La terapia dei tumori sta diventando sempre più precisa e personalizzata grazie anche all’arrivo nella pratica clinica di test innovativi, in grado di orientare il medico verso il trattamento più efficace per il singolo paziente.
Questo vale anche per i tumori del seno. Dei circa 56 mila nuovi casi che si registrano ogni anno in Italia, il 65-75% sono definiti ormono-responsivi; le cellule tumorali cioè espongono i recettori per gli estrogeni, che rappresentano un importante bersaglio terapeutico. Per queste pazienti, una delle novità più importanti degli ultimi anni, in termini di medicina di precisione, è rappresentata dall’arrivo dei test genomici, che aiutano a personalizzare il loro percorso di cura, dopo l’intervento chirurgico.
Infatti, non tutte le pazienti necessitano della chemioterapia; molte di loro possono essere trattate in sicurezza con la sola ormonoterapia.
«Nelle pazienti che mostrano una forma aggressiva di tumore, il trattamento più idoneo, dopo l’intervento chirurgico è la chemioterapia», spiega Alessandra Fabi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile di Medicina di Precisione in Senologia, Fondazione Policlinico Gemelli Irccs, «al contrario, in quelle con le forme a bassa aggressività si può procedere solo con l’ormonoterapia. Tra queste due categorie di pazienti, ce n’è una terza, che può avvantaggiarsi del test Oncotype; si tratta di donne con un tumore invasivo in stadio precoce (stadio I, II o III), ormono-sensibile ed HER2 negativo, senza coinvolgimento dei linfonodi o al massimo con fino a tre linfonodi interessati (in caso di donne in menopausa). In queste donne, il test genomico aiuta il medico a valutare il rischio di recidiva e a guidare la scelta terapeutica tra la semplice ormono-terapia o la chemioterapia seguita dall’ormono-terapia».

Il test Oncotype Dx
Il test genomico più utilizzato è l’Oncotype Dx e si effettua su un campione di tessuto tumorale prelevato durante l’intervento chirurgico e analizza l’espressione di 21 geni, che valutano caratteristiche di aggressività e il grado di ormono-responsività del tumore.
«L’applicazione di questo test», spiega la prof.ssa Fabi, «ha consentito di ridurre del 48% il ricorso alla chemioterapia in questo gruppo di pazienti (cioè di risparmiarla a circa 6.000 pazienti l’anno); si tratta di 2 pazienti su 3 in post menopausa con neoplasia della mammella operata e di 1 su tre tra quelle in pre menopausa. Poter evitare la chemioterapia significa ridurre la tossicità dei trattamenti, migliorare la qualità di vita delle pazienti, senza pregiudicare la loro efficacia; ma anche ridurre costi diretti e indiretti del Servizio Sanitari Nazionale. Abbiamo calcolato che il test andrebbe offerto ogni anno a circa 13 mila pazienti che rispondono alle caratteristiche di eleggibilità».
In Italia, nel 2020 è stato creato un fondo speciale di 20 milioni di euro per poter offrire questo test a circa 10.000 pazienti l’anno. Alcune Regioni (come Lazio, Lombardia e Campania) hanno utilizzato il test disponibile, ma in altre Regioni l’utilizzo del test è rimasto solo marginale.
«Il nostro augurio», afferma il prof. Gianluca Franceschini, ordinario di Chirurgia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore della UOC di Chirurgia Senologica e del Centro Integrato di Senologia di Fondazione Policlinico Gemelli Irccs, «è che Oncotype Dx possa essere inserito presto nei LEA per garantirne l’utilizzo anche in futuro in tutto il territorio nazionale».

Come spiegato da Franceschini, sono in corso degli studi osservazionali per definire in sottogruppi di popolazione il miglior trattamento anti-ormonale dopo il test, oppure per valutare l’impiego di Oncotype Dx in fase pre-operatoria.
«Da questi studi, che si stanno definendo nel loro disegno e che ne vede alcuni già attivi anche nell’ambito del gruppo GIM (Gruppo Italiano Mammella), ci aspettiamo di ricevere ulteriori indicazioni. Potrebbe derivarne ad esempio l’indicazione che, in alcune pazienti, sarà possibile risparmiare anche la chemioterapia neoadiuvante (cioè prima dell’intervento chirurgico) perché sarebbe sufficiente sottoporle ad ormonoterapia con farmaci di ultima generazione, prima dell’intervento» conclude Franceschini.


