Nei pazienti oncologici gli anticorpi contro l’infezione da Covid-19 si attivano come nei soggetti sani: lo dimostra uno studio pilota dell’Istituto Europeo di Oncologia, pubblicato su Annals of Oncology e coordinato da Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione Sviluppo Nuovi Farmaci per Terapie Innovative dello IEO.

«Sappiamo che tutti i malati di Covid sviluppano anticorpi specifici, le ImmunoGlobuline G (IgG) anti – SARS-CoV-2, entro tre settimane dal contagio», spiega Curigliano, «ma fino a ieri non esistevano dati relativi ai pazienti oncologici.

Noi abbiamo dimostrato che non c’è differenza significativa nella sieroconversione, ossia nello sviluppo di anticorpi, fra soggetti con tumore e soggetti sani: i malati di cancro si immunizzano dal Covid come il resto della popolazione.
Questa è una buona notizia per il mondo dell’oncologia.
I pazienti oncologici sono mediamente a maggior rischio di contrarre il virus, e in alcuni casi hanno un rischio maggiore di sviluppare forme gravi e complicanze severe, per una serie di cause che vanno dall’età avanzata, allo stadio del tumore, lo stato generale di immunodepressione ed alcune neoplasie, come i tumori polmonari e le neoplasie ematologiche.
Per questo è importante per noi oncologi conoscere la risposta anticorpale antivirale del nostro paziente e sapere se è già stato esposto al virus, prima di prendere decisioni fondamentali per il trattamento del tumore, come per esempio se iniziare o continuare un farmaco oppure no».

Nel periodo aprile-maggio 2020 i ricercatori hanno arruolato in totale 166 soggetti, operatori sanitari e pazienti oncologici, con diagnosi confermata o clinicamente sospetta di Covid, sottoponendoli a test sierologico e tampone naso-faringeo.
I risultati hanno rivelato che non esiste differenza sostanziale nei livelli e nei tempi di sieroconversione fra malati oncologici e soggetti sani.
I dati indicano inoltre che gli anticorpi IgG vengono sviluppati in un periodo medio di 17 giorni dall’apparizione dei sintomi o, nel caso degli asintomatici, dalla conferma di infezione tramite tampone naso faringeo, e svaniscono nel tempo.

«Pare dunque che il tempo ideale per effettuare un test sierologico sia almeno due settimane dopo la manifestazione dei sintomi e non più di 3 o 4 settimane dopo la loro scomparsa o la negativizzazione al tampone», continua Curigliano. «Questi dati sono in linea con la letteratura internazionale, ma vanno confermati all’interno di studi più ampi, che esplorino le tante domande che restano aperte. Per esempio va indagata la correlazione fra severità dei sintomi e dimensione e durata della riposta anticorpale, e soprattutto va individuata la quantità di anticorpi e la loro capacità di attivare una risposta immunitaria per proteggere gli individui dalla reinfezione».

«Capire la durata della potenziale contagiosità e dell’eventuale immunità è importante nella gestione della pandemia», conclude Roberto Orecchia, direttore scientifico IEO. «E lo è ancor di più per i pazienti oncologici e per gli operatori sanitari, che sono costantemente esposti a popolazioni ad alto rischio.
Controllare chi è stato infettato e chi no, è per noi un’informazione essenziale per ottimizzare le misure di protezione individuale, la gestione clinica e la somministrazione dei trattamenti oncologici.
Per questo in IEO abbiamo avviato a giugno scorso uno studio clinico di sorveglianza mensile con test sierologici di tutti i dipendenti IEO, a cui hanno aderito 1500 persone. L’iniziativa rientra nel nostro piano per mantenere l’Istituto Europeo di Oncologia un ospedale covid-safe».