali e dei reparti, senza spingerci al dettaglio individuale.

Un approccio che determina una graduatoria dove c’è il primo della classifica, ma anche l’ultimo: per un ospedale, questo aspetto è più un problema o un’opportunità?
In realtà la “graduatoria” che ne scaturisce è un effetto un po’ perverso di questa metodologia, perché la valutazione cui si mira è più complessa. L’aspetto più importante è dato comunque dalla possibilità di raffrontare i dati, senza cadere nell’autoreferenzialità: per i medici, questo modello, a mio avviso, è un’opportunità, perché spinge i clinici a essere più scrupolosi nella diagnosi e attenti nella cura dei pazienti; per i direttori generali delle aziende ospedaliere, invece, rappresenta un valido strumento per avere traccia delle performance relative, sebbene a livello regionale possano nascere preoccupazioni per gli ospedali che hanno casistiche molto basse.

Alla luce dei dati raccolti sulle performance, come sarà dunque il Servizio sanitario nazionale di domani, cosa dovrà cambiare?
Credo che dopo decenni in cui abbiamo solo parlato della centralità del paziente, sia giunta l’ora di centrare veramente i servizi sulle esigenze del paziente, dunque di iniziare a promuovere la cosiddetta “sanità di valore”. In che modo? Progettando reti di assistenza ospedaliera e non ospedaliera con percorsi ben codificati, perché i pazienti, quando hanno un problema, devono poter essere accompagnati e non lasciati soli. Ci sono già delle sperimentazioni in atto, in alcune Regioni, ma queste esperienze dovrebbero essere distribuite capillarmente anche rivedendo l’offerta complessiva del sistema sanitario, perché ci sono ancora ospedali che non hanno livelli di attività compatibili con gli standard di performance e non lavorano in rete con i servizi di assistenza primaria.

Peccato che per chiuderli bisognerà convincere l’opinione pubblica…
Sì, ma i cittadini sono spesso più avanti dei loro amministratori locali, che a volte sono più interessati al prestigio e all’indotto economico sull’economia locale, che non alle esigenze sanitarie delle persone: lo stiamo già osservando nelle giovani madri che scelgono di andare a partorire negli ospedali più sicuri, non in quelli più vicini a casa.
L’ospedale tutela la salute dei cittadini se ha una performance adeguata, altrimenti rischia di danneggiarla ancor di più, ed è proprio per mettere in grado i cittadini di decidere in modo più razionale che è nato e si è sviluppato “Dove e Come Mi Curo”.

Pierluigi Altea