Il termine “epidemia” indica l’insieme di malattie che attaccano nello stesso tempo e luogo un gran numero di persone, in diffusione per contagio determinato dalla trasmissione degli agenti eziologici da un individuo portatore a uno sano mediante contatto diretto o indiretto.

La tipologia degli agenti eziologici è in classifica per gravità e intensità di effetti ai fini delle misure di profilassi, prevenzione e contumacia nel D.M. 15/12/1990 (Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive) e successive integrazioni e modifiche.
Comportamenti dolosi e colposi idonei, nel caso concreto, a determinare insorgenza e diffusione di un’epidemia sono contemplati nel Codice Penale dall’art. 438, che recita: «Chiunque cagiona un’epidemia mediante diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo».
Il reato in esame punisce la condotta di chi mette in pericolo la sicurezza della vita, dell’integrità fisica e/o della salute di un numero indeterminato di persone mediante diffusione di germi patogeni ovvero di microrganismi di qualsiasi specie, idonei a cagionare o trasmettere un morbo capace di diffondersi. «Non è, dunque, sufficiente l’ammalarsi contemporaneo di più persone, essendo necessario anche il pericolo di ulteriore diffusione del male».(1)

Alcuni casi

Apriamo il percorso d’esame della fattispecie di condotta di questa inadempienza in richiamo del giudicato della Corte di Cassazione (sez. I – 30/10/2019, n. 48014) che «ha escluso che integrasse gli estremi del delitto in parola la condotta dell’imputato che aveva consapevolmente trasmesso il virus dell’HIV, da cui era affetto, a una trentina di donne con le quali avuto rapporti sessuali non protetti nel corso di nove anni, rilevando come il numero cospicuo, ma non ingente, delle stesse e l’ampiezza dell’arco temporale in cui si era verificato il contagio, unitamente al numero altrettanto cospicuo di donne che, pur congiuntesi senza protezione con l’imputato, non era rimasto infettato, deponesse per il difetto della connotazione fondamentale del fenomeno epidemico della facile trasmissibilità della malattia a un numero potenzialmente sempre maggiore di persone”.(2)

Infatti, secondo la stessa Corte, «l’evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, è in grado di infettare, nello stesso tempo e luogo, una moltitudine di destinatari recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione.

Ne consegue che le forme di contagio per contatto fisico tra agente e vittima, benché di per sé non estranee alla nozione di “diffusione di agenti patogeni» di cui all’art. 438 c.p., non costituiscono, di regola, antecedenti causali di detto fenomeno.

L’evento tipico dell’epidemia si connota per la diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante e indeterminato di soggetti in un arco temporale limitato: ciò che deve escludersi nella condotta di chi abbia contagiato un numero di persone, per quanto cospicuo (circa 37), certo non ingente, in un arco di tempo molto ampio (circa 9 anni)».

Anche in altra ipotesi il Tribunale sez. uff. indagini prel. di Savona 6/2/2008, ha ritenuto che “elementi costitutivi, in senso materiale, della fattispecie preveduta e punita dall’art. 438 c.p. sono: la rapidità della diffusione, la diffusibilità a un numero indeterminato e notevole di persone, l’ampia estensione territoriale della diffusione del male.

Il reato deve, perciò, escludersi se l’insorgere e lo sviluppo della malattia si esauriscano nell’ambito di un ristretto numero di persone che hanno ingerito un pasto infettato dal germe della salmonella».(3) La condotta relativa al reato di epidemia può essere posta in essere da chiunque: non è richiesta dalla norma alcuna particolare qualifica o qualità.

Precisazioni

Va precisato che «non incorre nel reato di epidemia colposa chiunque, in qualsiasi modo, provochi un’epidemia, come per esempio, chi, sapendosi affetto da male contagioso si mescoli alla folla pur prevedendo che infetterà altre persone.

Infatti, la norma – che per ragioni logiche, anche in vista del criterio storico, dev’essere interpretata restrittivamente – non punisce chiunque cagioni un’epidemia, ma chi la cagioni mediante la diffusione di germi patogeni di cui abbia il possesso, anche in vivo (animali di laboratorio), mentre deve escludersi che una persona affetta da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che l’affliggono».(4)

«Le condotte dirette a integrare la fattispecie criminosa di epidemia possono essere tanto attive quanto omissive: in tal ultimo caso, ai sensi dell’art. 40, comma 2, il reo risponde del delitto di epidemia là dove, avendone l’obbligo giuridico, abbia consapevolmente e volontariamente omesso d’impedire la verificazione della diffusione degli agenti patogeni con la conseguente epidemia».(5)

Inoltre, il reato in questione richiede «la coscienza e volontà di dar vita, mediante le modalità strumentali indicate dal legislatore, a un’epidemia: ne deriva la necessaria consapevolezza, da parte dell’agente, dell’efficacia patogenetica dei germi diffusi».(6)

«Esso fu introdotto dal legislatore del ’30 in relazione alle incrementate possibilità, in forza degli sviluppi della ricerca scientifica, di procurarsi colture di germi patogeni e diffonderli».(7)

Esso «tutela (quale bene giuridico) la salute pubblica8, atteso che l’epidemia, ancorché danneggi i soli soggetti colpiti, deve ritenersi fonte di minaccia di possibili danni ulteriori, tali da coinvolgere un numero indeterminato di persone non ancora aggredite: proprio tale particolare diffusività e incontrollabilità del fenomeno epidemico giustifica la gravità del reato e il rigore del trattamento sanzionatorio».(9)

«La tutela della salute pubblica (art. 32 Cost.) esprime l’esigenza che il contagio di malattie infettive, che abbia già interessato un certo numero di individui, non ne colpisca altri in modo da incrinare la sicurezza delle condizioni di salute della collettività».(10)

Il Tribunale di Trento (16/7/2004) ha messo in evidenza che «ai fini della configurabilità del reato di epidemia, non è sufficiente un evento c.d. “superindividuale”, generico e completamente astratto, ossia avulso dalla verifica di casi concreti causalmente ricollegabili alla condotta del soggetto agente, ciò che porterebbe a confondere il concetto di evento con quello di pericolo.

Viceversa, il pericolo per la pubblica incolumità che la condotta di epidemia deve determinare e che è dato dalla potenzialità espansiva della malattia contagiosa, è sì un pericolo per un bene “superindividuale”, ma è un pericolo susseguente, il cui accertamento presuppone, perché la fattispecie possa dirsi integrata, la preventiva verifica circa la causazione di un evento dannoso per un certo numero di persone, per giunta ricollegabile, sotto il profilo causale, alla condotta tenuta dal soggetto agente».(11)
«Il reato di epidemia si consuma nel momento in cui si verifica l’epidemia».(12)

Tentativo di epidemia

«Il tentativo di epidemia, invece, consiste nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a provocare un’epidemia mediante lo spargimento di germi patogeni ed è configurabile qualora si sia avuta diffusione di germi patogeni senza che sia derivata l’epidemia, o se il contagio si sia arrestato a pochi casi.(13)

L’idoneità degli atti compiuti deve essere valutata sia in relazione alla qualità dei germi diffusi sia alle modalità della diffusione».(14)
La verificazione della morte non determina aggravamento della pena: il reato di epidemia è un reato di pericolo concreto connesso all’idoneità diffusiva del male propria dell’epidemia (15).
Nel fatto della morte potrebbe ravvisarsi un evento relativo a una fattispecie autonoma di reato di danno (16).

Reato colposo

«Il reato di epidemia è reato procedibile d’ufficio e di competenza della Corte d’Assise. Per tale reato: l’arresto in flagranza è obbligatorio, il fermo è consentito, l’applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita»(17).

L’art. 452 c.p.18 prevede la forma colposa del suddetto reato. «Esso prevede il rafforzamento della tutela della salute pubblica qualora insidiata, posta in pericolo o lesa attraverso le medesime condotte previste dall’art. 438 c.p. contrarie a regole precauzionali e, dunque, attraverso la violazione di norme cautelari idonee a fondare il giudizio di colpa a carico dell’agente.

Si richiede, a tal fine, la violazione di una regola cautelare d’origine sociale (colpa generica) o di una regola espressamente prevista da una fonte formale (colpa specifica) il cui scopo è rappresentato dalla prevenzione relativa alla verificazione di fatti del tipo di quelli previsti dall’art. 438 c.p. richiamato, tra l’altro, dall’art. 452 c.p. in relazione alla corrispondente fattispecie dolosa»(19).

«L’elemento psicologico nel reato colposo di epidemia consiste nel diffondere, per negligenza, imperizia o inosservanza di disposizioni, germi che l’agente conosce come patogeni, senza intenzione di cagionare un’epidemia»(20).

Inoltre, la giurisprudenza ritiene che, a differenza della forma dolosa, «in tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 c.p., con la locuzione «mediante diffusione di germi patogeni», richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma 2, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera»(21).

«Nella specie, si discuteva di un caso di contaminazione dell’acqua pubblica che aveva determinato un’infezione di gastroenterite nella popolazione; la Suprema corte ha riqualificato il reato contestato di epidemia colposa in quello di adulterazione colposa di acque destinate all’alimentazione, di cui agli art. 40, comma 2, 440, comma 1, e 452, comma 2, c.p.»(22).

La stessa giurisprudenza ha precisato che «è da escludere il reato di epidemia colposa (artt. 438, 452 c.p.), in quanto quest’ultima fattispecie, presupponente la volontaria diffusione di germi patogeni, sia pure per negligenza, imprudenza o imperizia, con conseguente incontrollabilità dell’eventuale patologia in un dato territorio e su un numero indeterminabile di soggetti, non appare conciliarsi con l’addebito di responsabilità a carico del Ministero, prospettato in termini di omessa sorveglianza sulla distribuzione del sangue e dei suoi derivati: in ogni caso, la posizione del Ministero è quella di un soggetto non a diretto contatto con la fonte del rischio. A ciò si aggiunga che elementi connotanti il reato di epidemia sono:

  • a) la sua diffusività incontrollabile in un numero rilevante di soggetti, mentre nel caso dell’HCV e dell’HBV non si è al cospetto di malattie a sviluppo rapido e autonomo verso un numero indeterminato di soggetti
  • b) l’assenza di un fattore umano imputabile per il trasferimento da soggetto a soggetto, mentre nella fattispecie è necessaria l’attività di emotrasfusione con sangue infetto
  • c) il carattere contagioso e diffuso del morbo
  • d) la durata cronologicamente limitata del fenomeno (poiché altrimenti si verserebbe in endemia)»(23).

Dunque, «qualora i soggetti contagiati da infezioni da HBV, HCV e HIV, a seguito di trasfusioni o assunzioni di emoderivati, abbiano fatto valere la responsabilità dell’amministrazione sanitaria, addebitandole l’omessa sorveglianza sulla distribuzione del sangue e dei suoi derivati, non sono configurabili i reati di epidemia colposa o di lesioni colpose plurime»(24).

Sempre partendo dagli elementi costitutivi, in senso materiale, del reato di epidemia colposa, la giurisprudenza ha messo in evidenza che il reato debba «escludersi se l’insorgere e lo sviluppo della malattia si esauriscano nell’ambito di un ente ospedaliero»(25).
Il reato nella sua forma colposa è procedibile d’ufficio e di competenza del Tribunale monocratico in alcune ipotesi e del Tribunale collegiale in relazione ad altre ipotesi.

Per tale reato:

  • l’arresto in flagranza è facoltativo o meno a seconda delle diverse ipotesi previste dall’art. 452 c.p.
  • il fermo è consentito o meno a seconda delle diverse ipotesi previste dall’art. 452 c.p.
  • l’applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita o meno a seconda delle diverse ipotesi previste dall’art. 452 c.p.

Infine, è importante menzionare la disposizione contenuta nell’art. 448 c.p., che prevede che la condanna per il reato di epidemia, nella forma dolosa, importa la pubblicazione della sentenza.

La relazione tra il comportamento dell’attore (attivo/passivo) nel determinare e consumare gli effetti di danno erga omnes nella costituzione del reato di epidemia e la documentazione di un nesso di causalità nella singola fattispecie, non consente allo stato di definire orientamenti non confutabili sul piano giuridico per la complessità e diversità di fattori di confluenza che danno specificità di certezza nella formazione del giudicato per il caso concreto.

Bibliografia
• Ardizzone, Epidemia, in Dig. d. pen., IV, Torino, 1990
• Battaglini, Bruno, Incolumità pubblica (delitti contro la), in Nss. D. I., VIII, Torino, 1965
• Erra, Epidemia, in Enc. dir., XV, Milano, 1966
• Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2012
• Nappi, I delitti contro la salute pubblica, in Giur. sist. dir. pen. Bricola, Zagrebelsky, IV, 651
• Zuccalà G., Nota introduttiva al capo II, titolo III, libro I, agg. da Zuccalà M.A., in Comm. Crespi, Forti, Zuccalà, 229
• Codice penale commentato, Marco dell’Utri, Sergio Beltrani

Note
1) Fiandaca e Musco, 538; Erra, 47; Codice penale commentato, Marco dell’Utri, Sergio Beltrani
2) CED Cass. pen. 2020
3) Riv. pen. 2008, 6, 671
4) Tribunale Bolzano, 13/3/1979 in Giur. merito 1979, 945
5-6-12-17-19) Codice penale commentato, Marco dell’Utri, Sergio Beltrani
7) Fiandaca e Musco, 537; Codice penale commentato, Marco dell’Utri, Sergio Beltrani
8-10) Ardizzone, 253; Codice penale commentato, Marco dell’Utri, Sergio Beltrani
9) Fiandaca e Musco, 537; Codice penale commentato, Marco dell’Utri, Sergio Beltrani
11) Riv. pen. 2004, 1231
13) Ardizzone, 254; Codice penale commentato, Marco dell’Utri, Sergio Beltrani
14) Battaglini, Bruno, 559; Erra, 48; Codice penale commentato
15) Ardizzone, 254; Nappi, 651
16) Zuccalà, 229
18) Libro secondo dei delitti in particolare, titolo VI dei delitti contro l’incolumità pubblica
Capo III dei delitti colposi di comune pericolo art. 452 Delitti colposi contro la salute pubblica. [I]. Chiunque commette, per colpa [43], alcuno dei fatti preveduti dagli art. 438 e 439 è punito:
a) [con la reclusione da 3 a 12 anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscano la pena di morte] (1)
b) con la reclusione da 1 a 5 anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo
c) con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, nel caso in cui l’art. 439 stabilisce la reclusione.
[II]. Quando sia commesso per colpa [43] alcuno dei fatti preveduti dagli art. 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto.
20) Tribunale Bolzano, 2/3/1979 in Giur. merito 1979, 945
21) Cassazione penale sez. IV, 12/12/2017, n. 9133 in Cassazione penale 2019, 8, 2948 (nota di: Mazzanti), in Cassazione penale 2018, 10, 3214 (nota di: Rossi), in CED Cass. pen. 2018
22) Foro it. 2018, 11, II, 679
23-24) Cassazione civile sez. un. 11/1/2008, n. 581; Cassazione civile sez. III, 19/12/2013, n. 28464; Cassazione civile sez. un., 11/1/2008, n. 576
25) Tribunale Bolzano, 20/6/1978 in Giur. merito 1979, 945

Romilde Attingenti
avvocato, Società Italiana di Tecnica Ospedaliera