Dal dato alla decisione, evidenze e prospettive dal convegno N.I.San. 2022

Il dato quale strumento cruciale, efficace ed efficiente, per la messa in atto di decisioni strategiche e politiche sanitarie a vantaggio dell’ecosostenibilità del sistema.
Minori costi, maggiori outcome, migliore qualità della cura.

Dati che devono essere, tuttavia, misurati secondo metriche ben definite, auspicabilmente valide su tutto il territorio nazionale, superando la logica della gestione a silos regionali.

Occorre dunque sviluppare sistemi, direzionarsi al digitale, istituzionalizzare nuove governance, formare risorse, allocare adeguati fondi che facciano del “sistema dato” una sorta di impresa a beneficio del SSN, in forte sofferenza, e del miglioramento degli standard assistenziali.
Sono alcune delle evidenze conclusive emerse dalle due giornate di lavori del Convegno N.I.San. – Network Italiano Sanitario, tenutosi presso la sede del Gruppo Tecniche Nuove Spa, il 28-29 novembre.

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L’esperienza sarda

Modelli virtuosi per la definizione e la valutazione condivisa del dato da parte di diverse expertise ospedaliere (amministrative, cliniche), sono già attive e in via sperimentale sul territorio.

Tra queste il Progetto regionale Bussola portato avanti dall’ARNAS Brotzu di Cagliari, finalizzato a rilevare adeguate “informazioni per decisioni cliniche nel rispetto di obiettivi sanitari ed economici”. Il progetto partito a giugno 2022 si concluderà nel 2023.

«Il nostro intento», ha spiegato Agnese Foddis, direttore generale dell’ARNAS Brotzu, «era mettere a punto un modello che non fosse una tantum, cioè riferito a una specifica iniziativa o esigenza del momento, ma che fosse un mezzo per realizzare un costante e consolidato miglioramento delle decisioni di qualsiasi ambito all’interno dell’azienda e per personalizzare gli strumenti rispondenti alla realtà specifica di Brotzu, tuttavia confrontabili con l’esterno.
Abbiamo voluto creare un modo di lavoro comune, un linguaggio operativo tra sanitari e amministrativi, tra unità di diagnosi e cura e direzione generale».

Il progetto si è incentrato sull’analisi di quattro specifiche aree: degenza, sala operatoria, specialistica ambulatoriale, specifici percorsi paziente. Positive le prime evidenze in relazione agli obiettivi auspicati in termini di costo/efficacia, di cui si attendono entro l’anno prossimo conferme concrete.

Applicazione del modello di clinical costing di N.I.San.

L’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma ha avviato un’analisi settorializzata all’ambito della chirurgia toracica per stabilire in relazione a costi effettivi, area, ambito di allocazione dei fondi, l’efficienza gestionale.

«L’analisi», ha dichiarato Luigi Vittorini, direttore UOC Bilancio e Contabilità Analitica dell’AO Sant’Andrea di Roma, «è stata sviluppata sul modello di clinical costing di N.I.San, con valutazioni di tipo economico e di gestione delle risorse, in un’ottica di equità. Quest’ultima strategia premiante per valorizzare le risorse e tendere all’eccellenza».

L’analisi ha attenzionato in modo particolare l’ambito puramente chirurgico, ovvero i costi dell’atto operatorio e dei presidi utilizzati, i costi del medico e dell’infermieristica, i costi diretti e i costi per episodio di ricovero. Valore aggiunto dell’analisi è stato il benchmarking, il confronto con realtà nazionali, esterne al Sant’Andrea.

«Vi è evidenza che le informazioni del clinical costing assicurano maggiore sicurezza nell’assistenza e cura del paziente. Avvieremo analisi di clinical costing anche in ambito di chirurgia robotica e in altri reparti della struttura per efficientare l’attività coinvolgendo anche l’area sanitaria per avere informazioni correte in ambito clinico e intraprendere le migliori decisioni strategiche».

Costi gestionali nel tumore alla mammella

L’esigenza di disporre di un modello di misurazione per la migliore gestione dei costi nasce anche dalla riduzione sul territorio, specificatamente lombardo, per la scarsità di risorse di centri di alta specialità per la diagnosi e cura del tumore del seno.

«Per la migliore valutazione e gestione dei costi, e dunque del percorso paziente», ha riferito Monica Giordano, direttore della UOC di Oncologia dell’ASST Lariana, «è necessaria la contaminazione, produttiva, fra il mondo sanitario e quello gestionale/organizzativo che generano un beneficio sul servizio offerto all’utente (il paziente)».

In quest’ottica, l’azienda ha avviato una indagine analitica sui flussi informatici (dati riproducibili, rappresentativi e soprattutto comparabili), al fine di meglio dirottare i costi verso specifici percorsi per pazienti oncologiche con tumore della mammella.

Nell’analisi sono state considerate oltre 550 pazienti sottoposte a ricovero e chirurgia per neoplasie benigne e/o maligne con una valutazione dei costi (clinici, di stadiazione pre e post chirurgia). Inoltre, l’implementazione di un portale regionale dedicato ha fornito indicatori comuni a tutte le strutture su cui misurare efficienza e portata dell’investimento e possibile confronto con realtà esterne.

«Gli indicatori hanno permesso di rilevare punti di forze e criticità, ovvero evidenziare l’utilità di analisi cliniche matchate a analisi organizzative/gestionali per una distribuzione equa dei costi e la necessità di arrivare a dei DRG a pacchetto, cioè all’erogazione di un pool di prestazioni riferite a uno specifico percorso, sul modello inglese».

Il ruolo del farmacista clinico nella governance

Il farmacista clinico ha un ruolo articolato: è depositario della governance del farmaco, che attiene agli aspetti di health economics, logistica, gestione del farmaco e ricerca economica, con il compito di verificare anche l’appropriatezza prescrittiva del farmaco stesso. Sono di sua pertinenza gli ambiti della galenica clinica e il counselling sulle chemioterapie orali con distribuzione diretta, così come della ricerca clinica.

«L’approccio al paziente, sempre più basato sulla medicina di precisione, specie in ambito oncologico, e l’affermarsi delle target therapy, dell’immunoterapia, degli anticorpi coniugati, degli usi della vecchia chemioterapia in associazione a nuovi farmaci – spiega la dottoressa Emanuela Omodeo Salè, direttore della Farmacia dell’Istituto Europeo di Oncologia e del Centro Cardiologico Monzino di Milano e membro Consiglio Direttivo della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici – stanno portando all’evoluzione del farmacista clinico, coinvolto da un lato in manieraindiretta negli aspetti gestionali e procedurali del farmaco, sui prontuari, sugli aspetti economico-logistici, di farmacovigilanza e formazione sul farmaco e i dispositivi medici (DM) a operatori sanitari. Dall’altro, in maniera diretta a quanto attiene alla galenica sterile e non sterile, all’(in)formazione sul farmaco e DM al paziente e alla consulenza farmacologica/tecnologica».

Tali ruoli si inquadrano in 6 statement, a solo volta articolati in 44 sotto-statement, definiti dalla European Statement of Hospital Pharmacy, ovvero:

1. Farmaco logistica (selezione, approvvigionamento e distribuzione)
2. Allestimento e preparazione galenica
3. Servizi di farmaci clinici
4. Sicurezza del paziente e garanzia di qualità
5. Formazione e ricerca.

Di particolare rilievo è lo statement 4.8 che identifica la farmacia clinica come un servizio in continua evoluzione per il raggiungimento degli outcome del paziente, tesa cioè all’evoluzione, ottimizzazione e al risultato clinico.
Questo processo
, e dunque il lavoro del farmacista clinico, può essere potenziato secondo alcuni spunti da studi di letteratura, quali il documento Il farmacista di dipartimento quale strumento per la prevenzione degli errori in terapie e l’implementazione di politiche di Governo clinico in ambito oncologico redatto dal Ministero della Salute in collaborazione con l’Associazione Italiana Oncologia Medica, SIFO e l’Ordine dei farmacisti, mirato a valutare risultati, definizione e monitoraggio di indicatori di processo (compreso il costo unitario) e di esito (qualità del processo) in ambito oncologico, per esempio in relazione al monitoraggio di prescrizioni off label, scorte negli armadi di reparto e controllo dei costi, sicurezza, numero di ospedalizzazioni per effetti avversi da farmaci, errori evitabili, qualità del servizio percepito da parte degli operatori sanitari e del paziente.

Oppure il Progetto SIFO Farmaper, che discute della costruzione di un sistema di performance management per lo sviluppo di una farmacia e del farmacista nelle aziende sanitarie.
In entrambi i documenti
emerge il ruolo chiave del farmacista clinico in specifici ambiti: galenica, vigilanza, stewardship antimicrobica, partecipazione a commissioni farmaci e DM, con un coinvolgimento attivo della farmacia nelle sperimentazioni cliniche.

Uno studio del 2001 volto a individuare degli indicatori di qualità (QI), utili alla misurazione e al confronto standardizzato delle pratiche di farmacia clinica, evidenzia che attualmente non esiste un consenso internazionale circa l’uso dei QI e come questi possano essere influenzati da fattori contestuali (esperienza, popolazione target, numero di farmacisti equivalenti impiegati nella pratica ecc.), tesi confermata anche da altri lavori internazionali.

Infine, in relazione alla misurazione dei costi molti studi correlano il lavoro del farmacista clinico a una riduzionesensibile della spesa: ovvero ogni euro investito sul farmacista clinicopermetterebbe un risparmio di circa 4 euro.
Le aree maggiori di cost
saving riguardano stewardship antimicrobica, servizi di farmacia multidimensionali, pediatria per l’ottimizzazione della terapia anche in contesti di Terapia Intensiva e neurochirurgi, gestione dei dispositivi medici, saloperatoria.

«Nonostante le evidenze – prosegue la dottoressa – è difficile quantificare un vantaggio in termini di costo associato agli interventi del farmacista clinico a causa della eterogeneità metodologica di questi studi. Un possibile aiuto all’analisi potrebbe derivare dall’applicazione della metodologia del clinical costing, in grado di evidenziare QI nazionali, uniformi e omogenei, oppure dall’avvio di uno studio pilota in cui testare gli indicatori per la misurazione di input e output.
Nello specifico, l
a metodica N.I.Sanpuò essere di grande aiuto per collegare l’impiego di specifiche tecniche diagnostiche, terapeutiche e dispositivi medici al costo complessivo di ogni ricovero, qualificare il beneficio e la reale innovazione incrementale».

L’esperienza della Regione Puglia

La complessa relazione, e dunque la stima, fra costi e esiti è evidenziata anche dal dott. Giovanni Gorgoni, direttore generale AReSS Puglia, che porta a modello l’equazione di Michael Porter riferita al concetto di valore, derivante appunto dal rapporto fra esiti di salute che impattano ai pazienti e costi di erogazione di quegli esiti. Una metodica che potrebbe rivelarsi efficace è il clinical costing che consentirebbe di ottenere degli spider diagramma tali da comparare diversi approcci terapeutici o diagnostici, ovvero valutando e abbinando, ad esempio, esiti e costo in relazione alla sopravvivenza, recidiva ecc.

«Il clinical costing in sistemi universalistici come quelli europei – dichiara Gorgoni – devono tenere conto anche di diversi altri fattori, quali il valore societale, allocativo, aspetti tecnici e così via.
Il probl
ema sta nel fatto che, indipendentemente dal tipo di approccio al valore utilizzato, il valore si basa sulle condizioni cliniche del paziente e i DRG fotografano solo un episodio di ricovero e all’interno di uno specifico setting assistenziale e non integrato e in relazione anche agli altri setting. Inoltre va considerato che l’esito muta in base al momento della valutazione.
In buona sostanza, l’esito non è ununivoco, ma aiuta a fare “ordine”».

Regione Puglia ha avviato uno studio di valutazione degli esiti, attraverso l’impiego delle SDO applicabili a 7 aree cliniche specifiche di ospedali pubblici o privati di italiani, volto a identificare alcuni indicatori di esito in ambito cardiocircolatorio, ad esempio circa la moralità per infarto a 30 giorni.

«Lo studio – conclude Gorgoni – ha messo in evidenza che è necessario perfezionare l’applicazione dell’indicatore IMA (Infarto Miocardico Acuto), ampliare il catalogo degli indicatori operabili, affiancare audit PNE (Programma Nazionale Esiti) così da consentire la corretta codifica delle SDO con Audit Costing, ancorare le nuove edizioni di Lean LAB (Laboratori di miglioramento di processo con tecniche di lean management) sulle linee costo-esito».

I servizi territoriali

Sarà necessario ripensare e riorganizzare i servizi territoriali, in funzione di tre grandi bacini – Dipartimenti, Distretto, Case Comunità – le loro funzioni e le risorse strumentali e umane necessari per il buon andamento. Tali valori dovranno essere misurati con delle metriche, calcolate e definite con appositi algoritmi.

«Sono diverse le funzioni manageriali da presidiare in sanità», ha chiato Francesco Longo, direttore del CERGAS Bocconi di Milano. «Il governo clinico che riferisce a pazienti trattati secondo le raccomandazioni delle migliori linee guida in materia, l’allocazione delle risorse e la loro ottimizzazione in termine cioè di saturazione del servizio, stabilite tramite l’operation management, il service design che disegna le caratteristiche dei servizi dal punto di vista del paziente e della cronicità, a favore della migliore aderenza alla terapie, dunque di un guadagno in salute e risparmio della spesa».

La riorganizzazione dei servizi territoriali e dell’assistenza primaria sulla base di bisogni e della cronicità si associa una sfida: sviluppare nuove competenze, tenuto contro dei risultati delle metriche e/o di nuovi processi, indice di un effettivo cambiamento.

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Salviamo il SSN

La Fondazione GIMBE nel marzo del 2013 lanciava la campagna “Salviamo il nostro SSN”, quando il sistema vigeva in condizioni di malessere, rispetto all’ammaloramento attuale, complice le esigue risorse destinate al comparto sanità.

L’analisi dettagliata di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, mette in luce che il decennio 2010-2019 ha sottoposto il sistema a un imponente definanziamento (-37 miliardi di euro) cui è seguito, nel periodo 2020-2022, un incremento del Fondo Sanitario Nazionale di 11,2 miliardi di euro e di questi 5,3 euro con decreti Covid-19, assorbiti in gran parte dalla pandemia e insufficienti a mantenere in ordine i bilanci regionali 2022, anche nei territori più virtuosi. Quali le attese? La Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) 2022 prevede una spesa sanitaria in riduzione e la riduzione del rapporto spesa sanitaria/PIL al 6.0% nel 2025.

Le politiche allocative hanno fatto retrocedere l’Italia rispetto alle classifiche internazionali, ponendoci al di sotto della media OCSE: primi tra i Paesi poveri sia dell’Europa sia dell’OCSE stessa, evidenziando contesti sensibilmente più gravi in relazione alla spesa media pro capite.

In ultimo, Cartabellotta esprime alcune considerazioni sui fondi derivanti dal PNRR – 15 miliardi in 5 anni – da investire in riorganizzazione dei servizi territoriali e in infrastrutture tecnologiche. Obiettivo raggiungibile con coraggiose riforme del sistema, una rigorosa governance delle Regioni, investimenti vincolati per il personale sanitario.

Gli outcome possibili? Secondo il Rapporto Gimbe sono tre gli sbocchi percorribili: il “galleggiamento” sullo stato attuale, il rilancio del sistema sanitario pubblico, la trasformazione in un sistema misto, facendo in quest’ultimo caso della salute una élite per pochi.

Uno studio campano

La valutazione del clinical costing è stata applicata anche ad un’ampia indagine condotta dall’ASL Napoli 3 Sud per stimare la spesa e l’efficienza dei Servizi di Salute Mentale su una popolazione di 15 mila persone, parte affette da patologie a parte sane.

«Obiettivo della nostra ricerca», puntualizza Gaetano D’Onofrio, direttore sanitario dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, «era misurare e definire una metrica, ancora inesistente per quest’ambito di patologie, per produrre HRG in relazione a accessi ambulatoriali e ospedalieri ai Servizi di Salute Mentale, uso di farmaci, e diverse altre variabili in un arco temporale di circa 1 anno e mezzo».
La ricerca che si è articolata in tre fasi – identificazione degli assistiti che avevano usufruito di usufruito di almeno una prestazione o di altre prestazioni categorizzata per HRG, individuazione dei costi effettivi di ogni prestazione, individuazione dei ruoli e delle competenze delle risorse in funzione degli output definiti – ha consentito di identificare i costi annui per HRG.
«Applicando il modello del clinical costing – conclude D’Onofrio – siamo riusciti ad allocare meglio le risorse in un’ottica di sostenibilità del sistema».

I costi dei trapianti

Una monografia realizzata da N.I.San. è stata la base per sviluppare uno studio intenzionato a evidenziare i costi dei trapianti d’organo in Italia che attengono in larga misura a rene e fegato. L’indagine, realizzata da Takeda, che ha considerato oltre 1300 trapianti con dati afferenti da differenti presidi ospedaliere, si è sviluppata in 4 fasi: identificazione dei partecipanti; raccolta di dati tramite interviste e/o SDO di aree afferenti a diverse specialità trapiantologiche e/o altro; rilevazione e valutazione di episodi di ricovero ospedaliero per singolo assistito; definizione di 23 codici procedurali, con costi associati.

«La ricerca», commenta Simone Corinti, HTA junior manager Takeda, «ha portato alla creazione di una banca dati da cui si evince che i costi dei trapianti sono sette volte superiori a interventi di altra natura.
È emersa, inoltre, l’importanza per le case farmaceutiche di disporre di robusti dati clinici, generati cioè dalla partnership tra società scientifiche, ospedali, università e azienda farmaceutica in un’ottica di gestione e ottimizzazione delle risorse».

La valorizzazione del dato

Il dato è lo strumento critico per avviare decisioni operative e strategiche in un contesto di sensibile cambiamento (demografico, epidemiologico, modelli di cura ecc.). Decisioni che, tuttavia, devono essere perse in relazione a dati di valore misurati secondo specifiche metriche e ricorrendo a specifici strumenti.

Una survey, condotta da PwC Italia, che ha voluto analizzare il punto di vista dei CFO (Chief Financial Officer) italiani in tema di organizzazione e strumenti di analisi avanzata, ha evidenziato diverse criticità: il sistema e i tempi non sembrano ancora maturi per l’innovazione e il cambiamento.
Emerge, infatti, che l’80% delle organizzazioni non dispongono di metodologie per l’elaborazione dei flussi informativi previsionali: che il 51% dei CFO sono insoddisfatti degli strumenti informativi a disposizione vs il 32% che ritiene che l’area controllo-gestione sia impegnata in attività translazionali a basso valore aggiunto.

«Dai risultati», sottolinea Andrea Fortuna, partner PwC Italia, Healthcare Pharmaceuticals & Life Sciences, «emerge che non è stata ancora identificata un road map di trasformazione digitale, invece strategica e imprescindibile. Se tecnologie e digitale sono, da un lato, le aree su cui investire per avviare un cambiamento e per ottenere dati su cui decidere, dall’altro occorre (saper) fare un uso e un utilizzo corretti della tecnologia».

Le tecnologie offrono opportunità straordinarie, sono disponibili (sovra offerta), sono conditio necessaria ma non sufficiente a stimolare il cambiamento.

«È necessario mettere in atto processi trasformativi», conclude Fortuna, «che tengano conto delle persone, della cultura al digitale e di una eventuale alfabetizzazione per renderle capaci di gestire al meglio le tecnologie stesse».
Valutazioni che devono anch’esse basarsi su metriche precise, quali per esempio indicatori KPI (Key Performance Indicators) aziendali, customizzati in funzione alle diverse esigenze.

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Francesca Morelli