Adroterapia, così gli operatori vengono protetti dalle radiazioni

Negli ultimi anni si stanno progressivamente diffondendo strutture per l’adroterapia, ovvero radioterapia con ioni (di solito carbonio, ma con il tempo anche elio o ossigeno) o con protoni, che pongono specifiche questioni di radioprotezione.
Di questo tratta uno studio condotto da Michele Ferrarini, esperto qualificato del Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia.

Fascio primario e radiazione secondaria

Un primo problema derivante dall’impiego dei macchinari presenti in queste strutture, ovvero sincrotroni e ciclotroni ad alta energia, è l’irraggiamento incidentale di un operatore con fascio primario diretto oppure con radiazioni secondarie prodotte dall’impatto del fascio sul target.

«Le tutele messe in campo in questi casi sono soprattutto sistema di sicurezza e schermature», spiega l’ingegnere. «Il primo impedisce l’accensione delle macchine in presenza di lavoratori e che ne blocca subito il funzionamento in caso di accessi accidentali, oltre a gestire appositi dispositivi di segnalazione, come lampade, quadri luminosi, sirene, pannelli.

Le seconde prevedono, invece, che i macchinari siano ospitati in un bunker con pareti di calcestruzzo piuttosto spesse (fino a cinque-sei metri). Per consentire l’accesso, in alcuni casi si costruiscono labirinti di ingresso attenuando le radiazioni per riflessione».

Reazioni nucleari

Un’altra questione è l’esposizione degli operatori alle radiazioni nucleari dovute alle attivazioni dei materiali.

«Nell’ambiente dell’acceleratore, le operazioni su materiali attivati sono inevitabili», sottolinea Ferrarini, «visto che sono necessarie manutenzioni su macchina e linee di trasporto del fascio e attività su pazienti appena irraggiati, su dispositivi di immobilizzazione (per esempio, maschere, cuscini, lettino), sulla strumentazione. Tuttavia, le scelte tecnologiche riguardanti i macchinari influiscono molto su questi aspetti.

Per esempio, le attivazioni intorno ai sincrotroni sono di solito gestibili, mentre intorno ai ciclotroni di alta corrente le dosi possono essere molto elevate, rendendo necessari tempi di attesa significativi per l’accesso alle macchine e per le operazioni di manutenzione».
L’attivazione dei materiali pone, inoltre, problemi di smaltimento dei rifiuti, che devono essere gestiti con la massima attenzione e secondo protocolli definiti.

Questione di dose

Se le tutele a salvaguardia della sicurezza sono, quindi, note e piuttosto consolidate, non si può dire altrettanto per i sistemi di dosimetria ambientale o personale, particolarmente complessi a causa della natura dei campi di radiazione prodotti, che sono spesso misti (cioè costituiti da vari tipi di particelle) e di alta energia.

«L’attuale strumentazione è oggetto di studio e di sviluppo, perché non risulta del tutto soddisfacente», sostiene il tecnico, «ma sono comunque disponibili molti tipi di rivelatori, sia commerciali che sperimentali, che costituiscono spesso valide opzioni».

Paola Arosio