Long Covid in età pediatrica, nuovi biomarcatori dal CNR

La pandemia da Covid-19 ha colpito anche i più giovani, seppur con minore aggressività e con tassi di mortalità più bassi. Tuttavia il problema della sindrome da long Covid riguarda anche loro, per lo più con affaticamento persistente.
Non è ancora possibile dare percentuali d’incidenza, perché in letteratura queste variano dal 4% al 60%, a seconda dei sintomi considerati e dei disegni di studio.
Esiste grande eterogeneità ed è comprensibile, se si considera che non esiste ancora nemmeno una definizione univoca nel mondo rispetto a questa sindrome.

Proprio per evitare che i pazienti pediatrici che hanno sperimentato il Covid-19 possano sviluppare sindrome da long Covid senza essere curati, mesi fa i pediatri hanno suggerito che questi pazienti vengano visitati a quattro settimane dalla guarigione.

Quali sono i parametri per capire chi soffre di long Covid e chi no? E, ancora, non sarebbe più semplice muoversi se ci fossero biomarcatori che indicassero i soggetti più a rischio? Tutta la medicina in questo momento si sta muovendo per individuare, quale che sia l’ambito, strumenti per anticipare le diagnosi e muoversi tempestivamente nelle cure. E così, un gruppo di studio dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (CNR-IBBC) ha cercato di individuare dei biomarcatori predittivi per lo sviluppo di long Covid negli adolescenti.

Marco Fiore, coordinatore dello studio, spiega: «abbiamo misurato i livelli di alcuni biomarcatori infiammatori e di due neurotrofine (Ngf e Bdnf), fattori proteici che regolano la crescita, la sopravvivenza e la morfologia dei neuroni, nel siero di una piccola coorte di ragazzi e ragazze che avevano contratto l’infezione durante la seconda ondata della pandemia, tra settembre e ottobre 2020, ma negativi al momento del prelievo. Sono stati suddivisi in 3 gruppi: asintomatici, sintomatici acuti, sintomatici acuti che nel tempo hanno sviluppato sintomi long Covid. Questi dati sono stati poi confrontati con i valori emersi da un gruppo campione che non aveva contratto la malattia. Abbiamo riscontrato che i livelli sierici di Ngf erano inferiori in tutti gli adolescenti che avevano contratto l’infezione da Sars-Cov-2, rispetto ai controlli sani. La relazione inversa fra livelli di Ngf e sindromi da stress è ampiamente riportata dalla letteratura scientifica».

Accanto a questa proteina, che racconta di una persistente attivazione dell’asse dello stress, se ne sono trovate altre due importanti: si tratta della neurotrofina Bdnf e del biomarcatore infiammatorio Tgf-β.

I livelli di queste due sostanze «erano invece più elevati negli individui che si erano ammalati rispetto a quelli sani, ma solo nelle ragazze sintomatiche che poi avrebbero sviluppato sintomi long Covid. In particolare – interviene l’altro coordinatore dello studio, Carla Petrella, il persistente aumento dei livelli sierici di Bdnf e Tgf-β era presente nelle adolescenti che presentavano sintomi respiratori durante la fase acuta dell’infezione».

Questo è uno studio preliminare che occorre confermare, ma sembra probabile che le variazioni sieriche di Ngf e Bdnf rappresentino un campanello d’allarme per l’effetto a lungo termine di Covid-19. Interessante osservare che le neurotrofine potrebbero venire attivate anche dalla situazione emotiva di isolamento sociale vissuto dai ragazzi durante gli ultimi due anni. La ricerca è stata condotta presso il Policlinico Umberto I dell’Università Sapienza di Roma.

(Lo studio: Petrella, C.; Nenna, R.; Petrarca, L.; Tarani, F.; Paparella, R.; Mancino, E.; Di Mattia, G.; Conti, M.G.; Matera, L.; Bonci, E.; Ceci, F.M.; Ferraguti, G.; Gabanella, F.; Barbato, C.; Di Certo, M.G.; Cavalcanti, L.; Minni, A.; Midulla, F.; Tarani, L.; Fiore, M. Serum NGF and BDNF in Long-Covid-19 Adolescents: A Pilot Study. Diagnostics 2022, 12, 1162. https://doi.org/10.3390/diagnostics12051162)

Stefania Somaré