Cure palliative perinatali e pediatriche, SIN denuncia la carenza

«L’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino e della sua famiglia, nell’ottica di una buona qualità della vita, con enfasi sulle cure a domicilio, la necessità di un approccio interdisciplinare e la disponibilità di una risposta residenziale ad hoc, ovvero di un hospice pediatrico. Le cure palliative pediatriche (CPP) iniziano nel momento della diagnosi, proseguono indipendentemente dalla continuazione della terapia curativa e si prolungano dopo la morte con il sostegno alla famiglia nell’elaborazione del lutto».

Queste le parole dell’OMS e l’obiettivo che ci dovremmo porre come Paese. Un obiettivo ancora molto lontano da venire, se si considera che la Società Italiana di Neonatologia ha evidenziato che solo il 10% dei centri nascita ha attivato pienamente servizio di Cure Palliative Perinatali (CPpn).

Luigi Orfeo, presidente SIN

Sottolinea Luigi Orfeo, presidente SIN: «se da un lato i progressi scientifici e tecnologici degli ultimi anni, con importanti ricadute sia dal punto di vista diagnostico durante la vita fetale e che da quello assistenziale in Terapia Intensiva Neonatale (TIN), hanno permesso di individuare molto precocemente gravi patologie congenite genetico-malformative e di assistere con successo neonati di età gestazionale molto bassa, ai limiti della vitalità, dall’altro lato hanno evidenziato la necessità di un progetto strutturato che coinvolga le famiglie e numerose figure professionali. Le CPpn si caratterizzano proprio per la tempistica del loro intervento, che comprende sia il periodo prenatale che quello neonatale».

Il percorso deve quindi iniziare quando il feto cui è stata diagnosticata una malattia è ancora in pancia, a supporto della madre e della famiglia tutta e deve idealmente supportarli anche dopo la morte del neonato con interventi ad hoc. Da qui l’esigenza di emanare linee guida, che la SIN ha dichiarato provvederà a preparare, e di avviare una indagine conoscitiva per capire quali sono le resistenze che si oppongono al pieno sviluppo delle CPpn. Non solo.

L’indagine coinvolge i responsabili di tutte le Terapie Intensive Neonatali e vuole capire quali iniziative sono state già messe in atto, magari parzialmente. Un controsenso, se si pensa che la legge che consente questa modalità assistenziale è stata emanata, in Italia, nel 2010. Si chiama “Disposizione per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” e all’articolo 1 sancisce il diritto di ogni cittadino, anche i bambini più piccoli, ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore.
È la legge 38, fiore all’occhiello del nostro Paese, che per primo ha pensato a emanarla e per molto tempo è stato solo nella battaglia contro il dolore. Eppure, se per gli adulti è stato fatto di più, per i neonati e per le loro famiglie ancora molto manca, anche se la legge 38 parla anche di questa fascia di età. Il fatto è che implementare questo tipo di assistenza in ambito perinatale è più complesso che per un’altra fascia di età e serve una équipe multidisciplinare formata da ginecologo, ostetrica, pediatra neonatologo, genetista, palliativista, bioeticista, psicologo, infermiere ed eventualmente consulente spirituale della famiglia.

«È, quindi, necessaria e urgente la progettazione e l’attuazione di percorsi di CPpn basati sulla multidisciplinarietà e sulla formazione ad hoc, che siano in grado di garantire la presa in carico della diade madre-bambino e di tutto il nucleo familiare, senza dimenticare l’attenzione per gli operatori sanitari coinvolti. Profondamente consapevole di questa necessità la SIN ha recentemente creato il Gruppo di Studio di Cure Palliative Perinatali (GdS-CPpn). Tra le prime iniziative messe in atto nel 2022 ci sono interventi formativi rivolti ai professionisti, ma anche interventi divulgativi prevalentemente rivolti alle Associazioni di genitori e a quelle Non-Profit».
Perché a cambiare deve essere anche la cultura del Paese e la concezione che si ha del dolore.

Stefania Somaré