Sepsi: un documento di consenso per definire le procedure diagnostiche

Sepsi: un documento di consenso per definire le procedure diagnosticheNell’individuazione e nel trattamento della sepsi i fattori “tempo” e “accuratezza della diagnosi” sono fondamentali.
La sepsi è la settima causa di morte in Europa e in Nord America, in Italia ogni anno si registrano più di 5 mila vittime e la tendenza è all’aumento.
La corretta diagnosi della sepsi rappresenta oggi la vera urgenza-emergenza in laboratorio e quindi l’anello debole che va identificato e corretto.

Per far fronte a questo problema ancora irrisolto che un gruppo di esperti italiani ha puntato l’attenzione, nel primo documento di consenso a livello europeo – realizzato con il patrocinio di AMCLI, SIM, SIMPIOS e SIFO e con il supporto incondizionato di Becton Dickinson – sulle procedure cui vengono sottoposti i pazienti nel percorso di diagnosi dell’infezione identificando le corrette modalità per individuare tempestivamente la sepsi e fornire delle linee guida su come effettuare una adeguata e standardizzata opera di formazione e informazione del personale sanitario coinvolto in questo processo.

«La sepsi è ormai un’emergenza sanitaria, al punto che in un futuro prossimo i morti da essa causati supereranno quelli per patologia neoplastica. Si tratta di una disfunzione d’organo generata da una risposta disregolata dell’ospite a un’infezione», dichiara Bruno Viaggi direttore del Dipartimento di Anestesia, NeuroAnestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze e membro del Gruppo Italiano per la Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva (GiViTI), Istituto Mario Negri, Milano.

«La sepsi è una sindrome tempo-dipendente e, se non trattata precocemente, può evolvere rapidamente in shock settico che attualmente, nonostante i progressi ottenuti in ambito diagnostico-terapeutico, mantiene una mortalità intorno al 50% dei casi».

L’emocoltura è l’esame cardine nella diagnosi di questa infezione.

Il documento di consenso punta l’attenzione in particolare sulla corretta esecuzione dell’emocoltura, individuando i principali punti critici, che riguardano fondamentalmente la disinfezione della cute del paziente, il numero di campioni di sangue prelevati e la tempistica di consegna dei campioni ai laboratori di microbiologia.

Numerosi studi condotti in pazienti adulti con batteriemia e fungemia hanno dimostrato che la quantità di sangue prelevato è una discriminante importante per fornire il materiale necessario all’analisi microbiologica e quindi per la buona riuscita dell’esame.

«Se si preleva una quantità di sangue ridotta diminuisce la sensibilità del sistema diagnostico e quindi non si ottengono risultati attendibili. D’altra parte, però, se la quantità di sangue prelevata è eccessiva cambiano gli equilibri di rilevazione rendendo inutile l’emocoltura. Le linee guida riportate nel documento di consenso raccomandano di riempire almeno 4 flaconi, anche se 6 flaconi sono la quantità ottimale. Troppo spesso, invece, ci si ferma a 2 soli flaconi», commenta Roberto Rigoli, vicepresidente AMCLI e direttore del Dipartimento di Patologia Clinica dell’ULSS 2 Marca Trevigiana.

Il problema, però, non riguarda solo la quantità di sangue prelevato: anche la microbiologia ribadisce il problema della tempistica. Troppo spesso i campioni prelevati non vengono consegnati nei tempi dovuti ai laboratori di analisi microbiologica, con il rischio di risultati errati perché la crescita di eventuali germi patogeni nel campione si arresta per la mancanza di adeguate condizioni colturali di crescita.

Altro punto di attenzione è la corretta disinfezione della cute del paziente e del personale sanitario, fondamentale per evitare di contaminare i campioni con batteri e/o funghi presenti sulla pelle del paziente o sulle mani dell’operatore.

«Eseguire una corretta antisepsi della cute del paziente è necessario perché i microrganismi presenti non inquinino il campione di sangue. Il documento di consenso indica le modalità corrette per eseguirla e i disinfettanti da usare, come pure di non toccare il sito di prelievo dopo la disinfezione se non con guanti sterili», dichiara Gaetano Privitera, presidente Simpios e direttore della UOC di Igiene ed Epidemiologia Universitaria e coordinatore dell’Area Funzionale Rischio Clinico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

In conclusione, il documento evidenzia che solo seguendo questo processo standardizzato in tutte le sue fasi è possibile mettere in campo, attraverso il coinvolgimento di tutte le figure professionali (clinici, infermieri, microbiologi, anestesisti, infettivologi), le strategie più adeguate per trattare tempestivamente la sepsi fin dalle prime ore dall’insorgenza.

Effettuare correttamente il prelievo per emocultura è fondamentale perché consente una diagnosi rapida e accurata, consentendo così al medico di scegliere la corretta terapia antibiotica da somministrare al paziente. Questo è fondamentale per salvare la vita del paziente, ma anche per combattere l’aumento dei batteri resistenti ai farmaci, che negli ultimi anni hanno avuto un aumento esponenziale.

Cristina Suzzani