HLH secondaria, trovato esame di laboratorio per una diagnosi precoce

Linfocita T (elaborazione grafica di un linfocita T a cura del laboratorio 3D dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma)

La linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) secondaria è una rara e grave sindrome iperinfiammatoria caratterizzata da eccessiva attivazione delle cellule spazzino, che arrivano a eliminare anche le cellule sane, causando uno stato infiammatorio elevato a livello sistemico e insufficienze d’organo.

Data la sua natura secondaria, questa malattia può associarsi a diverse patologie, come complicanza: può derivare da un’infiammazione virale, come la MIS-C associata al Covid-19, o da neoplasie maligne, malattie metaboliche, malattie autoimmuni e malattie reumatiche, per fare qualche esempio. In quest’ultimo caso, si definisce sindrome da attivazione macrofagica (MAS).

I sintomi di questa patologia possono essere considerati aspecifici, anche se visti nel loro insieme possono far sorgere un sospetto clinico: febbre elevata, che non risponde o risponde poco agli antipiretici; ingrossamento di linfonodi, del fegato e della milza; emorragie; cefalea o convulsioni; insufficienza epatica e renale. Grazie a uno studio condotto dall’area di ricerca di Immunologia in collaborazione con quella di Oncoematologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma oggi esiste un semplice test di laboratorio che può confermare questo dubbio clinico in poco tempo e avviare i piccoli pazienti alle cure più adeguate.

Le analisi di laboratorio devono cercare la sottopopolazione dei linfociti T che esprimono marcatori di membrana CD38, HLA-DR e CD8: una loro presenza eccessiva è indice proprio di HLH secondaria. Nel loro studio gli autori hanno confrontato la presenza di questi particolari linfociti in pazienti con HLH secondaria e in altri con patologie autoinfiammatorie, confermandone la specificità diagnostica. 99 i pazienti pediatrici coinvolti, dei quali 46 con HLH secondaria conclamata. Per l’indagine dei campioni è stata utilizzata la citofluorimetria o citometria a flusso, una tecnica multiparametrica di laboratorio che fornisce per ogni cellula numerosi dati, quali vitalità, dimensioni, complessità e fenotipo.

Lo studio ha anche evidenziato come al crescere della popolazione di questi linfociti peggiori anche la prognosi del paziente. La dottoressa Giusi Prencipe, biotecnologo medico del Bambino Gesù e coordinatrice dello studio, spiega: «uno degli aspetti più importanti dei risultati ottenuti con questo studio è l’immediata traslazionalità. Vale a dire che è possibile, come stiamo già facendo presso il nostro Ospedale, trasferire subito i risultati nella pratica clinica a tutto vantaggio dei bambini e delle loro famiglie».

I risultati di questo studio, pubblicato sulla rivista “Blood”, permettono di migliorare da subito diagnosi e cura della HLH secondaria, avviando i pazienti precocemente ai trattamenti più appropriati e migliorandone la prognosi.

Interviene Fabrizio De Benedetti, responsabile dell’Unità Operativa di Reumatologia dell’Ospedale: «non è sempre facile riconoscere l’HLH attraverso i sintomi e i classici esami di laboratorio, soprattutto all’esordio. Con l’individuazione di questa popolazione cellulare è invece possibile effettuare precocemente sia la diagnosi che la prognosi. Un risultato ancora più importante se si pensa alle possibilità offerte dai nuovi famarci biologici, come l’anticorpo monoclonale emapalumab».

Da poco si è infatti conclusa anche la sperimentazione sull’uso del farmaco per la HLH secondaria, i cui risultati sono presentati al congresso europeo di reumatologia EULAR 2022.

(Lo studio: De Matteis A, Colucci M, Rossi MN, Caiello I, Merli P, Tumino N, Bertaina V, Pardeo M, Bracaglia C, Locatelli F, De Benedetti F, Prencipe G. Expansion of CD4dimCD8+T cells characterizes macrophage activation syndrome and other secondary HLH. Blood. 2022 May 2:blood.2021013549. doi: 10.1182/blood.2021013549. Epub ahead of print. PMID: 35500103)

Stefania Somaré