La sanità e l’impatto di stampanti non funzionanti

Close-up of stethoscope and paper on background of doctors and patient working with laptop

Tante le ore di lavoro che si perderebbero, nel complesso, per stampanti troppo lente o da aggiustare: si parla di quasi 5 milioni di ore l’anno.

Sembra strano parlare di stampanti in ambito sanitario, eppure secondo una recente ricerca commissionata da Epson i Europa, Medio Oriente e Africa, ogni anno in sanità si perderebbero comulativamente quasi cinque milioni di gionate lavorative a causa di stampanti mal funzionanti o troppo lente.
In altre parole, se la tecnologia è inadeguata alle necessità quotidiane, si perde di produttività. Pensare solo ad andare dal medico di base che deve stampare una ricetta e, magari a causa della stampante arretrata, impiega più tempo del necessario. Ed è solo un esempio. Entriamo nei dettagli della ricerca, che ha coinvolto 3400 operatori del settore che lavorano a contatto con i pazienti.

I risultati italiani della ricerca

Secondo la ricerca commissionata da Epson, sarebbero il 92% del totale gli operatori sanitari che ogni settimana perdono tempo a causa di stampanti lente o non funzionanti. Ma quanto tempo viene perso? Il 28% ha dichiarato fino a mezz’ora la settimana, mentre il 13% fino a un’ora e il 2% fino a quattro ore. E andiamo meglio rispetto alla media europea, che vede al 6%, per esempio, la perdita di quattro ore di lavoro settimanali.

Come conseguenza, secondo il 41% degli interpellati, si generano ritardi e difficoltà nel condividere le informazioni, mentre per il 34% si hanno problemi nella prenotazione degli appuntamenti e per il 31% si fatica a tenere aggiornati i dati relativi ai pazienti. Senza contare che il paziente si rende conto della situazione, lamentandosene (28%).

In un momento storico in cui il personale sanitario è spesso sottodimensionato, l’efficienza è tutto. Perdere tempo per ragioni di carattere tecnologico ha un grande impatto sul sistema salute nel suo insieme.

“Molti responsabili”, ha affermato Riccardo Scalambra, Corporate Sales Manager di Epson Italia, “vedono le stampanti come marginali rispetto al ruolo svolto dagli operatori sanitari a contatto con i pazienti: niente di più sbagliato. La tecnologia inadeguata sta avendo ricadute sui pazienti e gli operatori sanitari chiedono un cambiamento”. In che modo ci si può muovere?

Possibili soluzioni al problema

I risultati della recente ricerca sottolineano anche una scarsa volontà, da parte del personale responsabile, di migliorare la situazione. L’81% dei partecipanti italiani sottolinea che le azioni intraprese per risolvere il problema sono poche, la stessa percentuale chiede che il proprio reparto IT dovrebbe acquistare stampanti nuove, che richiedono minore manutenzione e si possano aggiustare più in fretta.

Spiega Riccardo Scalambra: “per molte organizzazioni, un semplice passaggio dalle stampanti laser alle inkjet heat-free potrebbe essere d’aiuto.
Grazie al minor numero di parti mobili e di consumabili da sostituire durante l’intera vita utile della stampante rispetto ai modelli laser, la tecnologia inkjet a freddo di Epson riduce la manutenzione e i tempi di inattività, migliorando la produttività e la soddisfazione di chi le utilizza”.

Inoltre, questa tecnologia non richiede calore in fase di espulsione, il che si traduce in minor consumo energetico e minor impatto ambientale.