Il diritto alla salute, oltre che uno degli assi portanti dell’assetto democratico del nostro Paese, è garantito dalla nostra costituzione.
Nel tempo sono stati fatti grandi passi avanti in ambito sanitario: dall’istituzione del Ministero della Salute nel 1958 a quella del Sistema Sanitario Nazionale, 20 anni più tardi, nel 1978, solo per citare due tappe fondamentali. Si è cosi pervenuti a un sistema sanitario di tipo universalistico, caratteristica questa peculiare del nostro Paese.
La sanità pubblica nel tempo si è fortemente evoluta ma si trova oggi ad affrontare il problema della sua sostenibilità, messa a rischio da numerosi fattori di criticità e nuovi bisogni: l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle cronicità e di stili di vita errati, un’eccessiva differenziazione regionale nell’offerta delle cure, il diritto alla salute delle persone migranti, la progressiva diminuzione delle risorse disponibili.
La sfida del futuro sarà proprio quella di mantenere il carattere universalistico del servizio sanitario nazionale cercando di dare risposta ai nuovi bisogni di salute.
In questa partita il rapporto tra medico e paziente, soprattutto negli ultimi anni, è diventato via via più cruciale e delicato, andando a sfociare spesso nella cosiddetta “medicina difensiva”.
Già nel 2012, infatti, il decreto Balduzzi – che puntava alla valorizzazione dell’organizzazione dell’assistenza territoriale – recava un primo intervento sulla medicina difensiva. Ma è nel 2017, il 1° aprile, con la Legge Gelli (n.24) sulla sicurezza delle cure e la responsabilità professionale del personale sanitario che si arriva finalmente a una riforma attesa da oltre un quindicennio.
Una legge questa che ha il duplice intento di tutelare la sicurezza dei cittadini e, al contempo, creare le condizioni per garantire un clima di maggiori tutele per gli operatori sanitari al fine di garantire loro la necessaria serenità per svolgere al meglio gli impegnativi compiti che gli attribuisce il sistema sanitario nazionale.
«Dall’approvazione della legge – alla quale mancano ancora diversi decreti attuativi – si è riscontrato un decisivo cambiamento nell’approccio culturale al tema delle cure e del rischio professionale. In tutto questo scenario la figura del medico resta centrale, una figura di garanzia nella proposizione e nell’appropriatezza dell’offerta sanitaria», ha commentato la vicepresidente del Senato, Anna Rossomando in apertura al convegno “Il ruolo delle linee guida, dalla pratica clinica alle aule giudiziarie”, promosso lo scorso 18 dicembre a Roma dalla Fondazione Italia in Salute.
«In questo quadro, le linee guida», ha proseguito la Rossomando, «rappresentano prassi condivise dalla comunità scientifica, fornendo un framework di riferimento per ovviare alla medicina difensiva. I problemi oggi sul tavolo sono molti, a partire dalla necessità di uniformare i modelli e garantire diffusione e applicazione di queste linee guida sul territorio a livello nazionale».
La nascita del Sistema Italiano delle Linee Guida
Occorre ricordare che la citata legge n. 24/2017 non ha, tuttavia, innovato circa la natura, l’efficacia e l’inquadramento teorico delle linee guida. Il sistema è invece mutato profondamente con l’entrata in vigore della medesima legge per ciò che concerne il sistema di validazione, conoscenza e classificazione delle linee guida.
La nuova legge ha infatti previsto un quadro complessivo che riguarda la gestione, l’utilizzazione e i sistemi di conoscenza, in particolare con la creazione di due istituti: l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, e il sistema nazionale per le linee guida – SNLG – da disciplinare con Decreto del Ministero della Salute.
La Legge Gelli n. 24/2017
La legge Gelli ha quindi inciso profondamente sul tema della sicurezza delle cure da una parte e della salvaguardia dell’autonomia delle scelte terapeutiche da parte del professionista dall’altra, senza che si rischiasse con questo di finire davanti al magistrato.
Il tema della condotta medica è un argomento fortemente dibattuto. A fronte a una situazione che presenta delle difformità sul territorio, da regione a regione, le linee guida assumono un’importanza strategica al fine di uniformare i diversi modelli territoriali a livello nazionale.
«Tuttavia il percorso verso le linee guida non è stato semplice in Italia anche perché è nato con un piede sbagliato come qualcosa che avrebbe deresponsabilizzato il professionista», ha ricordato l’onorevole Federico Gelli, presidente di Italia in Salute. Così inteso, il tema, ovviamente, non ha fatto che produrre una crescente sfiducia nei confronti del sistema sanitario nazionale.
«All’interno della legge abbiamo quindi inserito il concetto di ‘raccomandazione’ delle linee guida perché non possiamo pensare che i nostri professionisti possano ispirarsi alle linee guida come se si trattasse di un regolamento attuativo, anche perché ogni caso sanitario risente della specificità del caso concreto», ha ricordato Gelli.
Il decreto Balduzzi introduceva questo concetto ma di fatto non è mai stato applicato. Il problema successivo è stato capire chi potesse scrivere le linee guida perché nel succitato decreto si faceva riferimento a società scientifiche accreditate a livello nazionale e internazionale, cosa che a livello giuridico ha sollevato numerose questioni.
«Ecco quindi che molti hanno proposto di ispirarsi al modello inglese del NICE – The National Institute for Health and Care Excellence – ma è apparso subito evidente che non era possibile, in Italia, mettere su un’autorità indipendente e trovare risorse aggiuntive per finanziarla in tempi brevi», ha proseguito Gelli.
Si è quindi trovata una soluzione “domestica”, italiana, frutto di una elaborazione di un intuizione del Ministro Sirchia del 2004 che non aveva avuto seguito. Abbiamo quindi costituito un sistema nazionale che vedesse la collaborazione di società scientifiche accreditate che avessero i prerequisiti necessari richiesti.
E’ così che i decreti attuativi successivi sono serviti anche a definire i criteri di accreditamento delle società scientifiche sulla base di requisiti come l’indipendenza, la terzietà, la rappresentatività, la trasparenza e l’efficacia.
E’ stato quindi fatto un primo lavoro istruttorio al Ministero della Salute per poi affidare la regia all’Istituto Superiore di Sanità. E’ così che oggi le società scientifiche, gli enti di ricerca pubblici e privati le associazioni tecnico-professionali costituiscono gli attori delle linee guida del nostro sistema nazionale.
Conseguentemente, anche nel nostro paese, sebbene con lentezza, sono comparse le linee guida che hanno un valore scientifico e giuridico perché sono validate dall’Istituto Superiore di Sanità.
E’ stato quindi istituito presso l’Agenas l’Osservatorio delle buone pratiche.
«Queste due istituzioni hanno il compito di mettere insieme quanto di meglio è stato fatto a livello nazionale e internazionale. Ci sarà sempre la specificità del caso concreto, ma ci auguriamo che questo percorso possa dare maggiore sicurezza sia ai cittadini che ai professionisti della sanità», ha concluso Gelli.
La centralità delle linee guida per la pratica clinica è stata sottolineata anche da Walter Ricciardi, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Italia in Salute.
«Il rapporto medico paziente va pensato oggi in modo molto più complesso e non possiamo continuare a guardare alle organizzazioni e alla formazione dei medici come avveniva in passato quando la medicina era più arte che finanza o organizzazione», ha commentato Ricciardi.
Oggi non si può puntare più sulla “bravura e disponibilità del singolo”: è fondamentale mettere al centro della gestione la migliore pratica clinica ed al contempo elaborare i migliori processi per i pazienti, sviluppare servizi informativi efficaci, e, al contempo, far valere il buon senso nelle pratiche gestionali. I medici sono oggi chiamati a diventare manager competenti nella gestione delle persone, dell’azienda, e a migliorare la comunicazione e la sicurezza.
La sanità di oggi richiede collaborazione tra medici e manager, una visione condivisa e una maggiore informatizzazione dei sistemi: «lavorando in questa direzione possiamo farcela, diversamente, persevereranno difformità enormi sul territorio e continuerà la fuga dei cervelli migliori all’estero», ha ricordato Walter Ricciardi.
Una fotografia del ritardo italiano
Fidelia Cascini, responsabile del Programma di Ricerca di Italia in Salute, ha portato sul tavolo un caso concreto, quello di Federica, 39 anni: dopo la seconda gravidanza, le viene riscontrata una mastite prolungata dalla quale non riesce a guarire. I medici sono confusi e nessuno comprende cosa stia succedendo; la diagnosi arriva sei mesi dopo il primo accertamento diagnostico, quando Federica sta ancora allattando e ormai il tumore è metastatizzato. Federica muore poco dopo di carcinoma mammario e suo marito si rivolge al Tribunale.
«E questo è solo uno dei tanti casi giudiziari orfani di linee guida», ha sottolineato la Cascini.
Tuttavia, il processo di costituzione di un sistema italiano di linee guida è lento ed incerto: dalla legge 24 del 2017 ad oggi ci sono 3 linee guida disponibili, di cui due sulla sanità pubblica e solo una sulla pratica clinica. Ci sono 61 aggiornamenti di linee guida del 2018 in lavorazione e 53 nuove proposte delle società scientifiche. Ma quanto tempo ci vorrà?
Guardando al NICE, l’istituto vanta 315 linee guida: oltre 200 per la pratica clinica, circa 70 sulla sanità pubblica e altre riguardanti le più diverse questioni. Ogni anno vengono pubblicate 35 nuove linee guida, con circa 350 raccomandazioni ciascuna. Il NICE rinnova tutte le linee guida ogni cinque anni, destinando alla loro gestione 40 comitati. In Italia siamo decisamente in ritardo. Italia in Salute ha quindi creato una partnership con il Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio e l’Università Cattolica del Sacro Cuore con la mission di produrre nuove linee guida.
L’esperienza inglese del NICE
Ma ritornando al modello inglese è stata proprio la Direttrice Fiona Glen a parlarne: «Il NICE è stato istituito nel 1999 con l’obiettivo di ridurre le differenze in termini di disponibilità e qualità dei trattamenti nel paese. E il nostro ruolo è proprio quello di porre fine all’incertezza sui tipi di farmaci da utilizzare e sui trattamenti più appropriati.
Noi dobbiamo veramente riflettere su tematiche sulle quali gli altri preferiscono non soffermarsi. La nostra organizzazione genera moltissime linee guida e le decisioni che prendiamo devono essere attuate nel giro di 3 mesi dalla pubblicazione della nostra valutazione. Le linee guida del NICE non sono giuridicamente vincolanti ma comunque ci si aspetta che i professionisti della salute le prendano in considerazione quando devono emettere il loro giudizio clinico.
Tra i principi cardine del nostro lavoro basarsi sulle migliori evidenze del nostro settore, avvalendoci di professionisti esperti e consulenti esterni. Facciamo anche riunioni con i pazienti e i carers mostrando loro le nostre evidenze. Dopo che la linea guida è stata redatta si apre una sorta di consultazione pubblica e noi valutiamo quindi a tutti i feedback rispondendo a ciascun commento».
Il NICE dispone di uno staff di 600 persone e 13,5 milioni di sterline di risorse annue.
Andrea Piccioli, direttore generale dell’ISS ha ricordato come ci voglia tempo per sviluppare un sistema efficiente di Linee Guida e come il NICE vanti ormai un’esperienza ventennale.
L’Istituto Superiore di Sanità, ovviamente, non è il NICE, e, con il giusto tempo a disposizione, bisognerà mettere a punto un più efficiente modello organizzativo, e, soprattutto, occorrerà il personale di supporto adeguato otre alle risorse necessarie.
L’inizio del Centro Nazionale dell’Eccellenza Clinica – CNEC – è stato delineato da una serie di priorità: è stato prodotto un nuovo manuale metodologico; altresì, ha realizzato una piattaforma web a supporto del comitato strategico al quale è assegnato il compito di definire le aree prioritarie d’intervento nonché la definizione dei rapporti con gli stakeholder interessati. A oggi, ha ricordato Piccioli, «sono 450 le società scientifiche ammesse».
La Giurisprudenza
Per quanto concerne, infine, la giurisprudenza di legittimità sull’applicazione delle linee guida, Carlo Brusco, già presidente della IV Penale della Suprema Corte di Cassazione, ha ricordato come l’unica pronuncia sia quella delle Sezioni unite della Corte di cassazione (n. 8770, del 21 dicembre 2017), secondo cui la causa di non punibilità prevista dall’art. 590 sexies del codice penale non può riguardare la fase della selezione delle linee guida ma solo l’utilizzazione di quelle, correttamente scelte, ma nella cui applicazione l’agente sia incorso in un errore.
Sul punto la dottrina è in disaccordo, evidenziando come questa ricostruzione non sia appagante, ben potendo accadere che le linee guida potevano apparire adeguate in relazione alla situazione originariamente prospettata ma che, successivamente, non si rivelino tali nel corso del trattamento terapeutico.
Elena D’Alessandri