La Fondazione Gimbe è intervenuta sulla riforma dell’accesso alle facoltà di Medicina. Alla luce dei risultati dei test di ammissione, delle criticità segnalate da studenti e università e del dibattito politico che ne è seguito, l’ente ha confermato la propria posizione: la riforma appare superflua.
Gimbe invita inoltre le istituzioni a introdurre misure concrete per contrastare la fuga dei professionisti dalla sanità pubblica.
La Fondazione presieduta da Nino Cartabellotta ha condotto un’analisi per delineare un quadro completo della situazione. I principali elementi al centro dell’indagine riguardano i numeri di medici nel nostro Paese, la presenza di carenze selettive e il rapporto tra il numero di futuri pensionamenti e nuovi medici.
«Dopo la Caporetto dei test di ammissione», spiega Cartabellotta, «la Fondazione Gimbe, con l’obiettivo di informare il dibattito pubblico e orientare le decisioni politiche, ha rivalutato numeri e dinamiche della professione medica, mettendo in evidenza gli elementi di propaganda e le criticità di una riforma che oggi richiede una vera e propria sanatoria di Stato per non escludere migliaia di studenti che ambiscono a diventare medici».
Le statistiche internazionali
Il confronto tra il numero di medici in Italia e quello di altri contesti internazionali smentisce l’ipotesi di una carenza di medici nel nostro Paese.
Secondo i dati Ocse aggiornati al 5 dicembre 2025 e riferiti a tutti i medici attivi in Italia dalla laurea al pensionamento, nel 2023 si contavano 315.720 medici, pari a 5,4 ogni mille abitanti. Un valore superiore sia alla media Ocse (3,9) sia alla media dei Paesi europei (4,1), che colloca l’Italia al secondo posto tra i 31 Paesi che forniscono il dato.

Nel 2023 i laureati in Medicina e Chirurgia sono stati 16,6 per 100 mila abitanti, un valore superiore alla media Ocse (14,3) e leggermente al di sopra della media europea (16,3), che posiziona l’Italia al nono posto tra i 31 Paesi considerati. «Questi dati – spiega Cartabellotta – confermano che i presupposti della riforma non si basavano su una carenza di medici in termini assoluti, né su un numero insufficiente di laureati in Medicina e Chirurgia».

Dati nazionali 2023 (ultimo anno disponibile)
- Medici dipendenti pubblici: secondo il Conto Annuale della Ragioneria Generale dello Stato (CA-RGS), i medici dipendenti del SSN erano 109.024 (1,85 medici per mille abitanti).
- Medici convenzionati: secondo i dati della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (Sisac), i medici convenzionati erano 57.880, di cui 37.260 medici di medicina generale (MMG), 14.136 pediatri di libera scelta (PLS) e 6.484 specialisti ambulatoriali convenzionati.
- Medici in formazione specialistica: secondo i dati dell’Associazione Liberi Specializzandi, gli iscritti alle scuole di specializzazione erano 50.677.
- Medici iscritti al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale: secondo le stime Fimmg, circa 6 mila.
- Dal confronto con i dati Ocse emerge che quasi 93 mila medici censiti in Italia, pari al 29,4% del totale, non lavorano nel SSN come dipendenti o convenzionati, né risultano inseriti in percorsi formativi post-laurea.

Carenze selettive
Il problema dell’Italia non è la mancanza di medici in termini assoluti, come spiegato dal presidente Gimbe, bensì il loro progressivo abbandono del SSN e la presenza di carenze selettive, dovute anche al fatto che sempre meno giovani scelgono la medicina generale e alcune specialità poco attrattive.
Questi i dati:
- Per i medici di famiglia, sulla base dei dati Sisac, al 1° gennaio 2024 la Fondazione Gimbe stima una carenza di 5.575 MMG.
- Per i medici specialisti, la carenza può essere stimata analizzando i tassi di accettazione dei contratti di formazione specialistica.
- Nel concorso 2025-2026, a fronte di 14.493 contratti, ne sono stati assegnati 12.248 (85%), ma con tassi di assegnazione bassi o molto bassi in aree cruciali per il funzionamento del SSN, come medicina d’emergenza-urgenza, chirurgia generale, medicina di comunità e delle cure primarie, radioterapia e tutte le specialità di laboratorio.

«La soluzione per fronteggiare queste carenze selettive», afferma Cartabellotta, «non può certo essere l’aumento degli iscritti alle Facoltà di Medicina. Servono invece azioni mirate e interventi straordinari per restituire attrattività alla medicina generale e alle specialità disertate dai giovani medici».
Futuri pensionamenti già compensati
Una problematica potrebbe essere rappresentata dai futuri pensionamenti, ma la Fondazione Gimbe dimostra come i pensionamenti futuri risultano già bilanciati dall’offerta formativa.
- Posti programmati: negli ultimi dieci anni accademici sono stati programmati 152.159 posti nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, con un trend in costante aumento. In particolare, negli ultimi tre anni i posti a bando sono cresciuti di oltre il 51% (da 15.876 a 24.026) e, con la riforma Bernini nel 2025-2026, di ulteriori 3.159 unità rispetto all’anno precedente (+15,1%).

- Laureati: dal 2015 al 2024 si sono laureati in Medicina e Chirurgia 95.533 studenti, con un trend in crescita dai 7.396 del 2015 ai 9.497 del 2024 . La media annua dei laureati è passata da 8.961 nel periodo 2015-2019 a 10.145 nel periodo 2020-2024.

- Pensionamenti attesi: secondo Agenas, tra il 2026 e il 2038 andranno in pensione oltre 39.000 medici dipendenti e, tra il 2026 e il 2035, più di 20.000 medici convenzionati, con una riduzione media di circa 5.000 unità l’anno. Un numero di pensionamenti che, già prima della riforma Bernini, risultava ampiamente compensato dall’offerta formativa esistente.
«I dati», aggiunge Cartabellotta, «mostrano chiaramente che la cosiddetta gobba pensionistica, dopo aver raggiunto il picco nel triennio 2023-2025, era destinata a ridursi progressivamente negli anni successivi. Per questo motivo, l’aumento massiccio dei posti a Medicina non risponde a un reale fabbisogno strutturale».
Oltre a ciò, bisogna tenere in considerazione un elemento temporale cruciale: «i nuovi medici formati con l’attuale riforma entreranno nel mercato del lavoro non prima di 9-11 anni. Ciò significa che il forte incremento degli accessi rischia di produrre, nel medio-lungo periodo, un numero di laureati superiore alle reali capacità di assorbimento del SSN, aprendo una nuova stagione di pletora medica, già sperimentata in passato e associata a scarsa valorizzazione professionale e lavoro sottopagato».



