Antibiotico resistenza, un progetto che parte dalla componente ambientale

Colony of Staphylococcus aureus bacteria causing skin infection

In occasione di One Health, presso l’hub phygital G-Gravity, grazie ai contributi di professionisti della salute, sono state sviscerate tematiche attuali, in particolare sullo state dell’arte dell’innovazione al servizio alla salute. Un’opportunità di dibattito e di confronto anche sul tema del problema globale dell’AMR approfondito grazie all’intervento di Denise Pezzutto, Product Development Manager di Resistomap Oy.

Denise Pezzuto

«La resistenza agli antimicrobici si verifica quando batteri, virus, funghi o parassiti si dimostrano resistenti a trattamenti ai quali in precedenza erano suscettibili.
Si tratta di un fenomeno presente in natura, ma un eccessivo e inadeguato utilizzo di antibiotici, unito ad altri fattori, causa un ulteriore emergere della resistenza agli antibiotici che ne riduce l’efficacia».

L’AMR ha assunto una tale portata da essere definita pandemia.
«Pensiamo che nel 2019 sono stati stimati 1,27 milioni di decessi a livello mondiale proprio per l’AMR e quasi 5 milioni di decessi sono stati associati alla resistenza ad antibiotici. Se non saranno adottate misure adeguate, entro il 2050, si prevede che si arriverà a 10 milioni di morti nel mondo ogni anno».

Una pandemia silenziosa che, come prosegue Pezzutto «avrà anche un impatto economico, con una perdita stimata del 3,8% del Pil mondiale annuo entro il 2050 e non solo per l’aumento di spesa che dovrà affrontare il settore sanitario, ma perché avrà ripercussioni anche su altri comparti».

Il problema è globale con conseguenze non solo in Europa e in Italia, ma anche nei Paesi in via di sviluppo. In Italia si registrano maggiori consumi di antibiotici e maggiori tassi di resistenza e di multiresistenza rispetto ad altri Paesi europei. Per questo, occorre monitorarne l’andamento e l’impatto sulla popolazione e sulla sanità pubblica.
I patogeni monitorati con più attenzione a livello clinico sono quelli che generano focolai nelle strutture sanitarie dove la popolazione è più vulnerabile (per esempio, Klebsiella pneumoniae e Staphylocuccus aureus.

«Il nostro progetto parte, invece, dalla componente ambientale, importante non solo in termini di diffusione ma anche perché, analizzando i campioni dell’ambiente ricavati dalle acque e dai terreni, si possono ottenere informazioni sul livello di resistenza nella popolazione e anche nel settore sanitario: le analisi delle acque, per esempio, riflettono quello che accade nella parte clinica».
Eppure, in Italia il livello di consapevolezza della popolazione rispetto al problema è ancora limitato.
Conclude Pezzutto: «Da un’indagine, solo il 70% degli intervistati conosce il rischio di un utilizzo sbagliato degli antibiotici. Occorre fare informazione e sensibilizzare la popolazione al problema».

Viviana Persiani