Mal di cuore e montagna: un decalogo per consigliare i pazienti

Mal di cuore e montagna: un decalogo per consigliare i pazientiCamminare in montagna, nel verde, è senza dubbio un allenamento fisico importante per restare in salute.
Per alcuni, questa attività è una vera e propria passione, portata avanti sin da giovani e continuata anche in età più avanzata.
Ci sono casi, però, nei quali questa attività può divenire pericolosa se non si rispettano alcune semplici regole.

È il caso delle patologie cardiovascolari che possono risentire dell’alta quota.
Sopra i 2500 metri di altitudine, infatti, l’abbassamento della pressione atmosferica porta a una rarefazione delle molecole gassose nell’aria. In sostanza c’è meno ossigeno a disposizione dei nostri polmoni e, di conseguenza, il cuore deve lavorare di più per trasportare questo prezioso gas alle cellule del corpo. E così durante un soggiorno ad alta quota si osserva un aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, così come della pressione sanguigna e polmonare.

Adattamenti che possono essere dannosi per chi soffre di cuore. Cosa dire dunque agli amanti dell’alta montagna che si trovano con un cuore che non funziona più come dovrebbe? Quali consigli dare?
Oggi medici di famiglia e cardiologi possono trovare un valido aiuto nel nuovo consensus document internazionale intitolato “Raccomandazioni cliniche per l’esposizione ad alta quota di individui con condizioni cardiovascolari preesistenti” (Gianfranco Parati, Piergiuseppe Agostoni et al. “Clinical recommendations for high altitude exposure of individuals with pre-existing cardiovascular conditions”. European Heart Journal, ehx720), scritto dal gruppo di lavoro di Gianfranco Parati, professore di Medicina cardiovascolare all’Università di Milano-Bicocca e direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’Istituto Auxologico San Luca di Milano. L’equipe lavora su queste questioni dal 2004 e in questi 13 anni ha definito quali sono gli aspetti importanti da prendere in considerazione.

«Si tratta di raccomandazioni estratte da numerosi studi», spiega Gianfranco Parati, «che abbiamo analizzato grazie a una estesa ricerca nella letteratura del settore, per dare raccomandazioni che non fossero semplicemente opinioni personali ma consigli basati su evidenze scientifiche, incluse quelle ricavate dai nostri progetti “HighCare” sul campo in alta quota. Ne emerge un ventaglio di raccomandazioni che tengono in considerazione da un lato aspetti ambientali come velocità di salita, quota raggiunta, temperatura o il fatto di dormire in quota, e dall’altro aspetti personali come allenamento, storia clinica, stabilità dei problemi cardiovascolari, terapia in corso, esami diagnostici recenti, training precedente, preparazione fisica e clinica».

Quello che emerge è innanzitutto la necessità di ogni caso singolarmente per dare un consiglio adeguato. Stima del rischio cardiovascolare, individuazione di problemi ancora subclinici, considerazione del livello di allenamento dell’individuo. Tutto deve essere considerato e ponderato. Quindi, il paziente cardiologico non deve necessariamente privarsi del piacere dell’alta quota, ma deve affrontare la situazione con serietà, consapevolezza e prudenza. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista European Heart Journal.

Stefania Somaré