Indicazioni dall’ISS per la medicina di genere

La medicina di genere è un concetto abbastanza recente, che richiede in breve di valutare le patologie in base al sesso dei pazienti, così come l’efficacia dei farmaci. È sempre più chiaro, infatti, che maschi e femmine hanno una diversa predisposizione ad alcune patologie e rispondono in modo differente anche ai trattamenti. Per assicurare l’avvio, il mantenimento nel tempo e il monitoraggio dei lavori svolti del Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, predisposto dal Ministero della Salute, nel 2020 è stato istituito l’Osservatorio sulla Medicina di Genere.

Questo si è riunito nei giorni scorsi, evidenziando passi avanti nel nostro Paese: basandosi sulle azioni svolte da un campione di Società scientifiche e Associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, infatti, è possibile osservare la tendenza a istituire gruppi di lavoro specifici al loro interno sulla medicina di genere e a organizzare all’interno dei Convegni delle sessioni ad hoc (53%).

Meno diffusa l’abitudine di predisporre survey specifiche (31%) e ancor meno a pubblicare informazioni divulgative sul tema (9%). Dati comunque interessanti, che indicano come cresca, nella comunità scientifica italiana, la consapevolezza di dover costruire il futuro della ricerca biomedica alla luce delle differenze di genere. Per aiutare chi dedica la propria vita alla ricerca a perseguire questo obiettivo, l’ISS ha anche licenziato un documento dal titolo “Linee di indirizzo per l’applicazione della Medicina di Genere nella ricerca e negli studi preclinici e clinici”.

Il testo mette in evidenza, per esempio, la necessità di tenere c1onto degli aspetti ormonali, genetici ed epigenetici, dello stato del microbiota e dello stress nel formulare ipotesi e leggere i dati di uno studio. Ma non solo, anche gli aspetti psicologici devono essere ponderati, così come quelli inerenti gli stili di vita ed eventuali fattori culturali ed etnici. Più in generale, quale che sia l’ambito della ricerca, gli autori devono innanzitutto verificare se in letteratura ci siano già lavori che indicano differenze tra uomini e donne rispetto al fenomeno preso in considerazione.

Se così non fosse, allora si possono fare ipotesi, da confermare o confutare, ponendo attenzione a capire se il genere è una variabile indipendente o meno. Quando si parla di studi preclinici le variabili aumentano ulteriormente. Di solito questi studi vengono condotti in vitro su linee cellulari, spesso derivate da homo sapiens sapiens, ma non sempre. Per evitare che vi siano influenze sui risultati legati al sesso del donatore, occorre che i ricercatori usino cellule isolate, rigorosamente controllate a livello genetico e molecolare, per tenere conto di questi fattori.

Alternativamente, sapendo se il donatore è uomo o donna, si può usare la linea cellulare per studiare gli effetti del genere su un dato fenomeno. Importante, poi, fare attenzione al rilascio, da parte degli strumenti comunemente utilizzati in lavoratorio, di molecole simil estrogeno che possono agire sulle cellule di derivazione femminile come ormoni: un esempio comune è la plastica. Gli ormoni “non voluti” vanno tenuti sotto controllo anche negli studi preclinici che utilizzano animali, nei quali occorre anche fare attenzione a includere individui di entrambi i sessi.

Quando si passa a uomo, per esempio per studi epidemiologici, i dati vanno disgregati non solo per genere, ma anche per età: sappiamo, infatti, che una delle maggiori diversità tra uomo e donna è rappresentata dagli ormoni e questi cambiano molto, nella donna, a seconda dell’età. Se lo studio è invece clinico, focalizzato sulla diagnosi e cura di una malattia, allora vanno ricercati biomarcatori specifici per il genere, se ci sono.

Stefania Somaré