Terapia in carrozza

0160403 evoluzione Treno.pptxLe cure non farmacologiche per la demenza e il morbo di Alzheimer possono contare oggi sul nuovo prototipo di scompartimento ferroviario virtuale realizzato dal Politecnico di Milano e frutto di un lungo lavoro di ricerca sui microambienti e contenitori affettivi che riducono gli stati d’ansia.

Un modello di carrozza ferroviaria delle dimensioni di 2,5 x 2,5 metri circa e dunque facile e rapido da installare presso i centri di cura è l’arma in più a disposizione delle terapie non farmacologiche per combattere gli stati d’ansia tipici dei pazienti affetti da demenza e morbo di Alzheimer. Sviluppato presso il Politecnico di Milano grazie al lavoro congiunto del progettista Alessandro Biamonti, dell’architetto Lapo Lani e del terapeuta Ivo Cilesi, il prototipo è in realtà il più recente passo in avanti di un percorso lungo e articolato. Di come l’esperienza del viaggio possa servire ad alleviare gli stati d’ansia dei soggetti inducendo un senso di quiete e agevolando la stimolazione cognitiva Cilesi si è già occupato con sperimentazioni mirate già a partire dal 2012. «La terapia del viaggio non esisteva», ha detto Cilesi a Tecnica Ospedaliera, «fino a quando non ho pensato in prima persona di strutturarla partendo in particolare da studi compiuti presso il Pio Albergo Trivulzio di Milano. È stato verificato che i viaggi, specie in treno, riescono ad attivare le capacità cognitive residue mitigando i disturbi del comportamento. Il treno diventa un contenitore affettivo». Il modello messo a punto al Politecnico replica in tutto e per tutto le caratteristiche di una carrozza vecchio stampo, ben diversa dagli open space tipici dell’alta velocità contemporanea e perciò più adatta a favorire la socializzazione. «Rispetto ad altre forme di spostamento», ha detto il terapeuta, «è più familiare a un più vasto numero di persone. Il trasporto su rotaia è cioè un mezzo sociale». Per adeguarlo alle cure non basate sui farmaci è stato necessario perseguire il massimo realismo dell’ambientazione, tenendo conto del fatto che «chi soffre di demenza vive in un qui e ora falsato ed è spesso spazialmente disorientato. Per questo genere di pazienti è essenziale pensare che si tratti a tutti gli effetti di un trasferimento vero, con tanto di assegnazione e vidimazione di un biglietto».

Diminuiscono i farmaci, cresce l’interesse

Una volta preso posto in carrozza – il viaggio può riguardare un solo individuo oppure gruppi di pazienti sotto la supervisione di operatori opportunamente formati – ci si rilassa, si può leggere, si può insomma a pieno titolo entrare in quella che Cilesi definisce «la dinamica del viaggio». Mentre su uno schermo che imita alla perfezione forme e caratteristiche dei finestrini scorrono le immagini in alta definizione delle località attraversate. Sempre nel 2012 a Bergamo Ivo Cilesi aveva proposto un’escursione sulla linea da Milano a Lecco e d’altra parte la durata della gita sui generis è varia: in origine, per esempio, poteva oscillare tra un minimo di cinque e un massimo di quaranta minuti. «Lo scompartimento viene installato rigorosamente all’interno di un’area di cura», ha spiegato lo specialista, «e offre al personale uno strumento aggiuntivo per la gestione degli stati ansiosi o di agitazione. In qualche modo il progetto è apparentato alla doll therapy, la terapia della bambola, in cui l’oggetto è considerato e vissuto come un bimbo vero. E qui, il treno è percepito come reale». L’idea sta confermando la sua efficacia e dopo i test realizzati in case di cura italiane (ancora a Bergamo e a Milano) o elvetiche (Lugano) sta attirando l’attenzione di enti e ricercatori statunitensi e latino-americani, in particolare. Poiché comprovati, e già oggetto di presentazione nel contesto di convegni internazionali e sulla stampa di settore, sono i suoi effetti di riduzione del ricorso ai farmaci.

«Si è registrata una diminuzione dell’uso dei farmaci», ha ricordato Ivo Cilesi, «sia sulle terapie di protocollo sia sulle terapie al bisogno e questo è importante perché non sempre il farmaco porta benefici e anzi non di rado ha un impatto negativo sui meccanismi cognitivi. In media i dosaggi sono scesi del 30% a seguito dell’esperienza di viaggio, registrando talora picchi del 50%».

L’importanza di un’organizzazione flessibile

Quanto ai miglioramenti ottenuti sul piano cognitivo, essi sono stati misurati al termine dei viaggi virtuali grazie al paradigma del Mini-mental state examination (Mmse o Mini-mental test) basato su una serie di trenta quesiti. In linea generale le risposte ottenute hanno consentito di osservare progressi significativi del linguaggio e della memoria sia a breve sia a lungo termine. E questo perché il viaggio in treno, oltre che un «contenitore affettivo» è un «contenitore dei ricordi». La scala utilizzata per misurare l’entità dei disturbi comportamentali alla luce di un punteggio validato è stata la Npi (Neuropsychiatric inventory), verificata prima e dopo l’esperimento. «Sino a questo momento», ha tuttavia precisato Cilesi, «disponiamo solamente di risultati osservazionali che devono essere analizzati con protocolli di controllo specifici. Ma l’interesse e le possibilità di applicazione di questa metodologia sono in crescita: adesso si debbono sensibilizzare gli operatori». La parola chiave, sotto questo aspetto, è flessibilità. «Da anni facciamo formazione sulle equipe tramite modelli assistenziali e sanitari dedicati alla demenza, ma centrando le strategie sulla persona singola e non sulla malattia in genere. Siamo convinti che l’ambiente ospedaliero classico non possa rispondere in toto alle esigenze dei malati di demenza e Alzheimer, cui servono equilibrio e l’idea di una casa affettiva. Formare il personale significa stimolarne l’aderenza al modello della gentle care in virtù di una organizzazione flessibile, capace di tenere conto dei bisogni individuali e di rispettare tempi e ritmi di vita di ogni persona, oltre che orientata alle terapie non farmacologiche». Non a caso anche il repertorio dei viaggi presenta ampi margini di personalizzazione, fra tratte di mare, montagna, campagna o laghi, con video tratti da effettive esperienze di trasferimento in treno. Prevedono fermate che permettono ai viaggiatori di scendere e risalire, sebbene secondo Cilesi, «ciò che cura è il viaggio in sé e per sé. Rilassa, fa sì che si possano accantonare i problemi del momento e», ha continuato e concluso il terapeuta, «risulta impreziosito dalla condivisione. A bordo sono invitati ove opportuno anche familiari e parenti. Con risultati degni di nota, come il riconoscimento di persone, talora persino i figli, che in precedenza al paziente apparivano praticamente ignote».

Un modello unico e allo stesso tempo replicabile

Intervista ad Alessandro Biamonti, designer e professore associato del Politecnico di Milano.

Che cosa distingue questo treno, professor Biamonti, da altre simili esperienze precedenti?

Si tratta di un microambiente, da 2,5 x 2,5 metri che per il suo funzionamento necessita solamente di alimentazione elettrica e la cui installazione, effettuata da personale specializzato, può completarsi nel volgere di una giornata circa. L’ha progettato e brevettato il Politecnico di Milano ma a realizzarlo ha provveduto, su commessa, un’azienda esterna. In futuro, per una produzione su larga scala, non è da escludersi il coinvolgimento di realtà facenti capo al Politecnico stesso. Nelle fasi iniziali e nel corso di esperimenti precedenti sono stati utilizzati oggetti più rudimentali e un concept più essenziale. In seguito ho cercato di dare vita a un microambiente, appunto, fornito di caratteristiche precise e tali da permettere di vivere una esperienza realistica. Abbiamo verificato le criticità nell’uso degli spazi e laddove altri hanno usato per questo tipo di treni dei materiali di allestimento, noi abbiamo deciso di utilizzare la tecnologia delle pareti delle sale operatorie con unendole al laminato nanotecnologico FENIX antibatterico opaco. Lo sfruttamento degli spazi è stato ottimizzato, e l’effetto è decisamente superiore.

Quanto è durato il lavoro di ricerca e sviluppo e quali criticità avete dovuto superare?

Si è trattato di un processo lungo al quale abbiamo lavorato per circa cinque anni, occupandoci in qualità di gruppo di ricerca del Politecnico anche della ricerca di partner adatti. Il rischio latente per noi è quello di improvvisarci terapeuti e di mettere perciò le mani dove non dovremmo. Importante è il fatto che questo sia un prodotto ripetibile, che può essere facilmente spedito ovunque in Italia e nel mondo: non a caso, sta suscitando in più nazioni un vasto interesse. Ma l’oggetto, l’80% del progetto intero, deve essere completato con i video di viaggio, che devono avere una loro scaletta, e accompagnarsi alla formazione dei terapeuti curata, in assenza della quale avrebbe minor efficacia. L’effetto-viaggio a porte chiuse è quanto mai realistico e io stesso dopo pochi istanti ho avuto l’impressione di spostarmi realmente, grazie alle luci soffuse, a un adeguato impianto audio e a un video professionale di viaggio che riproduce anche i rumori di frenata e fermata, il chiacchiericcio ecc. Il finestrino offre effetti tridimensionali ed è strutturato in modo da dare un’esperienza verosimile.

Come ha coniugato le esperienze da designer con le necessità della terapia non farmacologica?

Avevo già lavorato in ambito terapeutico, con un’esperienza di circa dieci anni, in ambienti per la riabilitazione cognitiva, dedicati alle terapie occupazionali per la demenza in generale. Lungo questo percorso ho avuto modo di conoscere, collaborando con il professor Cilesi, con l’Università di Siena e a progetti di interazione uomo-macchina, le terapie non farmacologiche. Queste ultime si sposano con il concetto di un design degli interni inteso come la progettazione di un ambiente non meramente fisico, ma in grado di controllare e gestire alcuni precise qualità intangibili che hanno piuttosto a che fare con l’aspetto percettivo: luci, colori, microclima. Questo progetto spicca per la caratteristica di raccogliere esperienze molteplici facendole diventare qualcosa di diverso e che si dimostri allo stesso tempo unico e replicabile, pronto per accogliere tecnologie aggiuntive. Dal mondo medico ci dicono che dall’aspetto terapeutico si può ipotizzare il passaggio a quello diagnostico.

Roberto Carminati