Se la clinica diventa virtuale

La tecnologia digitale è uno strumento per migliorare la vita delle persone, permettendo loro di risparmiare tempo negli spostamenti da un luogo all’altro per goderlo in attività piacevoli, non dovendo comunque rinunciare ai servizi dei quali necessitano.
Un recente incontro su Digeat ha affrontato il tema delle cliniche virtuali, realtà ospedaliere senza confini, in grado di raggiungere le persone al proprio domicilio senza perdere la qualità del servizio o del monitoraggio. Perché tutto ciò sia possibile, è essenziale che si rinforzi la protezione dei dati e sviluppare linee guida ad hoc per la telemedicina e l’assistenza domiciliare.

Come ha avuto modo di annunciare la moderatrice dell’evento, avv. Sarah Ungaro, esperta in diritto dell’informatica e privacy, consulente senior presso lo Studio Legale Lisi e vice presidente di ANORC Professioni, il dibattito ha permesso di “analizzare con spirito critico” un tema non semplice, quello delle Linee guida per la Telemedicina e l’assistenza domiciliare e il documento Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel SSN, in relazione ai profili relativi all’interoperabilità delle piattaforme, come quella del FSE.

«Siamo riusciti a dare una panoramica molto concreta, trasversale e multidisciplinare», ha precisato l’avv. Ungaro, animando un ricco dibattito con i relatori anche per quanto attiene la di gestione dei documenti sanitari in ambito digitale e alla sicurezza e protezione dei dati personali.
«Mi piace molto parlare di clinica virtuale», ha affermato la prof.ssa Maria Grazia Modena, vicepresidente SIT- attraverso la quale controllare a distanza i parametri dei pazienti, considerando che la soglia della vita si allunga sempre di più ed è importante garantirne la qualità. La clinica virtuale ci permetterà non di disumanizzare il rapporto con il medico, ma di mettere il paziente al centro».

Di telemedicina, ha parlato anche il presidente della Sit, il prof. Antonio Vittorino Gaddi: «negli ultimi 20 anni- la telemedicina è stata vissuta come una specie di Cenerentola da chiamare quando c’è da spazzare via la cenere di carattere amministrativo, come strumento per risparmiare, che è intrinsecamente una follia, non come strumento di prevenzione e cura, a beneficio di medici e pazienti».

«Il Covid ha creato dei problemi a un sistema che era già in crisi, perché basato sull’analogico», ha affermato il dott. Sergio Pillon, coordinatore della trasformazione digitale dell’ASL di Frosinone, «abbiamo fino a ieri gestito le emergenze, facendo fronte a dei buchi surreali, ma non ci sono stati solo i morti di covid. Siamo resistenti ai cambiamenti fatti male e questo riguarda sia le norme sia le competenze digitali degli operatori. Il futuro è quello di ospedali senza confini fisici e dati utili per curare la persona».

Altro tema, il Fascicolo Sanitario Elettronico che «sta avendo una particolare accelerazione», ha spiegato il dott. Franco Cardin, esperto in protezione dati personali in ambito sanitario, «se ne parla da oltre 12 anni e da un punto di vista dell’attuazione tutte le Regioni hanno raggiunto livelli più o meno soddisfacenti, ma se poi andiamo a vedere gli indicatori di monitoraggio sull’utilizzo ci rendiamo conto dei veri limiti».

Antonio Bartolozzi, professore in Progettazione di dispositivi medici software e processi di certificazione all’Università di Trieste, si è soffermato sulle regole relative ai dispositivi medici.
«Esistono degli standard internazionali», ha spiegato Bartolozzi, «che prevedono una forte relazione tra safety e security, che il nostro Legislatore continua ad ignorare. Proprio uno dei requisiti più importanti dei dispostivi medici è il n.4, che prevede di attenersi allo stato dell’arte, ossia agli standard e alle norme attualmente in vigore, e il fabbricatore deve ridurre il più possibile i rischi, garantendo la sicurezza delle informazioni».

Nel suo intervento Mario Lavizzari, Corporate Senior Director presso Fujifilm Italia, ha affermato che «non è semplice per il legislatore fare delle norme che vadano bene per tutto, quello che chiederei è che ci siano dei criteri oggettivi, puntuali, per quanto riguarda il rispetto della normativa stessa, anche con il giusto riconoscimento da parte della stazione appaltante».

Stefania Somaré