Dispositivi medici, criticità tra MDR e payback

L’industria dei dispositivi medici sta vivendo un momento critico, tra le incognite generate dall’implementazione del nuovo Regolamento europeo sui dispositivi medici (MDR) e il pericolo insito nel payback. Dal comparto giunge la richiesta di un urgente cambio di rotta prima che il settore stesso perda competitività.

Se ne è parlato nel corso della nona edizione di About Medical Devices, tenutasi lo scorso 29 novembre a Milano, organizzata da AboutPharma e Airmedd, come riporta AboutPharma.

In apertura dei lavori Fernanda Gellona, direttore generale di Confindustria Dispositivi Medici, ha ricordato che Confindustria Dispositivi Medici intende impugnare la legge e il successivo dm che contiene le linee guida applicative e invita le aziende a ricorrere al TAR, anche nei confronti delle richieste di pagamento delle Regioni.

«In realtà vogliamo arrivare a un dialogo con il nuovo governo per superare il concetto dei tetti di spesa e ragionare sul futuro con le istituzioni. Va chiarito che si sta mettendo in crisi un settore industriale ritenuto strategico durante la pandemia. Se le aziende dovessero fallire, è chiaro che ai clinici e alle persone arriveranno prodotti non innovativi».

Altro elemento di criticità per le aziende del comparto sono le regole stringenti di MDR e IVDR.
Merlin Rietschel, senior manager Medical Devices di MedTech Europe, l’associazione di categoria europea che rappresenta le industrie della tecnologia medica, teme che l’innovazione stia lasciando l’Europa e che si rischi di perdere competitività.

«L’industria sta facendo grandi sforzi per adeguarsi alla nuova normativa, tuttavia il sistema non è ancora completamente pronto.

Il tempo di certificazione MDR è raddoppiato rispetto a prima dell’entrata in vigore della direttiva, da 13 a 18 mesi per tutte le classi di dispositivi. Inoltre, molte piccole e medie imprese (che rappresentano il 95% del medtech) non hanno ancora accesso agli organismi notificati. Finora solo il 15% dei certificati MDD è stato convertito in MDR».

I dati presentati da Elisabetta Stella, Ufficio III della Direzione Generale dei Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico del Ministero della Salute, riprendendo un recente sondaggio della Commissione Europea dicono che al momento i certificati MDD (direttiva sui dispositivi) sono oltre 22 mila, di cui oltre 17 mila scadranno nel 2024, 4.311 nel 2023 e 1.387 nel 2022.
Questo perché i dispositivi certificati nei 25 anni di direttive sono stati oltre 500 mila e ora il MDR ne forza la transizione in poco tempo e con pochi organismi notificati designati rispetto a quelli esistenti sotto le direttive.
A ciò si aggiunga una legislazione più complessa e un processo di designazione di organismi notificati piuttosto lungo: servono circa 23 mesi ai notified bodies per ottenere la designazione, anche se la Commissione vuole arrivare a 20 mesi.

Maddalena Pinsi, regulatory lead-global regulatory compliance, medical devices di BSI, è entrata nel merito delle azioni che i fabbricanti di dispositivi devono mettere in atto.
«In base al sondaggio della Commissione Europea, tre organismi notificati su cinque hanno indicato che almeno metà della documentazione tecnica ricevuta è incompleta. Il 47% degli organismi notificati ha dichiarato che la stessa documentazione era completa solo nel 25% dei casi. Sappiamo che alcune informazioni sono ripetute e se ci sono incongruenze si va incontro a confusione per i revisori e a dilatazione dei tempi».

Alessandro Berti, presidente Associazione Ausili Confindustria Dispositivi Medici, ha cercato di fare chiarezza sul tema delle deroghe.
«Un’azienda che vende prodotti non vitali (es. aerosol, concentratori di ossigeno) non può usufruire di deroghe: bisogna porre l’attenzione su questo punto, perché le vite delle aziende non possono essere decise solo a livello regolatorio. A questo proposito ci aspettiamo soluzioni reali, per supportare un sistema che fatica a entrare a regime».

Altro aspetto critico riguarda gli organismi notificati, che sono pochi a fronte delle troppe richieste di approvazione da parte delle aziende.
Diego Falletti, technical manager di BSI, ha chiarito: «MDR ha stressato due principali aree: clinica (quella in maggiore sofferenza) e biocompatibilità. Va detto che già la guida Meddev 2016 invitava ad avere azioni proattive per la raccolta di dati clinici sui dispositivi medici. Molto spesso tutto ciò in fase di ricertificazione non è stato enfatizzato dagli organismi notificati. Succede che nel momento in cui si applica MDR, bisogna essere conformi e bisogna portare le evidenze cliniche attraverso un clinical evaluation report.

Tale documento deve contenere alcuni elementi chiave, come l’ambito in cui il dispositivo si applica (aspetti patologici e terapeutici) attraverso una ricerca in letteratura dello stato dell’arte. Le evidenze, in sintesi, servono a dimostrare quali sono gli obiettivi di sicurezza e performance del dispositivo, che poi confluiscono nel rapporto beneficio/rischio».

Un altro fronte aperto riguarda le principali differenze tra il nomenclatore europeo (EMDN) e la classificazione italiana (CND).
Paolo Gazzaniga, vice presidente e cofondatore di Medglox, ha spiegato che «con l’entrata in vigore della CND 2021, a partire da febbraio 2022 le imprese sono tenute a utilizzare le nuove classi sia in fase di nuove registrazioni sia per adeguare le registrazioni fatte prima di tale data. Infatti, oltre un milione di registrazioni presenti nella banca dati del ministero riportano una classe CND che non è più appropriata».

Sul tema delle sanzioni e su quale sia la ratio del D.lgs. 137/2022 Silvia Stefanelli dello studio legale Stefanelli&Stefanelli ha fatto notare come si sia rafforzato il regime sanzionatorio: «siamo passati da una direttiva che aveva 23 articoli a un regolamento che ne ha 123 e 17 allegati.
Il legislatore ha dato delega agli stati membri di decidere le sanzioni. Indubbiamente l’art. 27 propone un apparto sanzionatorio veramente importante: 54 commi, di cui la maggior parte sono di fattispecie che possono essere sanzionate».

In tema di identificazione dei dispositivi medici e applicazione dell’UDI (Unique Device Identification) in Italia, Giada Necci, new solution specialist di GS1, ha fatto sapere che «non ci sono grossi problemi nell’assegnazione del codice UDI: una volta data la struttura del basic UDI e quella del codice UDI il processo è scorrevole».

In termini di etichettattura, i fabbricanti di dispositivi medici devono misurarsi con la certificazione ambientale, «un’etichettatura aggiuntiva che risponde alla direttiva packaging-packaging waste», ha precisato Giulia Magri, responsabile Area Quality & Regulatory Affairs, Confindustria Dispositivi Medici.
«L’ex ministero della Transizione Ecologica ha però precisato che gli imballaggi di dispositivi e diagnostici in vitro sono esenti dall’etichettatura ambientale, anche perché lo stesso testo unico ambientale (art. 219, che recepiva questa direttiva) menzionava la necessità di un decreto, che però non è mai arrivato».

Con MDR si potenzia anche l’uso del digitale e la capacità di gestire i dati. Secondo Gianluca Mapelli, ceo di Revorg, un elemento fondamentale del nuovo regolamento è la tracciabilità del dispositivo, che coinvolge tutte le funzioni aziendali operative.
«Dal nostro punto di vista, vediamo le aziende, grandi o piccole che siano, vivere in modo diverso le stesse criticità nella gestione del dato».

I comitati etici hanno un ruolo fondamentale nella valutazione delle indagini cliniche. Agostino Migone de Amicis, componente del Centro di Coordinamento Nazionale dei Comitati Etici, ha spiegato: «al momento non è chiaro chi siano i comitati etici che esaminano le indagini cliniche sui dispositivi medici. Siamo in una fase di transizione e anche il comitato etico cambia pelle.

Le norme di adeguamento a questa transizione lasciano aree vuote. I comitati etici erano duecento, oggi sono circa cento e devono diventare quaranta. A poco meno di un mese dalla scadenza delle clinical trial regulation, fissata al 31 gennaio 2023, non si sa ancora quali saranno.

Il Centro di Coordinamento è formato da quindici persone nominate a maggio 2021, l’obiettivo è l’omogeneità nell’approcciare le indagini cliniche, tenendo conto che tali enti dovranno essere completamente indipendenti e quindi non afferenti a questo o a quell’istituto».

Una riflessione sugli studi post market, infine, è venuta da Enrico Perfler, ceo di 1Med SA. «Nella nuova normativa è spiegato più in dettaglio quali sono le tipologie di evidenze cliniche che devono essere raccolte e come deve essere strutturata l’indagine. In sintesi, nella fase di post market si verifica se il profilo di rischio/beneficio del dispositivo e i benefici clinici che può portare per il paziente vengono poi confermati in questa stessa fase. Con l’evoluzione della normativa il fabbricante deve fare più indagini cliniche, ma è anche evidente che ci saranno più submission in fase pre market. In qualità di Cro ci chiediamo se, riducendo il numero dei comitati etici, non si rischi di aumentare il collo di bottiglia».