L’ospedale pediatrico, un modello per la sanità

Direttore generale Tommaso LangianoÈ quanto suggerisce Tommaso Langiano, direttore generale dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, una struttura che in questi anni ha dato prova di grande dinamismo, sia nell’ambito della ricerca sia in quello dell’assistenza, valorizzando il ruolo del paziente, della famiglia e delle associazioni dei familiari.
L’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze conta circa 250 posti letto ed effettua ogni anno 9 mila ricoveri ordinari, erogando oltre 40 mila prestazioni di Pronto Soccorso, 8 mila interventi chirurgici e oltre 700 mila prestazioni ambulatoriali. Rispetto alla casistica, vanta un coefficiente di complessità di 1,4: un valore molto alto se si considera che la complessità media della casistica pediatrica in Italia è 0,7. Infine, oltre il 25% dei pazienti qui ricoverati proviene da altre Regioni, segno del forte potere attrattivo maturato dal Meyer negli anni, gli ultimi cinque sotto la guida di Tommaso Langiano. Medico di formazione, nonché specialista in medicina del lavoro e in igiene e medicina preventiva, Langiano prima di assumere l’attuale incarico nel 2009 è stato per 10 anni direttore sanitario dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, e ancor prima all’interno del Dipartimento Programmazione del Ministero della Salute e in Lombardia, dove ha iniziato la sua carriera professionale, presso un servizio territoriale di medicina del lavoro ed epidemiologia.

Che idea si è fatto del nostro Ssn?
«Vivendolo dall’interno mi sono reso conto che il nostro Servizio sanitario nazionale è una straordinaria ricchezza per il Paese, anche se ha ampi margini di miglioramento. Purtroppo, nel volerlo migliorare banalizzando alcuni aspetti, c’è il rischio di “buttare il bambino con l’acqua sporca”: cambiare l’acqua è un operazione necessaria e possibile, ma questa deve partire dalla considerazione che i valori fondamentali del servizio sanitario nazionale devono essere non solo conservati e tutelati, ma rilanciati. L’universalismo, il finanziamento pubblico del sistema sono valori che il resto del mondo sta progressivamente assumendo, e il paradosso è che rischiamo di metterli in dubbio proprio noi che abbiamo l’orgoglio di essere stati gli antesignani di questo modello di cultura e di civiltà sanitaria insieme agli inglesi. L’altro rischio è non considerare i confronti internazionali: è un problema che sta pesando sempre di più. Tutti i dati dimostrano che il nostro livello di spesa sanitaria è sceso eccessivamente, al di sotto dei livelli di guardia, e le analisi dell’OECD lo dimostrano in maniera molto chiara: non vorrei che entrassimo in una spirale in cui l’inadeguatezza del finanziamento del sistema sanitario producesse delle aree sempre crescenti di criticità che finirebbero col determinare ulteriori tagli».

Cosa significa per lei essere direttore generale di un ospedale pediatrico?
«È un esperienza straordinaria, non solo per il ruolo che ricopro, ma per il luogo in cui svolgo il mio lavoro, perché l’ospedale pediatrico è veramente coinvolgente, emotivamente vivo e sensibile e questa è un’esperienza che credo si realizzi in tutti gli ospedali pediatrici. Lo dico con convinzione, perché ho lavorato in due diversi presidi e la presenza del bambino, che è ovviamente l’elemento caratterizzante dell’ospedale pediatrico, e il fatto che la struttura sia totalmente dedicata al bambino e quest’ultimo porti necessariamente con sé, per fortuna, la famiglia, sono elementi che rendono estremamente specifica, quasi unica, l’esperienza lavorativa in questo contesto. Poi, ci sono anche altri aspetti altrettanto importanti, da quelli più banali come la logistica, che è molto specifica, proprio per il tipo di paziente trattato, all’organizzazione stessa dell’attività dell’ospedale pediatrico che è altrettanto specifica. Tuttavia, il coinvolgimento emotivo degli operatori all’interno di questo tipo di struttura (aspetto di cui parliamo poco forse per pudore) è il più importante e caratterizzante».

L'Ospedale Meyer di Firenze
L’Ospedale Meyer di Firenze

Che aria si respira all’interno dell’Ospedale Pediatrico Meyer?
«A me sembra si respiri un’aria molto positiva, orientata all’innovazione. Inoltre, abbiamo il grande privilegio di essere all’interno di una sede nuova, bella e funzionale, e questo ci aiuta molto nel lavoro. L’altro elemento è rappresentato dalla ricerca, perché, anche se non siamo un Irccs, la ricerca sta assumendo sempre maggiore importanza nel nostro ospedale. È ampiamente condivisa l’idea che la ricerca sia il più forte stimolo al miglioramento della qualità delle cure. Negli ultimi 6 anni l’attività di ricerca dell’Ospedale Pediatrico Meyer è aumentata di oltre il 40%, in modo dunque molto significativo, ma anche documentato. Un risultato a cui siamo giunti anche grazie al fatto di avere nominato, per libera scelta, un comitato scientifico internazionale, costituito da 4 componenti (2 provenienti dagli Stati Uniti, uno dalla Svizzera e uno dall’Italia), che una volta all’anno visita in modo piuttosto approfondito l’ospedale per valutarne l’attività di ricerca. Questo approccio, oltre a rappresentare un aiuto fondamentale per il miglioramento della qualità della nostra ricerca e quindi delle nostre cure, sta sempre più abituando l’ospedale alla valutazione esterna: un elemento da coltivare con attenzione».

Cosa può insegnare un ospedale pediatrico alla sanità in generale?
«Sopra ogni cosa, forse, l’importanza di coinvolgere le famiglie nel processo decisionale: a me sembra che l’ospedale pediatrico sia avanti in questo, certamente più avanti rispetto a quello che avviene nell’ospedale dell’adulto, e questo è un elemento che varrebbe la pena non solo tenere in considerazione, ma anche valutare a livello di trasferibilità. Un altro elemento parimenti importante, anche se non so quanto trasferibile in altri contesti, è l’attenzione che l’ospedale pediatrico ha necessariamente nei confronti della giornata tipo del paziente: noi ci preoccupiamo di seguire il bambino nell’arco della giornata, cerchiamo di aiutarlo attraverso la scuola, i clown, la musica, il teatro e la ludoteca. Questa attenzione alla quotidianità, agli aspetti non propriamente sanitari in un ospedale pediatrico sono storicamente molto sviluppati e forse qualcosa potrebbe essere trasferita anche all’ospedale degli adulti».

In che modo sono coinvolte le famiglie nei processi decisionali?
«Una volta al mese il direttore generale incontra il coordinamento della associazioni delle famiglie in un momento di confronto estremamente importante, perché l’ospedale riceve osservazioni, proposte, critiche e fornisce informazioni. Questo percorso di costante consultazione con i rappresentanti delle famiglie è un elemento caratterizzante della gestione dell’ospedale perché influenza le decisioni e aumenta la capacità dell’ospedale di andare incontro alle aspettative delle famiglie. Un altro esempio, sempre orientato al coinvolgimento delle famiglie, riguarda la figura del medico tutor, di recente costituzione: stiamo cercando in tutti i modi di far sì che questa nuova figura diventi reale nel processo di cura, perché riuscire a individuare un medico referente conosciuto dalla famiglia rende il processo di condivisione, prima di tutto delle informazioni e poi delle decisioni, realmente possibile».

A suo avviso, quanto è importante per la medicina di domani ascoltare le esigenze dei pazienti e dei loro familiari?
«È fondamentale, sia in ambito clinico sia rispetto alle scelte organizzative e gestionali. Non è un atto di buonismo, ma una necessità dettata dai tempi che stiamo vivendo, dove i diritti dei pazienti sono diventati un elemento prioritario, ma anche dalle necessità terapeutiche, perché coinvolgere la famiglia nel processo di cura aumenta la compliance e riduce gli sprechi».

Ciascuno, secondo il proprio ruolo, di paziente, medico o dirigente, deve dare il proprio contributo…
«Sono d’accordo, in generale credo ci sia bisogno di più cultura, di ricerca e innovazione».

Come sarà il Meyer di domani?
«Abbiamo appena varato il piano strategico triennale che si articola in 10 progetti, divisi in tre aree principali. La prima è la cronicità pediatrica, problema di cui forse in Italia si parla ancora poco e che invece sta aumentando in modo rilevante: nel 2012 nel nostro ospedale si è verificato il “sorpasso”, cioè il numero di giornate di degenza erogate a pazienti con patologie croniche ha superato il numero delle giornate di degenza erogate a bambini con patologia acuta. La seconda riguarda le innovazioni assistenziali, che rappresentano ormai una tradizione per il nostro ospedale: in questo ambito abbiamo pensato a un progetto destinato agli adolescenti, area non ancora ben collocata dal punto di vista clinico e organizzativo, ma anche alla terapia fetale. Infine, la terza area individuata è orientata a un ulteriore potenziamento della ricerca pediatrica. Insomma, mi immagino un ospedale appoggiato su due gambe: l’innovazione e la ricerca, ovviamente costantemente attento all’evoluzione della casistica che oggi vuol dire prima di tutto grande attenzione al tema della cronicità».

Come si immagina il Ssn del prossimo futuro?
«Vorrei un servizio sanitario che continui a essere solidaristico, più agile, meno oppresso da meccanismi amministrativi che lo tengono troppo orientato verso valori che non sono quelli fondamentali, un servizio realmente partecipato che produca valore aggiunto in grado di essere anche documentato».

Pierluigi Altea