Campagna per la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza

Le infezioni correlate all’assistenza rappresentano un fenomeno estremamente gravoso, sia per la salute dei pazienti sia per l’economia e la tenuta del sistema sanitario.
I dati in tal senso parlano chiaro: nel nostro Paese ogni anno tra il 5 e l’8% dei pazienti che si recano in ospedale o in centri diagnostici, contrae infezioni correlate all’assistenza. In termini numerici si tratta di 450-700 mila casi: 1 paziente su 15 contrae un’infezione durante un ricovero ospedaliero, 1 su 100 la contrae invece nell’assistenza domiciliare. Sempre nel nostro Paese, i decessi causati da ICA vengono stimati in circa 10 mila l’anno.

Per la medesima causa, in Europa si contano circa 37 mila decessi annui, mentre sono 110 mila i decessi per cui le ICA sono una concausa di morte. Si stima che, entro il 2050, in assenza di un piano adeguato ed efficace volto a ridurre le ICA (e l’antimicrobico resistenza), il numero di decessi potrebbe incrementare nell’ordine di 10 milioni in più a livello globale, con un impatto negativo sul prodotto interno lordo globale del 3,5%, stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale. Secondo il report annuale 2017 dello European Centre for Disease Prevention and Control, ogni anno in Europa oltre 3 milioni di pazienti contraggono infezioni correlate all’assistenza, con un impatto tale da provocare ogni anno circa 16 milioni di giornate aggiuntive di degenza. I costi vengono stimati in circa 7 miliardi di euro, includendo solo quelli diretti.

Pazienti con malattie infiammatorie croniche dell’intestino e ICA

A partire da questo quadro estremamente allarmante, è stata presentata, lo scorso 11 novembre da Amici Onlus, Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino, la campagna di prevenzione per combattere le ICA.
Si stima che i pazienti affetti da malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI) – ovvero morbo di Chron e colite ulcerosa, siano in Italia 250mila, soggetti portatori di una disabilità non visibile che determina tuttavia un importante impatto sociale. Di questi, il 13%, costretto al ricovero o ad effettuare esami diagnostici contrae ICA come infezioni urinarie e lesioni da ferite chirurgiche, polmoniti, epatiti B e sepsi. A causa di queste infezioni, quasi la metà (49,7%) dei pazienti ricoverati subisce un prolungamento della degenza ospedaliera.

Salvo Leone, direttore generale di Amici Onlus, ha presentato i risultati di un’indagine condotta su circa mille pazienti affetti da MICI: il 13% ha riscontrato un forte ritardo nella diagnosi, con una conseguente malattia più aggressiva; l’81% è stato costretto a ricoveri ospedalieri di durata tra 1 e 5 giorni dovendosi assentare dal lavoro; il 21% è stato infine vittima di discriminazione sul lavoro.

«L’elemento della perdita di produttività», ha sottolineato Leone, «è un elemento particolarmente rilevante. Basti considerare che in una indagine condotta tra dicembre 2018 e gennaio 2019 su un campione di 2.542 soggetti con patologie croniche dell’intestino, pari all’1% della popolazione con MICI, il 23% ha subito un ricovero e il 17% ha contratto un’infezione, con un conseguente prolungamento dell’ospedalizzazione per il 35% di essi».

Tradotto in numeri, a livello annuale, a fronte di 56.700 ricoveri sono state riscontrate 9.622 infezioni correlate all’assistenza, con un prolungamento della degenza per 3.366 pazienti e costi incrementali, diretti e indiretti per il SSN. Inoltre, su circa 145 mila soggetti sottoposti ad esami endoscopici, 4 mila soggetti hanno contratto un’ICA.

Carenza informativa e assenza di prevenzione

Le infezioni correlate all’assistenza tuttavia non riguardano soltanto i pazienti con malattie infiammatorie croniche dell’intestino, ma sono un fenomeno che coinvolge l’intera popolazione, in particolare i pazienti con fragilità.

«Il problema è in gran parte dovuto alla mancanza di informazioni sulla prevenzione delle ICA e sulla insufficiente attenzione da parte delle strutture sanitarie. Per questo motivo AMICI Onlus, Associazione Nazionale che riunisce le persone affette da MICI, ha deciso dipromuovere una Campagna informativa sulle ICA», ha annunciato Enrica Previtali, presidente di AMICI Onlus.

«Basti pensare che 1 paziente su 4 non ha ricevuto alcuna informazione sulla prevenzione delle ICA prima del ricovero in ospedale o dell’esame diagnostico, mentre 6 su 10 non risultano a conoscenza delle procedure di sicurezza per evitare contaminazioni. L’impatto economico del fenomeno è ingente in tutta Europa, e non riguarda solo i costi legati alle strutture sanitarie che in Italia sono stimati in circa 550 milioni annui, ma anche i costi sociali, diretti e indiretti. La nostra Campagna si rivolge quindi a tutti i malati MICI, che sono prevalentemente immunodepressi e quindi a forte rischio ma, alla luce della pandemia per Covid-19, anche a tutta la popolazione italiana fragile per età o perché soffre di altre patologie».

La campagna di Amici Onlus

Sensibilizzazione e prevenzione sono le parole chiave per sconfiggere le ICA. Corrette pratiche di prevenzione, che passano da rinnovati e adeguati protocolli, potrebbero ridurre di circa il 50% le infezioni contratte nel percorso assistenziale, migliorando anche l’impatto economico sul SSN. Anche il coinvolgimento del paziente in questo senso appare cruciale.
La campagna – che ha ricevuto il patrocinio di numerose istituzioni e di moltissime società scientifiche – prevede, tra le principali attività, lo sviluppo di materiali informativi per i pazienti, opuscoli e locandine distribuite nei maggiori centri ospedalieri, la realizzazione della ricerca con il coinvolgimento dei medici, infermieri e dirigenti ospedalieri e la realizzazione di un documento esplicativo in cui si chiariscano quali informazioni deve fornire un professionista della sanità al paziente prima di effettuare una prestazione e quali procedure deve seguire al fine di limitare il rischio di ICA.

Così la campagna di Amici Onlus mette fianco a fianco paziente e professionista, due figure unite in questa battaglia.
Con questo obiettivo sono stati individuati i principali 4 target della campagna, ovvero gli #Alleamici: i pazienti (immunodepressi, fragili e cronici) e i loro caregiver; i professionisti della salute (medici, infermieri ecc.); i direttori sanitari e i direttori generali; i responsabili delle Istituzioni politiche e amministrative.

«Verranno coinvolti tutti insieme, per sconfiggere le infezioni attraverso maggiori informazioni e descrizioni di comportamenti virtuosi e di procedure da seguire per evitare le contaminazioni negli ospedali e nei centri diagnostici», ha sostenuto Leone.

Criticità attuali e priorità future

Marco Daperno, segretario generale della Società Scientifica IG-IBD (Italian Group for Inflammatory Bowel Diseases – Gruppo Italiano per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali), nonché medico gastroenterologo presso AO Mauriziano di Torino, ha ricordato che: «in stretta collaborazione con AMICI e con la Campagna sulle ICA, quello di migliorare e diffondere le conoscenze per la cura delle MICI è proprio lo scopo principale della nostra organizzazione: infatti, l’obiettivo primario è quello di promuovere collaborazioni a livello nazionale, per esempio attraverso studi multi-centrici, per poter fornire risposte a quesiti clinico-epidemiologici altrimenti difficilmente ottenibili.

In questo senso, IG-IBD ha recentemente pubblicato due studi collaborativi italiani che hanno evidenziato come il Covid-19 abbia coinvolto i pazienti affetti da MICI. Fra l’altro, è emerso che l’utilizzo di farmaci immunodepressori non provoca problemi particolari e, quindi, i pazienti devono continuare tutte le loro terapie e seguire con particolare attenzione le normali precauzioni igieniche adottate per tutta la popolazione».

Secondo Tonino Aceti, portavoce FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), ha ricordato che gli infermieri, da sempre la categoria professionale più vicina al paziente, possono rappresentare la chiave di volta per la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, ma c’è bisogno che il livello di attenzione e di investimento pubblico su questa professione sia caratterizzato da un immediato cambio di passo.

Risalgono a circa 35 anni fa le circolari del Ministero della Salute istitutive dell’Infermiere Specialista nel Rischio Infettivo, ma sulla diffusione di questa figura bisogna fare ancora molto, a partire dalle tante differenze regionali. In Calabria, per esempio, su 20 infermieri formati ad hoc sulla prevenzione delle infezioni solo 2 sono praticamente attivi nel settore nel SSN, mentre nessuna figura appare presente in regioni come Basilicata e Molise. Basti pensare che nel 2012 ne contavamo circa 800 a livello nazionale; oggi ne restano circa la metà.

«Uno spreco di competenze ed energie che invece sarebbero fondamentali per la tutela del diritto alla salute delle nostre comunità e la qualità e sicurezza delle cure. Inoltre, si investono ancora troppe poche risorse pubbliche nella formazione di questi professionisti e bisognerebbe rilanciare il ruolo dei Comitati Infezioni Ospedaliere rafforzandone l’attività. Anche il Piano Nazionale Prevenzione 2020-2025, che dedica attenzione al tema della ICA, richiama l’importanza della professione infermieristica nella strategia di prevenzione», ha sottolineato Aceti.

«La strategia per la riduzione del rischio infettivo nei nostri ospedali deve essere frutto di un’azione collettiva e coordinata, che coinvolga tutti gli attori in causa. L’alleanza promossa da AMICI Onlus con questa campagna va esattamente in questa direzione», ha dichiarato l’Onorevole Elena Carnevali, Membro della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati.

«I numeri sulle ICA mostrano che la strada da fare è ancora lunga, tuttavia l’esperienza Covid ci ha fornito una nuova consapevolezza sulle procedure da adottare che devono essere alla base dei nuovi protocolli di azione e, più in generale, di una nuova cultura condivisa».

Ma per far questo, ha ricordato in chiusura l’on. Carnevali, è necessario tornare ad investire in strutture e personale sanitario, puntare alla formazione permanente e continua del personale, investire sulle nuove tecnologie, cruciali oggi anche per l’avanzamento della ricerca, puntando ad un approccio One Health e alla centralità del paziente.

Elena D’Alessandri