Medicina e tecnologia sono ormai un binomio indissolubile. La seconda aiuta la prima, la supporta, la velocizza, la rende più efficace. Ma ha un impatto anche sull’organizzazione del lavoro, con impatto in termini di sostenibilità, capacità di risposta al bisogno e, in ultima analisi, vantaggio per i pazienti. Pazienti che hanno sempre più a che fare direttamente con la tecnologia medicale (e non) che diventa compagna (o incubo) nella giornata, come supporto al proprio bisogno di salute e possibilità di vicinanza virtuale a chi è lontano.
La salute del parco tecnologico allora è ancora di più un dovere e non può limitarsi a un’attenta, rapida e corretta manutenzione. Perché se è vero che con un treno d’epoca possiamo andare in sicurezza da Milano a Roma è altrettanto vero che magari perdiamo in efficacia ed efficienza. E spesso, come ingegneri clinici, siamo costretti a un accanimento terapeutico per garantire la possibilità di un utilizzo continuativo.
Il parco tecnologico italiano è certamente non nuovo (eufemismo) e abbiamo tutti difficoltà nell’affrontare il suo rinnovo. In primis per ragioni di cassa: il parco macchine di un’azienda di medie dimensioni vale qualche centinaio di milioni di euro; quindi, servirebbero decine di milioni l’anno per sostituire una parte delle apparecchiature più vecchie. Ma il Pnrr ci ha mostrato che il criterio dell’età non può essere l’unico: è certamente il più semplice e oggettivo, ma molto limitante: quanti di noi avrebbero tenuto in vita, riutilizzato, trasferito le grandi apparecchiature che abbiamo dovuto invece alienare?
Il momento del rinnovo del parco tecnologico è normalmente più che un momento di mera sostituzione. Nella maggior parte dei casi è un’opportunità da cogliere. Opportunità per prendere coscienza di quanto e come lavoro (altrimenti detto: mi serve ancora davvero?), opportunità per capire se mi serve qualcosa di più performante, non per il gusto di “un gadget in più” ma perché realmente utile per i pazienti, opportunità per ripensare i percorsi organizzativi – pensiamo, per esempio, a quanto possiamo fare grazie alla connettività delle apparecchiature – ma è anche necessità per ragioni di sicurezza (tecnica e informatica), oggettivi problemi delle apparecchiature… e potrei continuare.
Quando pensiamo al rinnovo di solito ci riferiamo alla sostituzione, ma in questo approccio si colloca anche il “disinvestimento” (come è stato definito da quelli che hanno studiato), ovvero la possibilità di dismettere tecnologia per creare spazio a nuove soluzioni più interessanti, performanti e utili.
Il legame tra rinnovamento e innovazione è quindi molto stretto, specie in un mondo in cui la tecnologia non è solo lo “scatolino” ma anche il “come viene usata”, il processo, la procedura clinica: ogni volta che rinnoviamo, tanto o poco facciamo innovazione alimentando l’avanzamento delle prestazioni e quindi, in ultima analisi, cercando di fornire una risposta al bisogno dei pazienti.
Dobbiamo poter rinnovare (e quindi innovare). Non dovremmo essere ingessati da un contesto che non aiuta. Ma, essendo come sempre molto realisti, dobbiamo anche cercare di studiare, individuare, conoscere gli strumenti che ci consentono di spingere questo rinnovamento che è necessario e, per certi versi, non negoziabile anche in un contesto non roseo.
Il tema è vasto e qui ho voluto lanciare una provocazione. Che è anche un invito, visto che di questo argomento parleremo nel 6° meeting Aiic che si svolgerà a Taranto il prossimo 12 dicembre.
            
