In oltre il 72% dei casi riguarda le infermiere, per un terzo dei casi in fascia d’età 30-40 anni, che opera nel servizio pubblico (quasi nel 90% dei casi) e soprattutto in pronto soccorso (42%): questo l’identikit degli infermieri che di più subiscono aggressioni sul luogo di lavoro.
Sono dati emersi da un sondaggio condotto su un campione di iscritti a FNOPI, per la rilevazione promossa dall’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e sociosanitarie del Ministero della Salute, su tutte le categorie di personale sanitario per scattare una fotografia della situazione nel 2023 e presentato al Ministero della Salute in occasione della giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari.
Gli infermieri che hanno dichiarato aggressioni nel 2023 sono il 40,2%, in aumento rispetto al 32,3% emerso dall’analisi FNOPI in occasione dello studio CEASE-IT 2021-2022.
I numeri appaiono molto più alti rispetto ai casi denunciati all’INAIL (che rileva solo i casi in cui interviene l’azione assicurativa e che comunque sottolinea un’incidenza delle violenze del 33% circa sugli infermieri) e a quelli evidenziati dalle Regioni. Gli infermieri, infatti, spesso non denunciano o evidenziano i casi di violenza.
Come rilevato da FNOPI, chi non l’ha fatto si è comportato così perché, nel 67% dei casi, ha ritenuto che le condizioni dell’assistito e/o del suo accompagnatore fossero causa dell’episodio di violenza, nel 20% era convinto che tanto non avrebbe ricevuto nessuna risposta da parte dell’organizzazione in cui lavora, il 19% riteneva che il rischio sia una caratteristica attesa/accettata del lavoro e il 14% non lo ha fatto perché si sente in grado di gestire efficacemente questi episodi, senza doverli riferire.
Il dato rilevante emerso dalla survey sul 2023 è il numero delle violenze (verbali o fisiche) che gli infermieri aggrediti hanno dichiarato: la media è di oltre 10-12 ciascuno nel corso di un anno solare, con le dovute differenze legate soprattutto al territorio e al reparto dove il professionista svolge la sua attività: il 44% ha subito da 4 a 10 aggressioni, il 55% da 11 a 20 e l’1% oltre 20 aggressioni in un anno.
Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI, fa notare che “studi internazionali riferiscono episodi di burnout, stress, disaffezione, tanto che in questi anni si registrano molti casi di abbandono delle professioni di cura e assistenza”.
Le violenze fisiche sono ormai all’ordine del giorno delle cronache, con episodi gravi, ma anche i casi di violenza verbale, come sottolineato dalla FNOPI, hanno risvolti negativi sui professionisti: la conseguenza professionale prevalente riguarda il “morale ridotto” (41%) e “stress, esaurimento emotivo, burnout” (33%), che secondo lo studio BENE, presentato a dicembre 2023 dalla Federazione, mette a rischio la qualità delle cure e la sicurezza dei pazienti e genera nei professionisti spesso (45,2% dei casi) la volontà di abbandonare il posto di lavoro.
“L’aggressione”, ricorda Mangiacavalli, “è effetto di una serie di cause anche importanti che affondano le radici in diversi contesti, tra cui i modelli organizzativi e alcune mancate risposte ai cittadini, anche per la cronica carenza di personale che peggiora una situazione di disagio organizzativo e stress lavorativo. I bisogni dei cittadini spesso non vengono convogliati verso i luoghi più adeguati (es. accessi impropri al Pronto Soccorso), inoltre emergono bisogni di presa in carico di situazioni complesse che sfiorano la sfera socioassistenziale”.