Medicina territoriale, studio Nomisma-Rekeep su investimenti e benefici

Come ripensare l’assistenza sanitaria italiana per guardare oltre la pandemia e colmare le fragilità del SSN emerse durante la pandemia? Che cosa prevede il PNRR? Quali sono gli investimenti necessari e quali gli impatti sanitari, sociali economici e ambientali conseguibili? Sono solo alcune delle domande alle quali intende fornire una risposta la nuova ricerca realizzata dalla società di studi economici Nomisma e da Rekeep, capofila del principale gruppo italiano attivo nell’integrated facility management, che si focalizza sugli spazi e sulle strutture necessari per portare cura e assistenza più vicine alle persone, superando le criticità emerse durante la pandemia.

Il nuovo studio fa seguito a quello condotto nel 2020 dal titolo “Un Green New Deal sul patrimonio immobiliare pubblico: nuove economie ed effetti ecosistemici”, in cui erano stati analizzati i tanti risultati positivi conseguibili attraverso interventi di riqualificazione energetica e sismica del patrimonio immobiliare pubblico non residenziale, in massima parte uffici comunali e scuole territoriali. Il denominatore di entrambi è, quindi, comune: sanità e scuola costituiscono, infatti, gli ambiti di sviluppo prioritario di ciascun Paese.

Come ripensare l’assistenza sanitaria italiana per guardare oltre la pandemia e colmare le fragilità del SSN emerse durante il Covid-19?
Lo shock sanitario da Covid-19 ha evidenziato numerose fragilità del SSN, comunque fondamentale e con un ruolo cruciale, riconosciuto da tutte le istituzioni e dai cittadini anche durante il picco dell’emergenza. In particolare, per evitare un eccessivo sovraccarico sul sistema centrale risulta necessario, così come indicato anche dal PNRR, migliorare l’assistenza territoriale.

In tale direzione, come emerso anche dai diversi workshop organizzati da Nomisma nell’ambito dello studio, con la partecipazione di FIMMG, FNOMCEO, FNOPI e ANAAO-ASSOMED, oltre che di numerosi esperti di politica sanitaria e management della sanità, risulta sicuramente prioritario investire sull’incremento e la formazione del personale e su tecnologia e ricerca, ma un ruolo fondamentale è ricoperto dallo sviluppo di una rete di strutture territoriali che possano diventare punto di riferimento per i cittadini.

Lo studio, partendo dalla situazione attuale – ovvero dalle strutture sanitarie già operanti sul territorio italiano – e dal modello di sanità delineato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – si concentra, quindi, sull’edilizia sanitaria, definendo gli interventi necessari su Ospedali di Comunità, Case della Comunità e RSA in modo da rafforzare l’assistenza sanitaria territoriale di rete, oltre ai relativi benefici economici, sociali e ambientali.

Qual è lo stato e la consistenza del patrimonio immobiliare sanitario italiano disponibile? È
possibile recuperare o riutilizzare parte degli immobili attualmente non utilizzati o dismessi?
Lo studio analizza il patrimonio immobiliare pubblico non residenziale afferente all’edilizia sanitaria attraverso i dati forniti dal Ministero della Salute e dal Dipartimento del Tesoro. Le strutture sanitarie presenti in Italia e attualmente mappate dal Ministero della Salute sono 27.211, di cui 995 ospedali:

  • per il 42%, si tratta di strutture pubbliche, la parte restante è costituita da strutture private
    accreditate
  • il 20% delle Regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Sicilia, Campania, Veneto) detiene il 50% delle strutture
  • 21.055 unità immobiliari con finalità socio sanitaria o appartenenti alla tipologia “ospedale”, si concentrano nei comuni di medie (33%) e grandi dimensioni (34%), mentre solo il 24% nelle zone del Paese con minore concentrazione della popolazione
  • esistono almeno 2 milioni di mq di strutture inutilizzabili e non utilizzate (il 36% concentrate nel Nord Ovest), pari al 4% del campione mappato, percentuale che sale al 7% per le strutture costruite prima del 1945.

I dati evidenziano, quindi, che esiste non solo un gap regionale da colmare riequilibrando la situazione attuale in funzione della concentrazione della popolazione delle Regioni, ma anche la necessità di potenziare la rete territoriale al fine di non sovraccaricare i centri di più grandi dimensioni. Il dato sugli immobili a destinazione sanitaria non utilizzati apre, inoltre, anche la strada ad importanti ragionamenti sull’utilizzo del suolo esistente rispetto all’utilizzo di nuovo e all’opportunità di far fronte al fabbisogno di servizi e posti letto preservando il territorio e favorendo la sostenibilità ambientale.

Quali sono i fabbisogni per realizzare il modello atteso di sanità territoriale?
Lo studio stima il fabbisogno standard (numero di strutture di cui ci sarebbe bisogno per rafforzare l’assistenza sanitaria territoriale) per ciascuna delle 3 tipologie di strutture:

  • Ospedali di Comunità. Attualmente in Italia sono attivi 163 Ospedali di Comunità che mettono a disposizione 3.163 posti letto, concentrati prevalentemente in Veneto (1.426 posti letto), Marche (616 p.l.), Lombardia (467 p.l.) ed Emilia-Romagna (359 p.l.). Il PNRR prevede di realizzarne 381. Per raggiungere il fabbisogno standard di 1 struttura ogni 50.000 abitanti, pari a 1.205 Ospedali di Comunità sarebbe, tuttavia, necessario prevedere l’attivazione di ulteriori 661 Ospedali di Comunità – per un totale di 1.042 strutture e 13.220 posti letto
  • Case della Comunità. A oggi in Italia sono attive 489 Case della Comunità (strutture che in alcune aree coincidono con le cosiddette “Case della Salute”) e la Regione che ne ha di più è l’Emilia-Romagna (124), seguita da Veneto (77), Toscana (76) e Piemonte (71). Nessuna struttura di questa tipologia è invece presente in Lombardia. Nel PNRR è prevista l’attivazione di 1.288 Case della Comunità entro il 2026 ma per un’assistenza adeguata occorrerebbe avere complessivamente 3.010 strutture. Per raggiungere il fabbisogno standard, pertanto, sarebbe necessario attivare ulteriori 1.233 strutture
  • RSA. Attualmente l’offerta di RSA in Italia è pari a 14,6 posti letto ogni 1.000 anziani residenti (popolazione con 65 anni o più). Esiste una forte sproporzione tra il Nord e il Sud del Paese in termini di offerta: la Provincia Autonoma di Bolzano dispone di 42,6 posti letto ogni 1.000 anziani, il Veneto 28,4 p.l., l’Emilia-Romagna 15,7 p.l., il Lazio 5,9 p.l., la Campania 1,4 p.l., il Molise 0,8 p.l., la Valle d’Aosta non possiede alcuna struttura. Per raggiungere il parametro-obiettivo di 10 posti letto ogni 1.000 anziani – sotto al quale si posizionano ben 11 Regioni, quasi interamente appartenenti al Sud del Paese – è necessario attivare 527 strutture, per un numero complessivo di 36.890 posti letto, sotto l’ipotesi di 70 posti letto in ciascuna struttura.

Quali sono gli investimenti necessari?
Nel PNRR è previsto uno stanziamento di 1 miliardo di euro per la realizzazione di 381 Ospedali di Comunità e di 2 miliardi di euro per 1.288 Case della Comunità, oltre a 308 milioni di euro da destinare alle residenze per anziani. Gli importi sono comprensivi delle spese per gli impianti tecnologici.

Per la realizzazione delle ulteriori strutture lo Studio indica che sono tuttavia necessari:

  • 1,3 miliardi di euro aggiuntivi per l’attivazione di ulteriori 661 Ospedali di Comunità, per
    un investimento complessivo quindi pari a 2,3 miliardi di euro (e una consistenza di quasi 1,2 milioni di mq)
  • 1,4 miliardi di euro aggiuntivi per attivare ulteriori 1.233 Case della Comunità, per un
    investimento che, sommato all’ammontare di 2 miliardi di euro previsto nel PNRR, porta il valore complessivo a 3,4 miliardi di euro (su circa 2 milioni di mq)
  • 2,3 miliardi di euro per la realizzazione delle 527 RSA (per una superficie di 2,2 milioni di mq) a cui si aggiungono i 308 milioni già previsti nel PNRR.

In totale, dunque, per attuare il modello di sanità territoriale delineato dal PNRR sarebbero necessari 8,2 miliardi di euro (importo comprensivo delle spese per gli impianti tecnologici) intervenendo su 3.563 strutture, corrispondenti a una superficie di circa 5,4 milioni di mq. Parte di questo importo, pari a 3,308 miliardi di euro, è già previsto nel PNRR, mentre sarebbero necessari ulteriori 4,907 miliardi di euro per completare tutti gli interventi.

Come e dove reperire le risorse per la realizzazione delle ulteriori strutture?
Un contributo importante potrebbe arrivare anche dal coinvolgimento degli operatori privati, non solo la sanità privata che potrebbe essere interessata a investire nella realizzazione di nuovi spazi, ma anche gli operatori dei servizi a supporto della sanità, facility management in primis, attraverso la formula del Partenariato Pubblico Privato (PPP), una soluzione che prevede di affidare a una società esterna gli interventi che vengono ripagati attraverso la gestione successiva dell’immobile, o attraverso operazioni in
project financing.

Le imprese private potrebbero, quindi, essere un alleato fondamentale della Pubblica Amministrazione, in grado di mettere a sistema risorse aggiuntive in una logica di accelerazione degli investimenti, oltre a fornire le competenze progettuali per generare reali efficienze e riduzione dei consumi, in particolare nell’ipotesi della riqualificazione di edifici dismessi.

Sia nella fase di sviluppo, che a regime, quindi, sia nel caso di interventi di riqualificazione edilizia del patrimonio pubblico, sia nella gestione dei servizi sanitari, il PPP si configura come un valido strumento per una diversificazione del rischio e un’attività di co-progettazione e co-gestione che non può rimanere appannaggio esclusivo del settore pubblico, considerando anche l’effort complessivo.

Quali i benefici economici, sociali, sanitari e ambientali?
L’investimento complessivo, pari a 8,2 miliardi di euro, potrebbe generare un volano economico a livello nazionale pari a 25,7 miliardi di euro (di cui 17,1 miliardi di euro quale impatto diretto e indiretto sulla produzione e 8,6 miliardi di euro quale impatto indotto sull’economia).

Per ogni euro investito nella riqualificazione e ristrutturazione delle strutture identificate si genererebbero, quindi, 3,5 euro. A questo si deve aggiungere un ulteriore beneficio economico a regime – ovvero una volta terminata la fase di sviluppo delle strutture – nei settori dei servizi sanitari e delle facilities.

È così possibile osservare un effetto propulsivo che vede a regime un beneficio di 160 milioni di euro per i servizi di facilities (pulizie vigilanza, mensa, lavanderia e manutenzioni).

Ancora più significativi, inoltre, gli effetti positivi in ambito sociale e sanitario, tra cui:

  • aumento delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate
  • riduzione dei tempi di attesa per le prestazioni ospedaliere e ambulatoriali
  • incremento del tempo relazionale fra medico e paziente
  • aumento del benessere organizzativo, miglioramento del clima lavorativo e del commitment alla professione miglioramento della qualità degli outcome
  • aumento della qualità percepita da parte dei pazienti
  • riduzione del carico di pazienti in fase post acuta presenti negli ospedali e garanzia di una dimissione precoce e sicura
  • riduzione dei ricoveri ospedalieri ripetuti
  • riduzione dei ricoveri inappropriati e dei tempi di degenza
  • decremento dei costi ospedalieri, dovuti a ricoveri ripetuti, impropri e prolungati.

Fondamentale, inoltre, la possibilità di ridurre la percentuale di accessi impropri in Pronto Soccorso, attualmente pari, secondo uno studio AGENAS, al 30%.
Incrociando i dati relativi all’anagrafe, alla proprietà, all’utilizzo e alle principali caratteristiche immobiliari a livello territoriale lo Studio stima, inoltre, che, rispetto a quanto già finanziato dal PNRR, larga parte degli investimenti aggiuntivi potrebbe essere realizzata raggiungendo l’obiettivo del consumo di suolo zero, per il 77% attraverso riqualificazioni di strutture esistenti e per il restante 23% con interventi di demolizione e ricostruzione.

Intervenendo sulla riqualificazione di strutture inutilizzate o inutilizzabili si potrebbero, inoltre, generare numerosi ulteriori benefici in termini ambientali tra cui:

  • contenimento degli impatti ecosistemici complessivi, grazie all’utilizzo di impianti moderni, alla creazione di edifici tecnologicamente avanzati e all’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) prescritti dalle normative vigenti in materia di riqualificazione o costruzione di immobili, con una riduzione delle emissioni atmosferiche stimata in 117 milioni annui di Co2
  • resilienza urbana (valorizzazione delle aree interessate). L’applicazione obbligatoria dei CAM impone, soprattutto nelle demolizioni e ristrutturazioni, di lavorare sulle aree esterne di pertinenza con conseguenti benefici in termini di limitazione all’effetto isola di calore-allagamenti urbani. Inoltre, le città verrebbero valorizzate nelle aree in cui si decide di operare, riducendo il livello di degrado e abbandono
  • attivazione di un’economia circolare legata alla riqualificazione degli edifici (riuso dei
    materiali e riciclo) che non solo consentirebbe una riduzione del consumo di risorse, ma
    determinerebbe una spinta economica nuova in relazione all’utilizzo di materiali da oggi legati a costi per lo smaltimento. Sempre secondo i CAM, per esempio, il 70% dei materiali di demolizione deve essere sottoposto a processi di recupero.