L’analisi che genera valore

Il Network italiano sanitario per la condivisione dei costi standard (N.i.san) ha dedicato una due-giorni congressuale proprio al tema cardine della sua attività e ha mostrato, con l’esempio dei partner, i benefici di una migliore allocazione delle risorse in campo sanitario.

Forte oggi del contributo di ben 34 realtà sanitarie attive in tutta la Penisola, la rete N.i.San (Network italiano sanitario per la condivisione dei costi standard) ha appunto come missione primaria la gestione condivisa dei risultati circa l’elaborazione dei costi standard in sanità. Nel contesto di uno workshop della durata di due giorni e tenutosi nel cuore dell’autunno all’Ospedale Galliera di Genova, l’aggregazione ha presentato i risultati del suo osservatorio, che ha analizzato i costi standard delle attività di ricovero suddivisi per tipologia, Drg, reparto di dimissione. È questo uno degli approdi di una ricerca che fra acuti, riabilitazione, day service – day hospital, Osservazioni brevi intensive di pronto soccorso, ha studiato quasi 5 milioni di casi dal 2009. La cifra fa della banca-dati del N.i.San la terza per importanza in tutta Europa nel settore, alle spalle solamente di quelle di Paesi quali la Germania e la Gran Bretagna. L’indagine, come hanno ricordato Adriano Lagostena – coordinatore del comitato direttivo del network e direttore generale degli ospedali Galliera di Genova – e il responsabile scientifico del N.i.San Alberto Pasdera, si è concentrata su un totale di 77 strutture ospedaliere italiane. E ha permesso di confermare che «le tariffe Drg per i ricoveri sono mediamente molto più basse dei costi effettivi» e che esse non riescono a coprire il 62% dei costi totali. Se, come Lagostena e Pasdera hanno rilevato, queste evidenze non rappresentano una novità, d’altra parte la differenza rispetto al passato risiede altrove. «Ora», hanno fatto sapere, «è possibile calcolare con precisione l’entità del fenomeno. Successivamente, è emerso che non tutte le tipologie di ricovero soffrono di una sotto-tariffazione della medesima entità. A riprova di ciò, la ricerca ha evidenziato come i ricoveri che prevedono giornate in terapia intensiva presentino una sotto-tariffazione pari al 51%, mentre quelli senza giornate in terapia intensiva hanno una sotto-tariffazione stimabile nell’ordine dei 37 punti». Pasdera e Lagostena hanno voluto prevedere e anticipare anche le possibili obiezioni, prima fra tutte quella relativa all’esiguità numerica della terapia intensiva rispetto alle complessive degenze. «È senz’altro vero che essa incide solo per il 5% sul totale dei ricoveri», hanno sottolineato, «ma altrettanto innegabile è il fatto che i ricoveri con terapia intensiva rappresentano il 28% dell’intera perdita economica. Di conseguenza, tanto maggiore sarà il numero di pazienti in terapia intensiva, tanto più elevata sarà la perdita economica di un ospedale, indipendentemente dalla sua efficienza».

Il rispetto dei vincoli e le garanzie per i pazienti

A margine del workshop genovese è stato posto un marcato accento sull’importanza delle testimonianze offerte dai rappresentanti delle due regioni Puglia e Abruzzo. Le rispettive loro esperienze hanno dato modo di mostrare come i costi standard rappresentino uno strumento possente per coniugare una più corretta allocazione delle risorse con la qualità dei servizi. Tutto questo, naturalmente, senza derogare dal rispetto «dei vincoli economici» ma neppure dalla necessità di dare impulso alle attività di ricerca e ai processi innovativi. «Nelle due regioni prese in esame», hanno infatti argomentato a un tale proposito Lagostena e Pasdera, «i costi dell’erogazione del N.I.San sono stati alla base della formazione di uno strumento – lo Activity-based funding: finanziamento basato sulle attività – per programmare, monitorare e valutare la performance economica delle aziende in funzione delle attività realmente svolte». Oltre a ciò, determinante è la capacità di valutare l’efficienza di servizi come quelli in carico ai laboratori e alla radiologia attraverso «la metodologia dei costi standard» coniugati con gli indicatori di qualità. In una simile prospettiva, i costi standard si trasformano anche in un mezzo attendibile per definire «le opzioni di sviluppo di una data struttura ospedaliera». Coerentemente e giustamente Adriano Lagostena e Alberto Pasdera, a seguito del convegno, hanno attribuito «grande rilevanza» alla disamina dei costi standard presso le società scientifiche, grazie anche alla partecipazione e al contributo fattivo di Aiom. L’Associazione italiana di oncologia medica ha avuto all’ombra della Lanterna l’occasione per introdurre le evidenze raccolte con una sua recente ricerca. Essa ha ottenuto non solo il risultato «di definire i costi di riferimento per prestazione in relazione alla chemioterapia» ma ha altresì provveduto a distinguerli a seconda della tipologia dei pazienti presi in considerazione. Così, nel quadro ampio degli standard economici di chemioterapia sono stati rigorosamente separati quelli riconducibili ai casi di tumore della mammella da quelli di neoplasia al polmone, per esempio. Il che ha assicurato la disponibilità degli «elementi pratici utili a dare realmente vita alla programmazione e al monitoraggio economico delle reti oncologiche». Analogamente, un altro percorso essenziale è quello che porta ad applicare la logica degli standard al tema della gestione delle cronicità, che è fra i più impegnativi della sanità attuale.

4 milioni di episodi per 20 milioni di giornate

In occasione del settimo dei suoi workshop N.I.San ha presentato dati validati relativi a 3 milioni 944 mila e 201 episodi di ricovero, pari a poco più di 20 milioni di giornate di degenza o accessi. Il numero, come si è avuto modo di osservare, è comprensivo delle prestazioni di day hospital e di osservazione breve (OBI). Da un punto di vista strettamente quantitativo l’edizione 2017 della ricerca ha visto un incremento notevole del numero degli ospedali esaminati. Erano 41 i presidi protagonisti dell’osservatorio del 2016; nel 2017 sono stati invece 77, ben 36 in più. Ne è risultato che la spesa complessiva censita nel 2017 ha oltrepassato gli 11 miliardi e 65 milioni; contro i 7,422 miliardi circa stimati un anno prima. Quel che più conta è tuttavia la composizione della spesa, specie nel raffronto con i cosiddetti costi pieni di gestione ospedaliera e con lo spaccato delle prestazioni o servizi in questione. Per quel che riguarda le acuzie, nel 2016 si erano registrati 969 mila e 978 ricoveri, per un totale di 6 milioni 789 mila e 846 giornate e un costo pieno vicino a 5 miliardi e 267 milioni. Per il regime diurno era stato invece calcolato un totale di un milione e 30 mila ricoveri circa e un costo di 917 milioni 245 mila e 296 euro. I casi di Osservazioni brevi intensive di pronto soccorso (Obi) ammontavano a 64 mila e 123; per un onere economico di 38,666 milioni. Passando alle rilevazioni del 2017, il numero dei ricoveri per acuti è stato di poco superiore al milione, per 7,384 milioni di giorni di degenza complessivi e costi pieni poco sotto i 5,815 miliardi. I 77 presidi ospedalieri oggetto della ricerca 2017 si sono fatti carico di 966 mila e 764 giornate di day hospital, equivalenti a un costo pieno di 717 milioni 283 mila e 675 euro; gli Obi sono stati 61 mila e 541; e hanno generato una spesa da 32 milioni e 650 mila euro. «Il confronto fra i costi e gli esiti di ogni prestazione assistenziale e i migliori standard nazionali», ha commentato ancora Lagostena, «è fondamentale in quanto nel momento in cui le aziende sanitarie sono in grado di utilizzare strumenti di gestione aziendale per calcolare quanto costano, hanno immediatamente anche il bisogno di sapere se tale valore è alto o basso rispetto a uno standard. Spesso si ritiene che l’efficienza sia nemica dell’efficacia. Invece, attraverso l’utilizzo dei costi standard, si può migliorare concretamente anche l’efficacia delle prestazioni. Sarà importante guardare alle future applicazioni della metodica dei costi standard, modello che a oggi appare sempre più orientato alla presa in carico reale e concreta del paziente, anziché alla mera rendicontazione delle prestazioni a esso associate».

Una bussola per la razionalizzazione

Fra gli approdi dell’assise N.I.San di Genova c’è anche l’implementazione di una cosiddetta bussola gestionale per orientarsi nel panorama della sanità sulla scorta dei costi standard. Essa include a Nord il connubio fra risparmio e innovazione, che contribuisce «a creare le basi per garantire la qualità, l’economicità e la sostenibilità del sistema»; e a Sud il superamento delle strategie di razionalizzazione centrate sui tagli lineari, in vista di una superiore efficienza dei servizi. A Ovest spicca il concetto «dell’equità nella distribuzione delle risorse tra regioni, fra aziende della stessa regione e fra strutture della stessa azienda». Sorge infine a Est la necessità di conoscere «se un dato ente spende troppo e perché (se sui farmaci, sul personale, altro ancora) o se manifesta una carenza di risorse; e di quali risorse».

I costi standard: definizioni e condizioni

Con l’espressione di costi standard si indicano i valori di riferimento che esprimono il consumo di risorse necessarie a realizzare una cosiddetta unità di output e cioè un servizio o un percorso terapeutico; una prestazione o un ricovero. Moltiplicando «i costi standard per le relative quantità di output» è possibile stimare con esattezza «quanto si dovrebbe spendere». Questo è quel che si intende per benchmark, il valore di riferimento alla luce del quale è possibile stabilire l’adeguatezza della spesa sostenuta per un bene o un servizio. L’oggetto del costo standard «deve essere dato dall’output e quindi da ciò che si fa e per chi» e deve riguardare specifiche classi di prodotti e categorie di utenti. Condizione preliminare per l’applicazione della metodologia è la conoscenza «dei costi degli output degli enti-oggetto degli standard», quali il Drg 481 in riferimento per esempio alla radiografia del torace. Conoscere i costi per output sostenuti dalle aziende «è necessario per poter determinare i costi standard, perché se non si conoscono i propri costi reali si determinano standard virtuali, non collegati con quanto avviene nella realtà». È inoltre la condicio sine qua non per poter utilizzare i costi standard stessi, poiché una lacunosa conoscenza dei costi delle strutture per ogni prestazione o ricovero fa sì che non si abbia un termine di paragone per i costi stessi. Inoltre, i costi standard devono avere natura analitica e non generica e una loro costruzione corretta impone il ricorso al concetto del clinical costing, «la metodologia di riferimento internazionale per i costi standard dal 2011, che ha dimostrato di essere il sistema più preciso e duttile di calcolo dei costi e il più adatto a collegare i costi effettivi coi costi standard».

Roberto Carminati