Lo scorso 23 gennaio sono stati presentati i primi dati del progetto pilota di sorveglianza della mortalità perinatale in Italia partito nel 2017, che per ora coinvolge solo tre Regioni: Toscana, Sicilia e Lombardia.
Coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute, il progetto intende registrare e possibilmente verificare le cause di ogni morte perinatale avvenuta nei 138 presidi ospedalieri delle Regioni partecipanti dotati di reparti di Ostetricia, Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale.
A tal fine, è stata creata una rete di referenti all’interno dei vari ospedali e sono stati istituiti appositi comitati multidisciplinari di professionisti indipendenti, chiamati a revisionare i casi di decesso passando in rassegna l’intera documentazione clinica.
I primi dati analizzati sono riferiti ai decessi avvenuti tra il 2017 e il 2019 e confermano i dati Istat: muoiono circa 4 neonati ogni 1000, con tasso variabile da Regione a Regione: 4‰ in Sicilia, 3,5‰ in Lombardia, 2,9 ‰ in Toscana.
Il valore medio è comunque in linea con quanto avviene in Paesi come Francia e Regno Unito, che hanno un sistema sociosanitario simile al nostro.
Quali sono i fattori di rischio?
Secondo lo studio, la cittadinanza straniera, la gravidanza multipla e il parto prima della 32esima settimana sono i fattori che più correlano alla morte perinatale.
Circa metà dei decessi avviene comunque durante il travaglio e il parto, per lo più a causa di eventi acuti come il distacco di placenta.
Cause di morte nella prima settimana di vita sono, invece, i disturbi respiratori e cardiovascolari, le infezioni e le malformazioni congenite, in ordine di frequenza.
A livello organizzativo, pur rispettando tutti gli standard di qualità richiesti dal Ministero della Salute, è stata evidenziata una carenza nei percorsi nascita di donne con gravidanze a rischio, che spesso partoriscono in strutture non attrezzate a reagire in modo tempestivo a eventi critici.
Per esempio, nei parti fortemente pretermine (prima della 32esima settimana), il 25% dei neonati morti sono stati partoriti in ospedali di I livello, anziché in ospedali di II livello, come sarebbe auspicabile.
Il progetto ha individuato criticità anche nella rete STEN (Servizi di Trasporto in Emergenza Neonatale), soprattutto in Sicilia.
Sempre in Sicilia, inoltre, si effettuano di rado gli esami anatomopatologici necessari a inquadrare le cause della morte.
Vi è un ultimo punto da evidenziare.
Le analisi effettuate dai comitati indipendenti hanno sottolineato che nessuno dei decessi avvenuti in Toscana poteva essere evitato, mentre l’11% di quelli lombardi e il 38% di quelli siciliani sì.
Gli ambiti di miglioramento sono soprattutto la gestione del diabete e dell’ipertensione in gravidanza, lo screening dei difetti di accrescimento fetale insieme alle indicazioni all’induzione del travaglio e al taglio cesareo.
Inoltre, vanno migliorate la qualità dell’assistenza rianimatoria neonatale, la sorveglianza dei neonati ricoverati in regime di rooming-in e la formazione delle madri ricoverate circa i segnali d’allarme per i quali occorre chiedere assistenza per il neonato.
Dato non meno importante, la morte materna è decisamente inferiore a quella perinatale del neonato, con 40 casi l’anno.
L’Istituto Superiore di Sanità, oltre a coordinare l’intera rete della sorveglianza, ha provveduto a predisporre e condividere i protocolli e i materiali di lavoro, ha adottato il sistema di classificazione delle cause di morte ICD-PM raccomandato dall’OMS, ha curato la formazione dei professionisti sanitari coinvolti nel progetto e ha eseguito l’analisi statistica dei dati.
Stefania Somaré