Si è svolto fra il 13 e 14 dicembre presso la sede di Tecniche Nuove il convegno N.I.San. (Network Italiano Sanitario) “Costi standard Covid-19, analisi gestionale delle terapie innovative, nuovi sistemi per l’allocazione delle risorse regionali: realizzazioni e metodologie a confronto”.
L’occasione è stata propizia per presentare le evoluzioni del Progetto Bussola, autentico sistema di orientamento per il settore sanitario italiano che diviene quanto mai prezioso oggi, quando Covid-19 da un lato e PNRR dall’altro promettono cambiamenti nell’entità e gestione delle risorse disponibili.
Prima di parlare di nuovi stanziamenti è però necessario secondo la rete formata da 85 strutture e 81 presidi ospedalieri, avere ben chiari i costi, appunto, di ogni episodio di ricovero e intervento, in base ai fattori produttivi in gioco; al personale, le tecnologie e i farmaci impiegati; agli esiti ottenuti.
Alla metà di dicembre solo 53 dei presidi afferenti al network avevano completato del tutto il lavoro di ricerca e analisi. Ma in ambito europeo, come ha sottolineato il coordinatore scientifico del N.I.San Alberto Pasdera, l’opera è seconda per dimensioni solamente a quelle, analoghe, condotte in Germania.
È anche sulla scorta delle informazioni raccolte che sarà possibile programmare e pianificare il futuro, valutando col supporto di dati certi il rapporto reale fra gli oneri e i benefici delle terapie innovative che sempre più diffusamente, con scopi giustamente sempre più ambiziosi, si affacciano sulla scena.
I costi standard sono fondamentali per guardare davvero a un’efficiente allocazione delle risorse fra l’attività ordinaria e l’innovazione, garantendo un’equa distribuzione delle risorse stesse e, per ciò stesso, un significativo risparmio. Al contrario, e anche la pandemia lo ha dimostrato, fare leva sul solo andamento storico dell’attività, è oggigiorno una strategia perdente.
Il prezzo della riorganizzazione
Ad affermarlo sulla base dell’esperienza diretta sono stati, nella loro presentazione sulla sperimentazione delle CAR-T, Roberta Bellini e Francesco Zallio dell’Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo di Alessandria.
Per quanto possa apparire scontato, il presidente del N.I.San. Domenico Crupi ha ricordato che «nessuna realtà aziendale può operare e valutare le sue performance senza conoscere e correttamente calcolare i suoi costi» e proprio il Covid-19 «ha messo a nudo l’inadeguatezza organizzativa delle aziende sanitarie».
Si è in una fase di trasformazione senza precedenti e dal cui esito può dipendere la stessa sopravvivenza del Servizio sanitario così come lo si è visto sinora. Sul tavolo, non a caso, è finito a più riprese anche il tema caldissimo della deospedalizzazione e del potenziamento dell’assistenza domiciliare e sul territorio, che come lo stesso Crupi ha osservato è dibattuto in seno al N.I.San. sin dalla metà degli anni Novanta.
Per il coordinatore del N.I.San. Adriano Lagostena il nodo da sciogliere sta nel fatto che gli ospedali devono sì «dimagrire» ma al tempo stesso hanno evidenziato nel corso degli anni una netta e indiscutibile carenza di risorse critiche. I decisori devono così «essere consci degli effetti dello spostamento sul territorio, che non devono essere semplici operazioni edilizie».
Si sta riorientando l’offerta sanitaria, «ma il percorso deve essere sostenibile e condiviso, pena l’impoverimento ulteriore di un sistema che, nonostante le pecche, ha retto l’urto del virus».
Per riorganizzare il sistema della sanità è necessario però il coinvolgimento di più attori e cioè non soltanto degli ospedali e centri assistenziali ma pure dell’associazionismo e dei portatori di interesse a cominciare dai cittadini. Confronto e condivisione delle evidenze sono stati leitmotiv dell’evento.
Tornare a guardare, osservare, capire
Il sistema, anche nella visione del direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni, Pasquale Chiarelli, «non deve essere più ospedale-centrico ma valorizzare la sussidiarietà».
Bisogna allora «tornare a guardare, osservare, capire» perché «il problema non è avere il costo, ma allocarlo per fattore produttivo, per singolo reparto e attività» coi quali il paziente ha avuto a che fare. Le misurazioni chiare sono un argine «alla Babele» e in questo scenario «i costi standard, talvolta considerati come il fine, sono in verità strumento di dialogo coi professionisti, «per l’analisi organizzativa, per comprendere la realtà».
Il dialogo permette di agire, migliorare, evitare gli sprechi. Convinzione del network e di più d’un relatore, primo fra tutti il professore associato e direttore del CERGAS dell’università Bocconi di Milano Francesco Longo, è infatti che il dialogo chiaro fra management, clinici, stakeholder in genere sia la strada per la quale deve necessariamente passare la più diffusa affermazione della metodologia del clinical costing che è alle fondamenta della riflessione e dell’analisi sui costi standard.
La volontà di migliorare creando maggior valore c’è e lo stesso Longo non l’ha negata: è ora tempo, partendo dalle cifre, di passare all’azione.
Roberto Carminati