Emergenza-Urgenza, specialisti in affanno

Boarding dei pazienti e carichi di lavoro sempre in aumento e che vanno oltre il consentito: Fabio DeIaco, dell’Accademia Direttori SIMEU, analizza da vicino i due aspetti più critici dell’area dedicata all’Emergenza-Urgenza.

Nel tracciare il quadro della situazione attuale, indica le possibili soluzioni alle quali mettere mano affinché gli specialisti impegnati nelle strutture ospedaliere italiane abbiano maggiori tutele professionali e siano incentivati a non abbandonare il loro posto. Tra i motivi che portano alla disaffezione per la disciplina, un ruolo tutt’altro che secondario ha la cattiva qualità della vita.

«Il sovraccarico lavorativo», spiega Fabio De Iaco, responsabile dell’Accademia Direttori dell’Associazione Italiana Medicina di Emergenza Urgenza e past president della stessa SIMEU, «è dovuto a più fattori di criticità sommati assieme.
Ne cito subito uno: gli accessi definibili non urgenti e che interessano i pazienti costretti a rivolgersi al Pronto Soccorso tradizionale in assenza di valide alternative di ambito territoriale.

Tuttavia, il vero nodo da sciogliere sta altrove. Infatti, non è esclusivamente correlato a questa situazione descritta nello specifico – seppur rilevante a livello quantitativo – bensì a concomitanze molteplici, a iniziare dal boarding.
Ovvero dal fatto che all’interno dei Pronto Soccorso si siano ormai istituzionalizzati veri e propri reparti fantasma che, in determinate circostanze, possono arrivare a contare 40-50 pazienti ogni mattina in aggiunta a quelli in corso di valutazione e osservazione».

Fabio De Iaco, responsabile dell’Accademia Direttori dell’Associazione Italiana Medicina di Emergenza Urgenza e past president della stessa SIMEU

Distonia numerica tra reparti di degenza e afflusso al Pronto Soccorso

«Quando si è ogni giorno alle prese con decine di persone in attesa, di fatto significa gestire e dare risposte e assistenza a uno-due reparti di Medicina o Geriatria o Medicina d’Urgenza.

Che cosa significa in concreto? Che a differenza dei normali reparti di degenza, organizzati a numero chiuso e fisso, noi non siamo altrettanto tarati su un numero massimo di pazienti per singolo operatore: che si tratti di medico o infermiere poco cambia.

Mi spiego meglio: se in un reparto di Medicina, di solito, il rapporto tra medico e paziente è di 1 a 8, in Emergenza-Urgenza non è infrequente evidenziare rapporti di 1 a 20 o addirittura di 1 a 25.

Si tenga poi a mente che, rispetto ai reparti di degenza, il più delle volte non riusciamo a dare continuità all’attività svolta dai singoli specialisti. Ogni giorno, o quasi, chi entra in servizio deve ricominciare da capo perché non conosce i pazienti, non ha il loro storico e va riaggiornato passo a passo.
Ciò non accade negli altri reparti ospedalieri, considerando i pazienti presi in carico da più tempo e già valutati.

Un altro aspetto inerente al sovraccarico lavorativo è quello strettamente connesso all’afflusso di Pronto Soccorso. Pur con la variabile delle zone, dei periodi e delle singole città, non è raro che in un Pronto Soccorso normale, di notte, non ci si fermi un solo minuto a fronte dell’ingresso continuo di persone e della gestione dei pazienti già presenti in struttura: uno scenario molto diverso, e particolarmente impegnativo, da una qualsiasi altra guardia notturna in ospedale pur lavorando tanto.

Facendo i debiti raffronti, il risultato di forte stress e palese sovraccarico ne è la logica conseguenza. Tale condizione costantemente crescente, raggiungendo livelli d’intensità che rischiano di divenire presto insostenibili, con le ovvie conseguenze sulla qualità di vita degli operatori, è la principale causa della disaffezione per la disciplina e della fuga dei professionisti già in servizio. È vitale intervenire rapidamente al fine di migliorare la qualità del lavoro e ridurre il disagio dei medici, mettendo in atto tutte le azioni utili».

Soluzioni ipotizzabili

Quali soluzioni si possono adottare per calmierare e risolvere le maggiori criticità? «Senza ombra di dubbio, in primis, aumentare il numero degli operatori di Pronto Soccorso: medici e infermieri. Poi, diminuire gli accessi di Pronto Soccorso, cercando in particolare d’intervenire su quelli non urgenti, che devono poter contare su un’altra destinazione.

Eliminare il fenomeno del boarding, coinvolgendo l’intera struttura ospedaliera e facendo sì che non rimanga un problema confinato al piano terra ma diventi compartecipazione di tutti i reparti.

Sono soluzioni difficili da percorrere e da ottenere. A parte qualche esempio virtuoso», commenta De Iaco, «in linea di massima, soprattutto per quel che riguarda il fenomeno del boarding, quest’ultimo rimane nella competenza totale del Pronto Soccorso. Sono abbastanza rari i casi, nel nostro Paese, nei quali i reparti vengono in aiuto e se ne fanno carico in parte.

Del resto, le sterminate distese di barelle rappresentano visivamente una realtà ben documentata dalla tv.
Certo, va detto, vi sono anche motivazioni oggettive che impediscono ai reparti di essere parte attiva del processo: come l’impossibilità a sistemare le barelle per mancanza di spazio o impedimenti di ordine logistico oppure perché lo stesso reparto è in dichiarata sofferenza sotto il profilo degli organici o, ancora, perché il reparto che dovrebbe ricevere i pazienti in ricovero ha enorme difficoltà a far uscire i pazienti ricoverati in precedenza a causa della carenza estrema di posti nelle strutture territoriali post ospedaliere destinate a ospitarli».

Carenza di posti sul territorio destinati al post ricovero ospedaliero

«Mi si permetta un’annotazione fondamentale. In questo momento», aggiunge De Iaco, «la gran parte dei ricoveri in Medicina, piuttosto che in Geriatria, riguarda persone anziane, polipatologiche, croniche con una lunga storia di difficoltà cliniche e bisogni socioassistenziali correlati. Pertanto, con altrettanta necessità di lasciare l’ospedale per entrare in un’altra struttura istituzionalizzata che sia adatta a loro: RSA, lungodegenze o case di riposo.

C’è, però, un evidente squilibrio tra la richiesta proveniente dai reparti ospedalieri di degenza e le opportunità di accettazione offerte da queste strutture. Distonia che provoca un blocco che si ripercuote sul Pronto Soccorso. Faccio un paragone di tipo idraulico: il Pronto Soccorso è simile a un sifone in cui tutto s’inceppa se il resto dell’impianto non è in grado di fare la propria parte durante il normale ciclo di afflusso e deflusso.

Morale: da un lato, si ha l’accesso continuo di pazienti, ognuno con problematiche distinte, e nel sifone si fermano quelli che aspettano di trovare uno sbocco verso le strutture degenziali. Se il passaggio viene meno o, peggio ancora, si ostruisce e il meccanismo è costretto a rallentare, l’ingorgo è inevitabile. A livello regionale queste situazioni sono ben note e vengono solitamente affrontate anche sul piano della programmazione.

In Piemonte, dove io mi trovo, su tali tematiche si è lavorato parecchio in modo da facilitare almeno una parte delle uscite verso le realtà territoriali. Il gap, però, è che ci si scontra con l’insufficienza di tali strutture: gravemente carenti nel numero, nelle capacità di accoglienza rispetto alle necessità reali. Soprattutto ora, con i cambiamenti epidemiologici conosciuti negli ultimi anni e con l’incremento dell’anzianità e delle cronicità».