Nuovi scenari e prospettive nella lotta alla pandemia

A quasi due anni dall’avvento della pandemia da Covid-19, l’avvio della campagna vaccinale ad inizio 2021 ha ridotto drasticamente il numero delle vittime e la curva dei contagi. L’arrivo della variante Omicron a dicembre 2021 ha destato un nuovo allarme a livello globale. Per fare chiarezza sulla situazione in essere, sull’importanza dei vaccini e sui trattamenti da assumere in caso di infezione, abbiamo parlato con il prof. Roberto Cauda, nominato di recente membro dello Scientific Advisory Group Infectious Disease della European Medicine Agency.

Sono ormai trascorsi quasi due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19 che nei primi mesi del 2020 ha stravolto la vita, l’organizzazione e i sistemi sanitari di tutto il mondo. L’avvio della campagna vaccinale all’inizio del 2021, unitamente ai trattamenti farmacologici somministrati ai primi segnali di insorgenza dell’infezione, ha tuttavia ridotto drasticamente il numero di decessi. Con la variante Omicron il tasso di contagi sta tuttavia risalendo rapidamente. Per comprendere meglio dove siamo e dove stiamo andando ne abbiamo parlato con il prof. Roberto Cauda, direttore UOC Malattie infettive della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, nonché Ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Cattolica, campus di Roma, da poco nominato consulente della European Medicines Agency – EMA all’interno del SAG Infectious Disease.

Intervista al prof. Roberto Cauda

Presso la European Medicine Agency – EMA, i Scientific Advisory Group – SAG – esistevano da lungo tempo. Si trattava di due gruppi: il SAG Anti-Infectives e il SAG HIV Viral Diseases.
«Con la diffusione della pandemia da Covid-19 e la nuova emergenza epidemiologica è stato deciso di fondere i due gruppi in un nuovo organismo denominato Infectious Disease, di cui sono stato nominato membro», ha sostenuto il prof. Cauda. Gli advisory Group forniscono, all’interno dell’EMA, un ruolo di supporto di natura tecnica.
«Si tratta di una consulenza su specifici argomenti, riguardanti i farmaci o i vaccini, rispetto ai quali, la decisione delle scelte ritenute più congrue spetta al decisore finale. Detto questo, il mio ruolo come consulente dell’EMA sarà dunque di tipo consultivo».
La pandemia ci accompagna ormai da quasi due anni, ma il suo sviluppo sembra sia progressivamente cambiato: dapprima venivano colpiti principalmente gli anziani, e comunque i soggetti più fragili; ora il virus sta attaccando anche i più piccoli, determinando un’impennata nei ricoveri di età pediatrica.
«Proteggendo con i vaccini le persone più fragili, quelle che rimangono fuori sono, ovviamente, meno protette per la mancata profilassi vaccinale. Credo sia molto importante in questa fase diffondere il concetto che la vaccinazione in età pediatrica deve esser fatta per proteggere innanzitutto il bambino», ha sottolineato Cauda.

La sicurezza dei vaccini

L’avvento di una campagna vaccinale sempre più massiccia ha determinato, almeno in Italia, da una parte, una drastica riduzione dei decessi e del numero di contagi, ma, dall’altra, ha alimentato una polemica crescente in parte dell’opinione pubblica circa l’efficacia e la sicurezza dei vaccini motivata, per lo più, dal rapido iter di approvazione degli stessi.
«Vaccini che si basano sull’Rna messaggero venivano già utilizzati in altri ambiti. Quello con adenovirus era, ad esempio, già presente da diversi anni. Novavax invece – uno dei nuovi vaccini, approvato di recente in Italia da AIFA – si basa su un meccanismo più classico, già utilizzato per i vaccini dell’Epatite B. Tuttavia, la sua messa a punto richiede tempi più lunghi e, non a caso, è l’ultimo arrivato in ordine di tempo», ha chiarito l’infettivologo.
«Rispetto a tutti gli “scettici”, da uomo di scienza posso soltanto dire che si va avanti attraverso tentativi e che non esistono verità assolute. Lo scetticismo credo sia imputabile, almeno in parte, al fatto che non si comprenda appieno il valore della prevenzione. Se si sta male, si assumono farmaci senza troppe domande, ma se si sta bene, spesso sfugge il senso – e l’importanza – di effettuare la vaccinazione. In Italia, comunque, la percentuale di irriducibili no vax è inferiore a quella di altri paesi. Tuttavia, occorre sottolineare che da sempre esistono fette della popolazione che di fronte ad un vaccino mostrano scetticismo che si traduce spesso in aperta opposizione” ha proseguito Cauda.

Come proteggersi da Omicron

L’arrivo della nuova variante Omicron sta destando grande preoccupazione, soprattutto per la sua rapidità di contagio.
«La strada maestra restano i vaccini per i quali è adesso richiesta un’ulteriore somministrazione. Del resto, così come l’aver contratto il covid non assicura un’immunità duratura rispetto al rischio di un ulteriore contagio, lo stesso discorso vale per i vaccini la cui efficacia protettiva tende a ridursi dopo 6 mesi. È per questo che è importante fare la dose di richiamo».

Alcuni validi trattamenti terapeutici

«Rispetto a due anni fa, momento in cui questo nuovo virus ci ha colti totalmente impreparati, con il trascorrere dei mesi è stato possibile acquisire sempre maggiori informazioni e assestare il tiro anche rispetto ai possibili trattamenti terapeutici di contrasto all’infezione».
Inizialmente, per esempio, si è tentata la strada della clorochina che avrebbe potuto determinare un effetto antinfiammatorio.

«Del resto proprio io, insieme a Andrea Savarino e Antonio Cassone, nel 2003 avevamo pubblicato un articolo sui possibili effetti antinfiammatori della clorochina nel virus Sars. Tuttavia, trattandosi oggi di un virus diverso rispetto a quello di ormai quasi 20 anni fa, gli studi randomizzati non hanno fornito riscontri positivi».
Occorre ricordare che l’infezione si sviluppa attraverso 3 fasi: la fase viremica, la fase polmonare e l’iper-infiammazione.

«Nei primi giorni di malattia gli anticorpi monoclonali hanno dimostrato di funzionare molto bene anche se, con l’avvento di Omicron in soggetti con comorbilità, non tutti i monoclonali mostrano le stesse performance. Oggi poi abbiamo: il Remdesivir, utilizzato nelle prime fasi della malattia, e altri due farmaci appena licenziati dall’Ema: il Molnupiravir, che ha dimostrato di poter ridurre le ospedalizzazioni, dapprima del 50% per poi scendere al 30%, e l’inibitore di proteasi Paxlovid, che ha ridotto le ospedalizzazioni dell’89%. Occorre inoltre ricordare che, così come per i vaccini, ci sono in pipeline numerosi farmaci. Cruciale resta la loro somministrazione precoce», ha ricordato il prof. Cauda.

La lezione del Covid: l’importanza del territorio

L’avvento della pandemia e la situazione di grande congestionamento in cui si sono trovati in breve tempo gli ospedali ha messo in evidenza il più grande limite della sanità italiana: l’assenza di una medicina territoriale. “Una delle più importanti lezioni del Covid-19 è che non può esistere solo una medicina ospedalocentrica, ma serve il territorio, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta supportati da squadre sul territorio. I sistemi sanitari a livello regionale stanno progressivamente potenziando questi servizi, i quali rimarranno cruciali anche dopo la fine dell’emergenza», ha evidenziato il direttore UOC Malattie Infettive.

Possibili scenari futuri

Come avviene per ogni pandemia, all’OMS spetta il compito di dichiararne l’inizio, così come la fine. Quest’ultima dichiarazione viene resa soltanto nel caso in cui nel mondo non vengano registrati nuovi casi per almeno 40 giorni consecutivi. Possiamo dunque dire di essere ancora lontani dalla fine della pandemia da Covid-19, anche perché la situazione, a livello globale, si presenta a macchia di leopardo.

«Verosimilmente, sulla sua ulteriore durata andrà a incidere la solidarietà dei paesi più ricchi verso quelli più poveri: basti in tal senso pensare che la percentuale di vaccinati in Africa e in India oscilla intorno al 10%. Questo virus non fa moltissime mutazioni, ma certamente muta maggiormente laddove viene tenuto meno sotto controllo. Nei paesi occidentali, di fronte alle nuove varianti verrà fatto un sequenziamento e si procederà, con ogni probabilità, con periodici richiami vaccinali».

I vaccini da soli non bastano

La protezione dei vaccini ha una buona copertura ma non totale; quindi, da sola non basta ma deve essere coadiuvata dai mezzi di prevenzione. E, soprattutto, si deve fare attenzione alla “stanchezza da pandemia” che ormai, dopo molti mesi, potrebbe portare molti ad abbassare la guardia.
«Il mio invito è quello di implementare il livello di protezione sottoponendosi quanto prima alla terza dose vaccinale e utilizzare, anche all’aperto, le mascherine Fpp2 o Fpp3».

Elena D’Alessandri