Eseguita per la prima volta in Italia al Maria Cecilia Hospital, la procedura percutanea utilizza un anello chirurgico.
Le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte al mondo. Tra le malattie che colpiscono il cuore vi è l’insufficienza cardiaca, la cui prevalenza aumenta con l’età del paziente. Tra le cause di insufficienza cardiaca c’è anche l’insufficienza mitralica, la valvulopatia più frequente.
In Italia si stima che soffrano di insufficienza mitralica medio-severa il 10-15% dei pazienti over 75.
Spiega il dott. Fausto Castriota, coordinatore dell’U.O. di Emodinamica e Cardiologia Interventistica di Maria Cecilia Hospital di Cotignola (RA) di GVM Care & Research, accreditato con il SSN: “l’insufficienza mitralica può essere causata da una dilatazione dell’anello della valvola mitralica, che diventa incontinente, soprattutto in presenza di condizioni predisponenti come la fibrillazione atriale.
La chirurgia tradizionale interviene introducendo un anello chirurgico che, posizionato sull’anello nativo, ne riduce le dimensioni correggendo così il rigurgito mitralico. Tale intervento richiede, tuttavia, che il paziente sia sottoposto a circolazione extracorporea”.
L’operazione tradizionale, quindi, non è applicabile a tutti i pazienti con insufficienza mitralica. In particolare, esclude i più anziani.
Inserire l’anello con intervento percutaneo
Una delle soluzioni per ampliare il numero di pazienti idonei all’anuloplastica potrebbe essere l’intervento percutaneo, al momento focus di uno studio pilota multicentrico europeo, AMEND TS EU, al quale partecipano diversi centri internazionali ad alto volume cardiochirurgico.
Avviato da qualche mese, lo studio prevede di reclutare 20 pazienti con insufficienza mitralica da dilatazione dell’anello di stadio grave che non possono essere trattati con la procedura standard per testare sicurezza ed efficacia di un device innovativo, chiamato AMEND.
Il dispositivo ha forma di D e può essere inserito, come detto, con trattamento percutaneo, con un cateterismo trans-settale. I pazienti verranno poi seguiti con un follow-up di 12 mesi.
Lo studio vuole estendere l’indicazione di questo dispositivi anche a pazienti elettivi, mentre fino a oggi sono stati usati solo per uso compassionevole. Anche l’Italia è tra i Paesi che partecipano al progetto. Anzi, c’è già il primo paziente italiano arruolato per lo studio: si tratta di un 81 enne con un alto rischio per la cardiochirurgia tradizionale.
L’intervento è stato eseguito dall’équipe del dott. Castriota, che sottolinea: “il potenziale di questa procedura è enorme, a partire dal ridotto impatto sul paziente, che dopo l’intervento è tornato nella sua camera, senza bisogno di terapia intensiva, e dopo soli 4 giorni è stato dimesso ed è tornato a casa. Questi risultati aprono a un orizzonte in cui il paziente con insufficienza mitralica potrà usufruire di numerosi approcci terapeutici ultra mininvasivi e a una personalizzazione estrema del trattamento”.
Perché un intervento di questo tipo vada a buon fine occorre effettuare prima una attenta e approfondita valutazione delle strutture anatomiche della valvola mitralica stessa, tramite esami diagnostici di terzo livello. Ma non solo. Una volta in sala operatoria bisogna contare su una grande sinergia tra gli specialisti coinvolti, ovvero cardiologi interventisti, cardiochirurgo, ecografisti e cardio-anestesisti.