Stampa 3D. Dalla ricerca alla produzione, questioni legali

foto1Al momento la stampa 3D viene usata principalmente per:
facilitare lo studio e la progettazione di un intervento chirurgico in vari ambiti, tra cui quelli ortopedico e addominale;
favorire la formazione dei nuovi chirurghi;
facilitare la comunicazione medico-paziente perché consente di far comprendere davvero al paziente qual sia la sua situazione affinché possa accettare meglio l’intervento e comprenderne le necessità;
ideare nuovi strumenti chirurgici utili per specifiche operazioni;
ideare dispositivi da impiantare nell’uomo, ancora in fase di studio.
Cosa dice la legge al riguardo? Ce lo spiega Alice Ravizza dell’Associazione Italiana di Bioingegneria. «La discriminante è proprio il passaggio da una fase di studio all’impianto in un preciso paziente. Questo aspetto è fondamentale perché modifica la normativa cui fare riferimento. Quando un dispositivo creato con stampa 3D viene impiantato in uno specifico paziente con l’intento di fargli del bene, la normativa cui fare riferimento è quella del medicale. La linea di confine è davvero sottile perché se, per esempio, uso un dispositivo per prelevare dei dati che poi saranno usati a fini statistici e non per migliorare la salute del singolo paziente, allora quel dispositivo non è considerato medico». Ma vediamo cosa comporta questo passaggio.
«Finché si lavora in fase di ricerca, tutto ciò che si deve dimostrare dal punto di vista legale è la sicurezza per il ricercatore. Gli studi di fattibilità sono ampiamente liberi, sempre che non prevedano l’uso su persona umana. Ma appena si tocca una persona umana il dispositivo deve essere considerato medico. E non finisce qui: se lavoro a un prototipo con l’idea di poterlo poi utilizzare su un paziente specifico a scopo di diagnosi o cura, e quindi di renderlo commerciabile, il legislatore mi chiede di assicurarmi che il prototipo sia il più possibile simile al dispositivo finito. Tecnicamente si dice che, per essere considerato significativo, il prototipo deve essere rappresentativo del prodotto che sarà poi immesso sul mercato: solo così i test effettuati per avere il via alla produzione avranno valore regolatorio. Ciò significa, per esempio, che non posso utilizzare una stampante con certe caratteristiche tecniche per fare le prove di un prototipo e poi usarne una di maggiore complessità o precisione per la produzione del dispositivo medico». Fatto che ha ancora maggior importanza per il tipo di bio-materiale utilizzato che deve essere identico nel prototipo sottoposto a test in vitro e in vivo e nel dispositivo che entrerà nel mercato. E che dire della responsabilità legale per l’immissione in commercio? Secondo la legge spetta al fabbricante. Ma dal momento che per la legislazione europea un’azienda produttrice deve avere sede o rappresentanza (mandatario) in un Paese Ue, se decido di importare un dispositivo stampato dall’estero per commerciarlo devo essere certo che chi me lo vende sia onesto e abbia lavorato bene, perché la responsabilità legale in questo caso è del mandatario che deve avere sede nella Comunità Europea». È bene esserne consapevoli prima di immettere in commercio dei dispositivi fabbricati in stati non appartenenti alla Comunità Europea. Prendiamo ora l’esempio di una struttura ospedaliera che sta studiando un tipo di protesi stampata tridimensionalmente, come potrebbe essere l’Istituto Ortopedico Rizzoli con la teca cranica». Cosa succede quando dal fare ricerca passa all’impianto su un paziente? «In questo caso si aprono due possibilità: l’ospedale può decidere di usare il dispositivo solo internamente per i propri utilizzatori (a fini di ricerca o addestramento), oppure può decidere di immettere il dispositivo sul mercato e poterlo usare per curare i pazienti. Nel primo caso, la pratica legale è alleggerita perché si usa una procedura semplificata resa possibile dal recepimento della Linea Guida Europea Meddev 2.1/1; nel secondo caso, invece, si deve fare riferimento alle normative relative ai dispositivi medicali perché l’ospedale diventa a tutti gli effetti un fabbricante». Vi è infine un ultimo aspetto da prendere in considerazione quando si decide di iniziare a commerciare dispositivi medici: la direttiva rende il controllo più restrittivo man mano che si sale di livello e la complessità del dispositivo aumenta. «Per tutti i dispositivi, il fabbricante è tenuto a verificare che siano sicuri ed efficaci, ma i controlli da parte delle autorità sono differenti. I dispositivi medici sono classificati in tre classi: ciò significa che per un dispositivo di prima classe basta un’autocertificazione dell’azienda produttrice, mentre per un dispositivo di terza classe è necessario passare il controllo sia sulla progettazione sia sulla fabbricazione. Questo aspetto è da capire molto bene quando si decide di lavorare a prototipi che potranno diventare dispositivi medici. Nello specifico, decidere di stampare in 3D un plantare per piede piatto è differente dal punto di vista dei controlli all’azienda che decidere di lavorare a una calotta cranica impiantabile. E, ancora, bisogna sapere che i controlli vengono effettuati prima di dare il via libera alla messa in commercio e poi annualmente, per assicurarsi che lo standard resti sempre elevato».

Stefania Somaré