Secondo recenti rilevazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), nel nostro Paese vivono circa 24 milioni di malati cronici, pari quindi a quasi il 40% della popolazione nazionale. Si tratta di cittadini di età superiore ai 65 anni e in prevalenza di sesso femminile, alle prese con patologie della natura più svariata.
Dall’ipertensione arteriosa al diabete e dai disturbi della tiroide agli scompensi cardiaci, fino alle malattie ischemiche e del cuore, a quelle neurologiche e all’asma bronchiale o all’osteoartrosi.
La situazione non è certamente destinata a migliorare con il passare degli anni, come noto, visto che, solo per fare un esempio, si ipotizza nel 2030 un caso di diabete ogni dieci residenti. La gestione del fenomeno sortisce chiaramente un impatto molto forte sulla spesa sanitaria nazionale della quale adesso è arrivato ad assorbire una porzione vicina all’80%. È da riflessioni di questo tenore che ha prese le mosse l’azione del Gruppo GPI.
Con la sua capofila GPI Spa è fornitore a 360 gradi della sanità tricolore. Ha sede centrale a Trento e vanta un volume d’affari in crescita del 32% solamente fra il 2016 e il 2017 quando il suo business ha toccato quota 180 milioni di euro e la sua forza lavoro è arrivata a sfiorare le 4.000 unità.
La sua offerta copre tutti gli ambiti critici del segmento healthcare includendo soluzioni di comunicazione con il pubblico e sistemi di gestione dell’assistenza; piattaforme di telemedicina e ambulatori di diagnostica. Organizzazione e tecnologie hanno preso il centro della scena a Exposanità 2018 a Bologna.
Tecnologia e società
«Siamo fra i pochissimi player a tutto campo presenti nell’arena delle iniziative indirizzate alle vulnerabilità», ha detto a Tecnica Ospedaliera il business developer del gruppo Renzo Polo, «e per dar vita ai progetti introdotti abbiamo incrociato esperienze varie.
A cominciare da quelle condotte presso la regione Puglia dove si è compreso per tempo che la prevenzione è una delle risposte più efficaci alla cronicità e che la prevenzione si attua tramite l’adozione di stili di vita adeguati. Cioè a dire che gli ambienti circostanti, le abitudini influenzate da fattori esterni, lo status sociale, esercitano un peso specifico sulle patologie».
Dalla teoria, che ha visto anche l’adozione di un set di indicatori sviluppati negli Stati Uniti e caratterizzati per la loro estrema affidabilità, si è quindi passati alla pratica.
In particolare, di concerto con la Unità locale sanitaria di Verona ha preso forma una sperimentazione mirata ai pazienti diabetici non insulinodipendenti e in cura presso i medici di medicina generale.
«Abbiamo instaurato con i medici di base una relazione stretta per l’attivazione di opportuni programmi di screening», ha proseguito Renzo Polo, «coperti con tutte le misure di privacy e di riservatezza che la materia, ovviamente, richiede. Sono stati per questo arruolati ben 10 mila soggetti della provincia scaligera su complessivi 13 mila cronici di Fascia 2 aderenti ai servizi erogati dalla medicina generale. Sono stati 7.500 quelli che hanno partecipato alle fasi di monitoraggio sperimentale. Analogo a questo è stato il piano di presa in carico messo a punto in Lombardia e per la precisione sul territorio bergamasco. La collaborazione con la cooperativa IML che conta 700 medici associati, ci permetterà di coinvolgere oltre 200.000 persone».
Per il monitoraggio del follow-up
I passaggi successivi hanno visto il Gruppo GPI impegnato a tessere ulteriori rapporti con i professionisti e con le istituzioni, cioè le aziende sanitarie e socio-sanitarie territoriali. E, va da sé, nell’implementazione di ulteriori strategie. Altri processi hanno avuto luogo in ambito clinico e hanno riguardato sia lo sviluppo di protocolli e terapie di chronic care sia la messa a disposizione dei medici di «strumenti di verifica dello stile di vita dei pazienti».
E per il monitoraggio «di tutte le componenti esterne che influenzano il decorso della malattia», in linea con le dichiarazioni di intenti fornite dal business developer Renzo Polo.
«È stata poi presentata una serie di soluzioni», ha osservato nuovamente l’intervistato, «che partendo dalle schede di dimissione ospedaliere offrono indicazioni chiare sulla possibile insorgenza futura di patologie croniche a danno del soggetto, in assenza di un corretto follow-up. Anche in questo caso il dialogo con i medici di medicina generale e la loro supervisione sono stati determinanti. Ma decisivo, come ha dimostrato la case history del comune di Peschiera del Garda, è l’apporto del settore pubblico. La presa di consapevolezza delle problematiche della cronicità da parte di comunità e sindaci è forse l’aspetto più importante per una corretta ed efficiente assistenza ai cittadini più vulnerabili».
Lo ha detto chiaramente la sindaca del comune benacense Orietta Gaiulli, alle prese sulle prime con le lacune della comunicazione fra la medicina di base e gli altri attori della sanità.
«Persone fragili» e spesso «rimaste sole al mondo» sono i cronici descritti da Gaiulli il cui municipio ha stanziato ai fini del loro supporto un plafond da 300 mila euro. La sola installazione di chat dedicate e sistemi di interazione fra medici, pazienti, familiari, vicini e associazionismo è divenuta così parte integrante e importante di un mosaico ben più ampio e nel quale «tutti gli attori del territorio sono chiamati a giocare, in prima persona, un ruolo».
Una nuova domanda di salute
Un ulteriore esempio di integrazione fra una gestione tradizionale dei servizi di salute e una loro erogazione innovativa, in attesa delle imminenti sperimentazioni di telemedicina, è arrivato dalla provincia mantovana e ha interessato comuni e quartieri di piccola dimensione.
A Bologna lo ha descritto il presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche Andrea Guandalini, convinto di come la strategia messa in atto nella zona con il supporto dello know-how di Gruppo GPI possa «potenziare il ruolo sociale degli infermieri».
Un potenziamento utile e anzi cruciale, secondo Guandalini, «per rispondere con servizi integrativi e nuovi alle richieste di sostenibilità» che il panorama italiano dell’assistenza esprime. Nonché per andare incontro a un bisogno di salute che, come nel caso della cronicità, porta con sé sfide inedite rispetto al passato. L’ambulatorio dove Andrea Guandalini opera è dedito da oltre 15 anni all’assistenza domiciliare e ha consolidato in quest’ambito la sua presenza stringendo via via partnership con le amministrazioni locali.
Specialmente nei piccoli comuni, poter portare porta a porta prestazioni in apparenza semplici come la misurazione pressoria e le iniezioni, con la prospettiva di offrire in futuro anche diagnostica di prossimità, è un fatto essenziale. Basti pensare a tutti gli spostamenti in direzione del capoluogo, del centro città o delle strutture di Pronto Soccorso che, in questo modo, vengono evitati. Il risparmio è quindi «evidente e percepibile» sia per i singoli individui, la cui qualità di vita migliora, sia per il Servizio Sanitario Nazionale.
«La professionalità degli infermieri è senz’altro valorizzata», ha detto Polo, «visto che in accordo con i medici di base essi potrebbero essere autorizzati a svolgere una serie di indagini sui pazienti e di interventi. Questo implica un più attento controllo della patologia che ha meno probabilità, così, di degenerare e creare costi sociali ancor più alti».
Consolidare questo tipo di iniziative arricchendole con servizi come la dialisi a domicilio è il traguardo da cogliere in avvenire, purché all’eccellenza delle tecnologie si unisca «una visione politica diversa». E capace cioè di trasformare alcune promesse in realtà. «Quello della decentralizzazione delle cure è un mantra ormai conosciuto», ha detto in conclusione il business developer di Gruppo GPI Renzo Polo, «che trova concordi un po’ tutti. È perciò importante intensificare gli sforzi e tradurre al più presto questa visione in buone pratiche sul territorio».
Roberto Carminati