Il rischio da agenti biologici in ospedale: l’epatite B e C

Le infezioni ospedaliere sono per definizione un importante problema di sanità pubblica per le gravi ripercussioni sui pazienti e sugli operatori sanitari.

L’epatite B
I dati sull’epatite B dimostrano un’aumentata prevalenza dei marcatori di infezione da Hbv tra gli os rispetto alla popolazione generale e un tasso di trasmissione per singola esposizione compreso tra il 5 e il 40% a seconda della gravità dell’esposizione e della contagiosità della fonte. La profilassi primaria o post esposizione ha ridotto molto il rischio di infezione occupazionale da Hbv, anche se rari casi continuano a verificarsi. In Italia, il dm 26 aprile 1990 ha offerto la vaccinazione gratuita ad alcune popolazioni a rischio, tra cui il personale sanitario. La legge 165/91 ha reso obbligatoria la vaccinazione anti-Hbv per i nuovi nati nel corso del primo anno di vita e, fino al 2003, per gli adolescenti nel dodicesimo anno di età: di conseguenza si va verso una popolazione in gran parte protetta dal rischio di infezione da Hbv. Il dm 20 novembre 2000 e la circolare del 30 novembre 2000, n. 19, hanno aggiornato il protocollo per l’esecuzione della vaccinazione e la profilassi post esposizione. Le indagini di laboratorio per l’epatite B possono comprendere le seguenti determinazioni:
HBsAg: è l’antigene di superficie del virus. La sua presenza indica lo stato di infezione e chi è HBsAg positivo va considerato potenzialmente infettante. L’HBsAg non dà informazioni sulla replicazione virale, persiste in genere nel siero per 2-5 mesi, poi scompare. La persistenza di HBsAg oltre i sei mesi definisce lo stato di portatore cronico;
HBsAb: è l’anticorpo contro l’antigene di superficie, di tipo neutralizzante, compare tardivamente e persiste a lungo. La sua presenza indica protezione dall’infezione (immunizzazione). Si riscontra dopo la guarigione da un’infezione o dopo la vaccinazione. Si considera efficace per la copertura vaccinale un titolo uguale o superiore a 10 U.I./mL;
HBcAg: è un antigene della parte centrale del virus (core) ed è l’unico marcatore che non si riscontra mai nel sangue ma solo nelle cellule del fegato;
HBcAb-IgM: anticorpo che si riscontra solo in fasi di attiva replicazione del virus, quindi risulta positivo nelle forme acute e in quelle croniche riacutizzate;
HBcAb-IgG: dopo un contatto con il virus, indipendentemente dall’esito dell’infezione, questo anticorpo resta positivo per tutta la vita, quindi la sua presenza indica avvenuto contatto con il virus;
HBeAg: è l’antigene del nucleocapside del virus (core), la sua presenza indica attiva replicazione virale. Lo si riscontra nella fase iniziale delle epatiti acute e in alcune forme di epatite cronica;
HBeAb: è l’anticorpo diretto contro l’HBeAg, ma la sua presenza non impedisce l’evoluzione verso la forma cronica;
Hbv-Dna: è il genoma del virus e l’indicatore più sensibile della replicazione virale; la sua presenza indica sempre attività dell’infezione. Per definizione il portatore sano sarà sempre Hbv-Dna negativo.

Se richiesto test per epatite B o Hbv si esegue sempre HBsAg, anti HBs, antiHBc.
La vaccinazione anti-epatite B (11)
L’epatite B è l’infezione per la quale il rischio professionale per l’os è massimo, quindi è indispensabile vaccinare tutti, possibilmente prima di iniziare le attività a rischio. Si somministrano tre dosi di vaccino ai tempi 0, 1 e 6-12 mesi; se si è immediatamente esposti a rischio infezione si può fare la vaccinazione con una schedula rapida a 4 dosi (0, 1, 2, 12 mesi), che assicura alte probabilità di risposta protettiva già dopo le prime tre dosi. Si ricorda inoltre la necessità di verificare l’avvenuta sieroconversione (presenza di anticorpi anti-HBs) un mese dopo l’esecuzione dell’ultima dose (secondo quanto disposto dal dm 20/11/2000, art. 4), per avere certezza dell’instaurazione della memoria immunologica. Agli studenti dei corsi dell’area sanitaria e agli os nati dopo il 1980, che si presume siano stati sottoposti a vaccinazione anti-epatite B al dodicesimo anno di età, si raccomanda di eseguire il test per verificare il livello di anti-HBs prima di iniziare le attività a rischio. Un risultato positivo testimonia la presenza di memoria immunologica e non richiede ulteriori interventi. Al contrario, a chi risulta negativo al test si raccomanda una sola dose di vaccino e un nuovo controllo anticorpale dopo un mese. La positività di anti-HBs indica la presenza di memoria immunologica, la sua persistente negatività indica la necessità di completare il ciclo vaccinale con altre due dosi, seguite da un nuovo controllo sierologico dopo un mese. Ai soggetti non rispondenti a un ciclo vaccinale si possono somministrare fino a tre ulteriori dosi (ai tempi 0, 1, 6 mesi) per tentare di conferire protezione all’operatore. Di recente è stato proposto un nuovo schema vaccinale per i non rispondenti, che prevede la somministrazione di due dosi simultaneamente nei due muscoli deltoidi, seguita da analoga somministrazione dopo due mesi, e controllo sierologico per verificare l’eventuale sieroconversione (anti-HBs ≥10 mUI/ml) a distanza di ulteriori due mesi.
Tabella 1. Significato dei marcatori dell’Hbv (fonte – Commissione nazionale per la lotta contro l’Aids e le altre malattie infettive: “Linee guida per la diagnosi, la terapia e il controllo delle epatiti”, Roma 1998; documento 109: 167-200)

HBsAg Anti-HBs Anti-HBc IgM Anti-HBc IgG HBeAg Anti-HBe Hbv Dna Significato
+ + + + + Replica virale in atto (virus selvaggio)
+ + + +/- + Replica virale in atto (virus mutante)
+ + + +/- Epatite acuta in fase risolutiva
+ + + Portatore sano
+ + Finestra del “core”
+ + + Immunizzazione post infezione
+ Immunizzazione post vaccinazione

L’epatite C
Se durante l’attività di sorveglianza sanitaria il medico competente richiede il test per epatite C o Hcv si esegue la determinazione degli anticorpi anti Hcv; se è positivo (infezione pregressa) si consiglia eseguire determinazione di Hcv Rna qualitativo. Quando richiesto in prima istanza l’Hcv Rna si esegue la ricerca qualitativa, poiché fornisce indicazioni sulla presenza o assenza di genoma virale nel campione. Hcv-Rna è il marker più precoce d’infezione, è già rilevabile 1-2 settimane dopo l’infezione, circa un mese prima dell’aumento delle transaminasi. La persistenza di Hcv-Rna e l’aumento di Alt per più di sei mesi indicano cronicizzazione dell’infezione. La ricerca quantitativa dell’Hcv-Rna: fornisce il numero di copie di Rna virale nel campione, è indispensabile per valutare l’efficacia del trattamento terapeutico solo di alcuni genotipi del virus. Attualmente non esiste una profilassi per Hcv: immunoglobuline e farmaci antivirali non sono raccomandati come profilassi dopo esposizione a un paziente fonte Hcv positivo. La gestione dell’esposizione occupazionale a Hcv dipende pertanto dall’indicazione o meno al trattamento precoce dell’infezione da Hcv (cioè durante l’infezione acuta sintomatica o durante i primi sei mesi di infezione). L’incidenza media di sieroconversione anti-Hcv dopo esposizione percutanea accidentale a sangue di un soggetto fonte anti-Hcv positivo è dell’1,8% (range 0-7%), più raramente avviene dopo esposizione mucosa, mentre non è stata documentata alcuna trasmissione dopo esposizione a sangue di cute sia integra sia non integra. L’avvento di farmaci antivirali ad azione diretta sta cambiando il paradigma di trattamento dell’epatite C cronica. Nonostante ciò, molti pazienti con epatopatia progressiva non possono aspettare che siano disponibili i regimi completamente orali e finora nessuna opzione terapeutica si è dimostrata efficace per coloro nei quali non ha funzionato l’attuale standard di cura, costituito da interferone pegilato, ribavirina e uno degli inibitori della proteasi NS3 di Hcv approvati, boceprevir e telaprevir.