La pandemia da Covid-19 da mesi sottopone il sistema sanitario italiano a forte stress. L’emergenza ha evidenziato le criticitĂ  in essere, fungendo da acceleratore e costringendo il sistema a risposte immediate e il piĂą possibile efficaci.
In questo gli ospedali hanno un ruolo cruciale e «vanno considerati non entitĂ  isolate ma parte di una rete», ha ricordato Andrea Vannucci – coordinatore dell’Osservatorio qualitĂ  ed equitĂ  dell’Agenzia Regionale di SanitĂ  della Toscana – e coordinatore della sessione “Come possono cambiare gli ospedali” del Forum Sistema Salute dello scorso 5 novembre.

Giuseppe De Filippis, direttore sanitario dell’Istituto Besta di Milano (precedentemente al Sacco e parte dell’UnitĂ  di Crisi della Regione Lombardia), ha suggerito una mappatura degli ospedali di oggi per comprendere come cambiare, in corso d’opera, questi flussi.
Tra i tanti aspetti da considerare, ha sottolineato l’importanza della brevitĂ  del ricovero, un elemento cruciale per la sicurezza dei pazienti sempre a rischio di contrarre infezioni nosocomiali.

«Cosa c’è dopo l’ospedale?», si è chiesto De Filippis, riportando in campo il tema dell’assistenza territoriale. «Occorre lavorare su strutture che garantiscano la continuitĂ  di cure intermedie. L’altro aspetto da tenere a mente è l’etĂ  dei pazienti ricoverati, spesso molto alta. Si tratta di soggetti con una o piĂą cronicitĂ , fragilitĂ  fisica ed emotiva cui l’ospedale deve dedicare grande attenzione, ma che poi devono essere trasferiti in strutture capaci di gestire la fase intermedia».

Il Covid, ha proseguito il direttore sanitario del Besta, ha mostrato che gli ospedali sono in grado di rispondere se a monte esiste una rete, evidenziando che la flessibilitĂ  è diventata la parola chiave dell’emergenza, intesa come capacitĂ  di adattarsi per rispondere meglio alle esigenze dei pazienti. Le 4 fasi della pandemia hanno richiesto risposte diverse: se all’inizio è stato necessario focalizzarsi sui reparti di terapia intensiva, in questa fase occorre ampliare i reparti di malattie infettive.

«Esistono tuttavia diversi aspetti tecnici e conseguenti ricadute gestionali: si è assistito a un repentino cambio di modelli organizzativi che non ha precedenti, associato a un ripensamento nella gestione degli spazi e nei ruoli e compiti del personale sanitario».

Le tre fasi del Covid-19

Nella fase 1 si è lavorato sulla rimodulazione dei percorsi – Covid positivi e Covid negativi – sulla rimodulazione delle degenze, sulla diagnostica, sui percorsi morgue per la gestione delle salme e l’attività microscopica delle autopsie.
Si è dovuto intervenire su materiali, sull’impiantistica al fine di garantire il numero necessario di prese elettriche per posto letto, in ambito gestionale sulle équipe miste, proponendo un primo abbozzo di telemedicina. Infine, un ripensamento nella gestione delle altre patologie con percorsi ben differenziati all’interno della stessa struttura, dovendo fornire supporto psicologico al personale e gestendo rapporti tra pazienti e familiari.

Nella fase 2 ci si è interrogati su “quante e quali ripartenze” mettere in atto, portando avanti flessibilitĂ  e cambiamento con un utilizzo di aree silenti attivabili, con una revisione dei percorsi diagnostici e di telemedicina, e dovendo fronteggiare stanchezza e sindrome post traumatica da stress del personale.

La fase 3 ha ricalcato la 2, con l’aggiunta di una rivalutazione delle patologie lasciate in stand-by nell’emergenza che ha comportato il riscontro di stadi più avanzati soprattutto per quanto concerne le patologie oncologiche, e l’introduzione di nuove figure sanitarie, come l’infermiere di comunità.

Da tutto questo quali insegnamenti e quali spunti poter trarre? Gli elementi da non dimenticare per De Filippis sono 5: partire in anticipo con l’organizzazione; flessibilità e cambiamenti organizzativi; capacità di lavoro in équipe; valorizzazione delle competenze igienistiche ed epidemiologiche per tutto il personale; digitalizzazione e telemedicina.

Occorre soffermarsi su modelli che si sono dimostrati piĂą utili in questa fase, differenziare i percorsi a livello orizzontale e verticale, tra pazienti e operatori ma anche tra materiali e merci suddividendo le aree per intensitĂ  di cura, individuando le tipologie di ospedali piĂą efficaci (monoblocco, a padiglioni?), lavorando al contempo sul livello tecnologico e organizzativo e sulla formazione continua.

Un nuovo decalogo della progettazione ospedaliera

Stefano Capolongo, esperto in Hospital Design del Politecnico di Milano DABC, si è soffermato più sulle strutture e sull’obsolescenza delle stesse che si consuma sempre più rapidamente rendendo gli ospedali non più adatti a rispondere alle nuove esigenze tecnologiche e organizzative (condizione questa che interessa il 50% delle strutture ospedaliere nazionali).

La pandemia, ha ribadito, ha accelerato processi già in atto, costringendo ad un ripensamento e ad un nuovo decalogo della progettazione ospedaliera: localizzazione strategica; promozione alla salute; assetto tipologico; flessibilità; progetto funzionale con aree specifiche; qualità dell’aria; materiali eco-attivi; innovazione digitale e user-centerdness.

«Gli ospedali di oggi e di domani non vanno più strutturati per posti letto ma per volume di attività, con camere singole (che possono diventare doppie), certamente più costose ma molto più funzionali, non solo per la fase Covid, ma per una più attenta gestione delle infezioni correlate all’assistenza, con unità funzionali specifiche, ma soprattutto centralità della persona, compresa la progettazione di aree verdi che consentono di ridurre stati di ansia e stress», ha ribadito Capolongo.

Se alcuni relatori, come Simone Gitto, professore di Ingegneria Gestionale all’Università di Siena, hanno insistito sull’importanza di mappare i processi attraverso l’organizzazione dei dati grezzi per analizzare la ricorrenza di un accadimento e costruendo così un modello data driven, altri, come Ali Alessandro Ayach, Managing Director, GE Healthcare Partners, Dubai, ha insistito su una real time healthcare e un centro di comando costruito attorno al personale per una migliore efficienza, molti hanno ricordato l’importanza di creare una continuità di cura e servizi sul territorio che possono contribuire ad una efficacia terapeutica e un’efficienza di sistema.

Verso ospedali resilienti

Giulio Felli, architetto progettista ha insistito sulla sostenibilità degli ospedali del futuro, con impostazioni progettuali che devono ottimizzare i risultati sanitari a livello individuale e di comunità, devono intensificare l’esperienza umana per il paziente e le famiglie e migliorare l’ambiente di lavoro per lo staff, sostenere un efficace modello di cura senza dimenticare le esigenze di cambiamento, prevedibili e inaspettate.

«L’ospedale del futuro deve essere sostenibile non solo in termini ambientali ma anche economici».

Gli obiettivi da raggiungere sono riassumibili in 5 punti: flessibilitĂ  per accogliere i cambiamenti; sistema di costruzione aperto; chiara gerarchia dei percorsi; adattabilitĂ  per trasformare facilmente lo spazio; espandibilitĂ  per consentirne la crescita, umanizzazione e contenimento dei costi.
«L’ospedale del futuro deve diventare resiliente. Ridurre i costi vuol dire tenere conto, in fase di progettazione, dell’intero ciclo di vita dell’ospedale e delle sue parti: alberghiero, uffici, fabbrica, piastra tecnologica».

Come riprogettare le RSA

Molto interessante l’intervento degli architetti dello studio DSP Gianluca Darvo e Virginia Serrani, focalizzato sulle RSA, particolarmente coinvolte dalla pandemia, la cui riorganizzazione deve riuscire a conciliare la componente sociale alle cure mediche.

«Le RSA non sono ospedali, ma case per gli anziani, sovente la loro ultima residenza», ha esordito l’architetto Serrani. La soluzione adottata nella prima fase del Covid, di chiudere queste residenze all’accesso esterno, è stata una scelta fatta per proteggere gli ospiti e il personale. Tuttavia, occorre ora adottare soluzioni che garantiscano anche il benessere psico-emotivo degli ospiti, con soluzioni che tengano conto della qualitĂ  della vita per loro e per le loro famiglie.

Attualmente, ha proseguito, si sta lavorando su 5 aspetti: mantenere un legame con la comunitĂ  di riferimento; adeguare spazi di incontro con le famiglie nel massimo rispetto della sicurezza; utilizzare le tecnologie a supporto attraverso sistemi di comunicazione che consentano non solo un contatto con le famiglie ma anche la fruizione della vita comunitaria; dotare ogni ospite di un tablet personale.

Appare inoltre fondamentale permettere agli anziani di continuare ad avere una vita al di fuori della camera attraverso una revisione dell’organizzazione di spazi comuni modulabili e di spazi esterni realmente attrezzati per lo svolgimento di attività strutturate.
Le camere, ha proseguito Darvo, debbono essere flessibili, adattabili e universali.
Le camere singole, che inizialmente prevedono costi piĂą alti, garantiscono, al di lĂ  del Covid, una migliore gestione delle infezioni nosocomiali.
Queste devono essere dotate di un layout che permetta l’isolamento di interi nuclei e sistemi di arredo che permettano controllo e gestione in sicurezza da parte del personale.
Per il personale infine, è importante prospettare spazi per pause dal lavoro e aree strutturate per briefing e passaggi di consegne.

Le parole chiave per gli ospedali del futuro

AdattabilitĂ , flessibilitĂ  ed espandibilitĂ  sono state le parole chiave evocate dai diversi relatori intervenuti.

«Oggi il percorso del paziente è legato fortemente all’organizzazione in rete delle strutture e alla tecnologia disponibile, ed è importante valutare l’ospedale come struttura complessa», ha ribadito Angelo Tanese, direttore generale ASL Roma 1. «Appare fondamentale lavorare su innovazione e digitalizzazione e investire per dar vita a un reale lavoro si riprogrammazione che consenta di capovolgere una situazione che a oggi si presenta ancora molto arretrata, portando tutte le strutture allo stesso livello», è stato il commento di Chiara Serpieri, direttore generale Azienda Sanitaria Locale del Verbano Cusio Ossola, Regione Piemonte.
Giovanni Ucci, direttore generale del Policlinico San Martino di Genova ha ricordato infine la carenza di personale, sia medico sia infermieristico e l’importanza di una rete efficace tra ospedale e territorio.

«Occorre fare attenzione al capitale umano che deve evolvere di pari passo con la tecnologia», ha sottolineato in chiusura.

Elena D’Alessandri