Terapie ultra mininvasive contro l’iperplasia prostatica benigna

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Dagli stent temporanei a minuscoli tiranti ancorati all’esterno della prostata, dall’energia del laser a quella del vapore acqueo: sono alcune delle ultimissime tecniche chirurgiche nate per contrastare l’iperplasia prostatica benigna (IPB), presentate durante il 94° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia (Riccione, 16-19 ottobre 2021).

Tecniche ultra mininvasive che promettono di risolvere, una volta per tutte, l’IPB a oltre 6 milioni di italiani over 50: la più diagnosticata condizione urologica negli uomini tra i 45 e i 74 anni, che colpisce il 50% dei maschi tra 51 e 60 anni, il 70% dei 61-70enni, fino al 90% fra gli ottantenni.

Le tecniche chirurgiche ultra mininvasive sono in grado di eliminare gli sgradevoli effetti collaterali spesso provocati dalla cura farmacologica.

«L’uso dei farmaci», spiega Walter Artibani, urologo e segretario generale della SIU, «è di solito la prima scelta di trattamento, ma porta con sé effetti collaterali come l’ipotensione o l’eiaculazione retrograda, più un insufficiente controllo dei sintomi che può sfociare in eventi avversi, dal sangue nelle urine a infezioni ricorrenti, fino a calcoli alla vescica.

Eventi che inducono spesso all’abbandono della terapia verso soluzioni chirurgiche risolutive. Le tecniche ultra mininvasive, invece, danno più sollievo dai sintomi e riducono al minimo l’impatto sulla qualità della vita postoperatoria del paziente, in particolare sulle funzioni eiaculatorie, che restano imprescindibili soprattutto per i giovani».

I risultati clinici di queste nuove tecniche chirurgiche in termini di efficacia e sicurezza sono ancora in fase di validazione, tuttavia hanno già trovato indicazione nelle Linee Guida per il trattamento dell’adenoma di prostata realizzate dalla Società Europea di Urologia (EAU).

Gli ‘stent prostatici’. Gli stent intraprostatici temporanei al nitinol, introdotti per via endoscopica e rimossi dopo 5 giorni, tramite forze elastiche incidono il tessuto e risolvono l’ostruzione prostatica, secondo quello che gli esperti definiscono trattamento i-TIND. A questi si aggiungono dispositivi permanenti che, come fossero piccoli tiranti ancorati all’esterno della prostata, comprimono l’adenoma e dilatano l’uretra, migliorando cosi il flusso dell’urina: è quella che viene chiamata tecnica Urolift. Soluzioni chirurgiche mini invasive tra le più diffuse nel trattamento dell’IPB.

Il vapore acqueo e il laser. È innovativo anche il ricorso a nuove fonti di energia, come il vapore acqueo o il laser, indicate nel trattamento di adenoma della prostata di dimensioni medio-piccole. Il vapore acqueo ad alta temperatura, iniettato all’interno della prostata tramite uno speciale manipolo endoscopico, determina la morte delle cellule dell’adenoma e quindi la distruzione (tecnica Rezum).

Mentre il laser, ovvero il trattamento SoracteLite, sprigiona energia all’interno della ghiandola prostatica attraverso fibre ottiche introdotte per via percutanea, portando il tessuto dell’adenoma a necrotizzarsi, con riduzione del volume della ghiandola e conseguente disostruzione.

Vantaggi ‘assistenziali’. Le tecniche mininvasive sono tutte eseguibili in regime di day hospital tramite il Sistema Sanitario: un aspetto cruciale in un periodo come quello attuale.

«L’altissimo numero di italiani che soffrono di questa patologia ha comportato e comporta una pressione sulle strutture ospedaliere, tuttora in difficoltà per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza pandemica», concludono gli esperti SIU. «Nell’ultimo periodo tutte le società scientifiche hanno indicato di posporre non solo la chirurgia elettiva correlata all’IPB o alle sue complicanze, ma anche le semplici prestazioni ambulatoriali, con un conseguente accumulo di pazienti già meritevoli di trattamento negli anni passati e che non sono stati trattati a causa dell’emergenza.
A questi si aggiunge un 12% in più che è andato incontro a un peggioramento clinico durante gli ultimi mesi. In un contesto simile, l’adozione di tecniche ultra mini invasive può rappresentare una chiave di volta per affrontare e gestire meglio la situazione».

Francesca Morelli