Ci sono anche i rappresentanti delle imprese dei dispositivi medici tra coloro che vengono ascoltati in questi giorni in Parlamento per stabilire le priorità di intervento su tutto l’ecosistema sanitario italiano. Non è infatti più possibile «farci trovare impreparati davanti alle emergenze e perciò dobbiamo rilanciare subito la sanità, ascoltando tutte le realtà e le imprese che operano in questo campo», commenta Annamaria Parente, presidente della Commissione Sanità del Senato.
Come sappiamo, le imprese medicali italiane stanno pagando una serie di contraccolpi indotti dall’epidemia. Da momento che il mercato è globale e che i competitor per l’acquisto di materie prime, per esempio, sono sempre di più, è facile capire che un battito di ala di farfalla in Cina può creare una tempesta sul nostro territorio. E non ho citato la Cina a caso: la sua crescita costante sta infatti portando il mercato globale a un riassetto, a favore del gigante orientale.
Lo dimostrano i numeri: nell’ultimo anno le importazioni provenienti dalla Cina sono aumentate del 15,1%, mentre le esportazioni verso gli USA si sono ridotte del 123%. Ma i problemi non finiscono qui. Innumerevoli anni di riduzione degli investimenti dello Stato, in nome di quella spending review chiesta costantemente dalla stessa Europa, hanno colpito pesantemente il settore dei dispositivi medici.
Durante l’intervento in Senato sono stati ricordati alcuni egli oneri chiesti a queste aziende, che dovrebbero portare avanti l’innovazione del Paese: prelievo forzoso del 5,5% sul totale delle spese promozionali delle aziende; imposizione del meccanismo delle gare al massimo ribasso, con successiva ulteriore rinegoziazione in corso di fornitura; imposizione dei tetti di spesa in dispositivi medici sia di base nazionale che regionale; introduzione del meccanismo del payback a danno delle aziende produttrici e distributrici; prelievo forzoso fino allo 0,75% sul fatturato.
E tutto ciò era già presente prima della pandemia che ha ovviamente peggiorato la situazione… da oltre due anni, infatti, praticamente tutto il sistema salute si è concentrato unicamente sul Covid-19, portando a una riduzione del consumo dei dispositivi medici. Se a ciò si aggiunge l’aumento del costo delle materie prime, in alcuni casi la carenza delle stesse, e dei trasporti della componentistica, dei semilavorati e dei prodotti finiti, ecco che si ottiene la tempesta perfetta, con un balzo dei costi che ha raggiunto anche picchi del 400% nelle ultime settimane.
È chiaro che occorre intervenire, e anche velocemente. Ma come? Risponde Fernanda Gellona, direttore generale di Confindustria Dispositivi Medici: «rifinanziare la salute, abolire i tetti di spesa e il payback, eliminare la tassa dello 0.75% sui fatturati delle nostre imprese, attivare un piano nazionale di HTA, ridefinire i LEA sulla base dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali. È il momento di definire un sistema di governance che garantisca un controllo della spesa non penalizzando il tessuto industriale italiano, l’innovazione e i servizi al cittadino.
Parliamo di un settore imprenditoriale che conta in Italia 4.546 imprese e occupa 112.534 addetti. Meccanismi come il payback rendono paradossalmente debitrici le aziende penalizzando ricerca e sviluppo, bloccando l’innovazione e frenando un tessuto industriale fondamentale tanto per la salute economica del Paese quanto per quella dei suoi cittadini.
Mettere in capo alle imprese fornitrici una parte degli sforamenti dei limiti di spesa, fissati dalle stesse regioni, non considerando gli attuali bisogni di salute dei cittadini significa trasferire la responsabilità della corretta gestione della spesa pubblica a soggetti privati, quali le imprese».
Richieste importanti che permetterebbero a questo settore, che tanto ha dato agli inizi della pandemia, di rifiorire.
Katia Accorsi, presidente dell’Associazione che rappresenta le imprese della diagnostica in vitro in Confindustria Dispositivi Medici, ricorda che questa «industria è fondamentale non solo in tempi di emergenza: i risultati dei test diagnostici in vitro sono in grado di influenzare fino al 70% delle decisioni cliniche, pur rappresentando solo circa l’1,2% della spesa sanitaria. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è la grande occasione che il nostro sistema sanitario ha di fronte per superare le fragilità emerse durante la crisi sanitaria e progettare la sanità del futuro, facendo tesoro delle criticità che il sistema ha mostrato. Ci auguriamo che il PNNR rappresenti l’opportunità per mettere al centro la diagnostica nella gestione del paziente e della sua patologia con una strategia e una visione di lungo termine». Negli ultimi temi le richieste sono tante, tutte giuste peraltro. Vediamo a quali risultati porteranno.
Stefania Somaré