Telemedicina in reumatologia, cosa ne pensano i pazienti?

Uno studio statunitense, che ha visto la collaborazione anche della Global Health Living Foundation, ha analizzato la percezione dei pazienti affetti da patologia reumatica trattati in telemedicina durante la pandemia.
A due anni dall’inizio della pandemia, molto è cambiato sia nella società sia nella sanità. In quest’ambito, in particolare, l’esigenza di continuare a trattare i pazienti cronici riducendo comunque al massimo i contatti ha contribuito allo sviluppo massimo della telemedicina, intesa tanto come telemonitoraggio quanto come televisita. In tutto il mondo i vari ambulatori ospedalieri e non si sono attrezzati per continuare a dare supporto ai propri assistiti, in un processo spontaneo che al momento sta andando incontro a una sistematizzazione. Perché ciò avvenga è però importante individuare quali sono gli ambiti in cui la tele-medicina è davvero efficace e quelli che invece godrebbero di un ritorno alla presenza.

Non solo. In nome del diritto all’equità di accesso alle cure, è anche necessario verificare se il passaggio alla telemedicina leda qualche fascia della popolazione, magari perché meno capace dal punto di vista tecnologico o perché con meno disponibilità di accesso alla tecnologia: è infatti possibile che alcune fasce di età o etnie possa risentire di una medicina troppo incentrata sulla distanza. Questo il contesto in cui nasce lo studio qui presentato. Il focus è in particolare sui pazienti con malattia reumatica autoimmune. Gli autori ne hanno inviato un questionario online a 3,369 pazienti, chiedendo loro di partecipare allo studio: 819 le risposte ricevute, per lo più da donne bianche con età media 58,6 anni.

Tra i partecipanti, 618 hanno dichiarato di percepire la telemedicina come accessibile e 449 sono effettivamente stati seguiti in questa modalità innovativa. Nel 67,5% dei casi, la visita si è tenuta in modalità video, mentre negli altri casi via telefono. Questa seconda modalità facilita l’accesso delle popolazioni più disagiate, che sia per ragioni culturali o economiche. La maggioranza dei partecipanti si è detta soddisfatta della visita ricevuta, fornendo un punteggio di circa 7 su una scala da 0 a 10… il 25,8% ha addirittura assegnato al servizio un punteggio di 9 o 10. A una verifica più approfondita, gli autori si sono accorti che i punteggi maggiori sono associati a visite video, che effettivamente permettono di valutare meglio il paziente.

In ogni caso, sia nei pazienti visitati via video che in quelli che hanno ricevuto una telefonata, l’accettazione rilevata dagli autori è tale da portarli a dichiarare di preferirle la telemedicina alle visite in presenza, almeno per quanto riguarda i controlli di routine: d’altronde, quando l’accessibilità è adeguata, questo strumento dona comodità ai pazienti che non devono recarsi in ospedale e magari chiedere un passaggio ad amici o parenti.

Risulta inoltre più economica, proprio perché non richiede uno spostamento fisico. La telemedicina è percepita utile anche per valutare gli esiti di esami, nel ragionare su un cambio di terapia farmacologica e quando si deve iniziare una nuova terapia di iniezioni. Lo studio, condotto dall’Università dell’Alabama di Birmingham, dalla Global Health Living Foundation, dalla Scuola di Medicina della Johns Hopkins University e dal Vasculitis Patient-Powered Research Network, conclude che il servizio a distanza è ben accettato dalla popolazione studiata.

(Lo studio: Danila, M.I., Gavigan, K., Rivera, E., Nowell, W.B., George, M.D., Curtis, J.R., Cristopher-Stine, L., Banerjee, S., Merkel, P.A., Young, K., Shaw, D.G., Gordon, J. and Venkatachalam, S. (2022), Patient Perceptions and Preferences Regarding Telemedicine for Rheumatologic Care during the COVID-19 Pandemic. Arthritis Care Res. Accepted Author Manuscript. https://doi.org/10.1002/acr.24860)

Stefania Somaré