Cordomi: un summit per aggiornare le linee guida

I cordomi sono tumori rari con incidenza inferiore a un caso ogni milione di abitanti l’anno. Silenti, lenti e aggressivi, si sviluppano in aree critiche della colonna e vengono diagnosticati in fase avanzata, ledendo funzioni vitali del paziente e compromettendone la qualità di vita.
Data la bassa incidenza, sono tumori poco conosciuti e per i quali scarseggiano protocolli condivisi. Tradizionalmente questi tumori vengono trattati con un intervento di resezione chirurgica, che però può dare esiti gravi in termini di disabilità. Si tratta, infatti, di un intervento spesso complesso.
Al tema è stato dedicato un summit guidato dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

L’importanza del primo trattamento

Quando si fa una diagnosi per cordoma è fondamentale la scelta del primo trattamento, perché un approccio scorretto in questa fase può essere causa di recidive.

Spiega Alessandro Gronchi, direttore della Chirurgia dei Sarcomi e del Dipartimento di Chirurgia dell’Istituto Nazionale dei Tumori: «in questi casi non esiste una seconda possibilità. La qualità della prima cura fa la differenza tra la guarigione e la disabilità.

Tecnologie come la chirurgia robotica e la radioterapia con particelle pesanti stanno cambiando la prospettiva: permettono trattamenti più precisi e meno demolitivi».

Per capire qual è l’approccio terapeutico migliore nelle fasi iniziali, l’Istituto milanese ha avviato lo studio internazionale SACRO. Promosso dall’Italian Sarcoma Group, lo studio intende mettere a confronto gli esiti ottenuti con la chirurgia tradizionale con quelli dati dalla radioterapia a protoni e ioni di carbonio. Allo studio partecipano 34 centri esperti di cordoma, per un totale di 150 pazienti.

L’obiettivo è individuare tecnologie e strategie terapeutiche che permettano di eliminare il tumore in modo preciso senza ledere le funzioni neurologiche del paziente.

Preservare i tessuti sani per migliorare la qualità di vita

Quando si parla dei trattamenti chirurgici oggi utilizzati in molte realtà per trattare i cordomi, Gronchi dichiara: «sono interventi estremi, da evitare ogni volta che sia possibile – e oggi, in molti casi, lo è».

Durante il summit si è anche parlato dell’uso della chirurgia robot assistita da utilizzare in caso di necessità di intervento per facilitarlo e limitare al massimo i rischi di cui si è detto prima. Infatti, «chirurgia robotica da una parte e radioterapia con particelle pesanti dall’altra stanno cambiando la prospettiva terapeutica di questi tumori, permettendo trattamenti più precisi e meno demolitivi».

Infine, Josh Sommer, ricercatore in biologia che ha ricevuto una diagnosi di cordoma a 16 anni, ha parlato dei dei modelli preclinici cui si occupa da anni con la sua Chordoma Foundation.

«Sommer ha anche studiato nuovi farmaci e costruito una rete globale che sta cambiando la storia della malattia. Una rivoluzione culturale, prima ancora che scientifica», come sottolineato da Silvia Stacchiotti, oncologa presso la Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, presidente dell’Italian Sarcoma Group e della Connective Tissue Oncology Society.

Fonte: CS