Riferendosi al DDL Calderoli sull’autonomia differenziata delle Regioni, Fondazione GIMBE ha più volte fatto notare che tale autonomia influenzerebbe anche due ambiti strettamente sociali: scuola e sanità.

Per offrire spunti maggiori la Fondazione ha prodotto il report “L’autonomia differenziata in sanità”, che esamina le criticità del testo, approvato la prima volta in Senato in gennaio, e ad analizzare il potenziale impatto delle maggiori autonomie richieste dalla Regione sul SSN. 

A rischio l’equità di accesso alle cure

Il Report mette in evidenza una serie di ambiti già caratterizzati da disuguaglianza, in primis gli adempimenti dei Livello Essenziali di Assistenza, che nella griglia relativa agli anni 2010-2019 non vede nessuna delle Regioni del Sud tra le prime 10 posizioni.

Al contrario, le Regioni che hanno chiesto maggiore autonomia si trovano nelle prime 5 posizioni. Proseguendo, si evidenzia che le 8 Regioni del Sud hanno un’aspettativa di vita alla nascita inferiore alla media nazionale, ovvero 82,6 anni: un dato che può essere una spia indiretta della bassa qualità dei servizi sanitari regionali.

Concorrono a rafforzare questa ipotesi i dati di mobilità sanitaria: tra il 2010-2021, solo il Molise tra le Regioni del Sud non ha accumulato un saldo negativo, a indicare che molti pazienti fuggono verso Regioni del Centro-Nord, ma nessuno si reca al Sud per farsi curare da altre aree del Paese.

Da ultimo, se si guardano gli obiettivi prefissati dalla Missione Salute del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si vede che questi sono rallentati proprio dalle performance delle Regioni del Sud.

Di contro, le Regioni del Nord e del Centro hanno performance migliori e sono anche attrattive nei confronti di pazienti di altre regioni. È quindi probabile che «l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze già esistenti».

Una possibilità che non può diventare realtà, almeno non per la Fondazione GIMBE.

Perché l’autonomia differenziata non porterà bene al nostro Paese

Primo punto: anche le Regioni del Nord stanno attraversando sfide economiche non indifferenti e, se passasse il Ddl Calderoli, certamente tratterrebbero il proprio gettito fiscale, rendendo difficile una ridistribuzione a livello nazionale, fondamentale per ridurre l’impoverimento del Sud; povertà che non potrà che amplificare la spaccatura già esistente tra sanità del Nord e del Sud.

A quanto già scritto, Fondazione GIMBE aggiunge anche la possibilità che le Regioni del Nord diventino ancora più attrattive, in termini di stipendio, rispetto a quelle del Sud, di fatto provocando uno spostamento di sanitari.

Se quanto detto sin qui sembra porre le Regioni del Nord in protezione, bisogna evidenziare che, nel tempo, si potrebbe realizzare un effetto paradosso: l’arrivo di troppi pazienti dalle altre aree del Paese scontrerebbe con la possibilità di fornire servizi sanitari di qualità, portando probabilmente all’abbassamento della qualità degli stessi. E questi sono solo alcuni dei punti delineato dal Rapporto.

In conclusione, le parole di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione: «al di là di accattivanti slogan e illusori proclami è certo che l’autonomia differenziata non potrà mai ridurre le diseguaglianze in sanità, perché renderà le Regioni del Centro-Sud sempre più dipendenti dalle ricche Regioni del Nord, le quali a loro volta rischiano paradossalmente di peggiorare la qualità dell’assistenza sanitaria per i propri residenti.

Ovvero, l’autonomia differenziata per la materia “tutela della salute” non solo porterà al collasso la sanità del Mezzogiorno, ma darà anche il colpo di grazia al SSN, causando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti.

Stiamo di fatto rinunciando alla più grande conquista sociale del Paese e a un pilastro della nostra democrazia solo per un machiavellico “scambio di cortesie” nell’arena politica tra i fautori dell’autonomia differenziata e i fiancheggiatori del presidenzialismo. Due riforme che, oltre ogni ragionevole dubbio, spaccheranno l’unità del Paese Italia».

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