Aneuploidia alla base della chemioresistenza

Per molti tumori la chemioterapia è il trattamento elettivo, ma non sempre raggiunto l’obiettivo: i casi di chemioresistenza rendono più difficili i percorsi oncologici.
Di recente si è iniziato a fare luce su questo fenomeno: uno studio internazionale, coordinato da Stefano Santaguida del Laboratorio di Integrità Genomica dell’Istituto Europeo di Oncologia e professore di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano, ha trovato un collegamento tra chemioresistenza e “aneuploidia”, caratteristica presente nel 90% circa dei tumori solidi e nel 75% di quelli ematologici (Marica Rosaria Ippolito, Valentino Martis, Sara Martin, Andréa E. Tijhuis, Christy Hong, René Wardenaar, Marie Dumont, Johanna Zerbib, Diana C.J. Spierings, Daniele Fachinetti, Uri Ben-David, Floris Foijer, Stefano Santaguida. Gene copy-number changes and chromosomal instability induced by aneuploidy confer resistance to chemotherapy. Developmental Cell, 2021. ISSN 1534-5807. Doi: https://doi.org/10.1016/j.devcel.2021.07.006).

Spiega Santaguida: «abbiamo dimostrato che la cellula tumorale è capace di sfruttare la propria instabilità genetica, sopravvivendo così anche in condizioni di stress importante, quale l’attacco mortale di un farmaco chemioterapico. Tutto sembra partire dall’aneuploidia, un cambiamento del numero di cromosomi, che risulta in un cariotipo diverso dalle cellule normali e caratterizzato da instabilità genetica. Questa instabilità è alla base del “caos cellulare” caratteristico del cancro, che manda in tilt il normale funzionamento della cellula.

È come se le cellule stessero continuamente rimescolando le carte. Questo continuo rimescolamento può essere sfruttato da una cellula tumorale, che così sopravvive. Mettendo continuamente sottosopra il proprio corredo genetico, quando viene attaccata da una molecola di chemioterapico può selezionare meglio il cariotipo capace di resistere al farmaco. Questo può spiegare perché in alcuni pazienti la chemioterapia a volte non raggiunge i risultati desiderati».

Questi risultati sono stati ottenuti attraverso una serie di esperimenti in cui i ricercatori hanno esposto cellule tumorali da colon, polmone e pancreas, cresciute in coltura, a una batteria di farmaci chemioterapici comunemente utilizzati in clinica, confrontando i risultati prima e dopo l’esposizione: hanno così individuato in circa il 20% dei casi combinazioni di cariotipo che hanno permesso alle cellule di sopravvivere.

Conclude Santaguida: «il nostro obiettivo è inserire l’analisi del cariotipo nello studio del profilo del tumore, che già oggi effettuiamo e che ci permette una cura più precisa. Lo studio paziente per paziente del cariotipo delle cellule tumorali, se confermato in studi preclinici e clinici, potrebbe essere un passo in più verso una medicina più efficace e precisa. Se individuiamo quale cariotipo provoca chemioresistenza, possiamo capire da subito quale combinazione di farmaci utilizzare per evitare tale fenomeno e fornire trattamenti maggiormente in grado di eradicare le cellule tumorali. I dati della ricerca oncologica mondiale confermano che per trovare la cura del cancro, la pillola magica, dobbiamo conoscere l’intimo della cellula tumorale, vale a dire cosa succede al suo interno a livello molecolare. Il nostro studio va esattamente in questa direzione».

Stefania Somaré