(foto archivio Emergency)

Su richiesta della Regione Lombardia, Emergency ha collaborato alla progettazione e alla realizzazione del presidio ospedaliero dedicato ai pazienti Covid-19 presso la Fiera di Bergamo, mettendo a disposizione le competenze del proprio staff medico, logistico e tecnico.

«Stiamo cercando di fare la nostra parte in un momento così delicato per l’Italia – afferma Rossella Miccio, presidente di Emergency.
L’esperienza maturata in Sierra Leone nel 2014/2015, durante l’epidemia di Ebola, ci ha aiutato a proporre un’efficace organizzazione degli spazi e dei flussi nell’ospedale da campo, allestito dall’Associazione Nazionale Alpini all’interno di uno dei padiglioni fieristici.
L’obiettivo principale delle soluzioni messe in atto è ridurre il più possibile le possibilità di contagio.

(foto Sergio Agazzi)

Allo scopo ogni dettaglio della struttura è essenziale per garantire il contenimento, iniziando da un sistema di percorsi ben definito, dalla migliore compartimentazione di ogni area dell’ospedale e dall’ottimizzazione degli ambienti per la vestizione e svestizione del personale».

Per la realizzazione dell’ospedale Emergency ha messo in campo un team composto complessivamente da circa una trentina di persone, fra professionisti sanitari e non. Altre iniziative della ONG sono in corso a:

  • Brescia, per la protezione del personale e degli ospedali dal contagio, in collaborazione con la Direzione sanitaria degli Spedali Riuniti
  • a Milano, Piacenza e Venezia per il trasporto a domicilio di beni (alimentari, farmaci o altri prodotti di prima necessitĂ ) agli anziani, alle persone in quarantena e ai soggetti fragili, in collaborazione con il Comune.

Organizzare la cura

Abbiamo chiesto alla dott.ssa Gina Portella, Responsabile Medical Division di Emergency, come è organizzata l’attività dell’Ospedale Covid-19: «La struttura è ben costruita e attrezzata, articolata per moduli affidati a diverse èquipes a seconda della loro capacità operativa.

dott.ssa Gina Portella, Emergency (credit: Sergio Agazzi)

L’accesso è aperto a tutti i pazienti Covid-19 provenienti sia dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII e dagli altri ospedali lombardi sia dal territorio bergamasco e non solo.
La prima valutazione delle condizioni è effettuata dai medici nell’area triage, che determinano la severità della patologia avviando il paziente al ricovero in sintonia con i responsabili dei diversi reparti.

Dal punto di vista clinico i pazienti critici presentano tutti importanti problemi respiratori.
Specialmente nella prima fase di acuzie faticano a trarre giovamento dalla ventilazione, soprattutto a causa del ridotto grado di ossigenazione, e sono esposti al rischio di trombo-embolia polmonare.
Purtroppo le condizioni dei polmoni risultano fortemente compromesse anche dopo la fase più acuta».

Quali équipe lavorano nell’ospedale COVID-19?
«L’attività di tutte le équipes è coordinata dal dott. Oliviero Francesco Valoti, direttore dell’UOC di Anestesia e Rianimazione – Emergenza intra-extra ospedaliera dell’ASST Papa Giovanni XXII.
A pochi giorni dall’apertura dell’ospedale, l’équipe di Emergency gestisce 12 p.l. di Terapia Intensiva ed è composta da 34 professionisti: 10 medici (di cui 7 intensivisti, più 1 pediatra e 2 ginecologi con esperienza in Terapia Intensiva), 14 infermieri, 4 fisioterapisti, 4 oss, più 2 tecnici di farmacia e radiologia). Confidiamo di aumentare presto le risorse a disposizione attraverso la campagna di reclutamento già avviata da Emergency.

Parallelamente sono al lavoro anche una seconda Ă©quipe, composta da personale medico militare proveniente dalla Federazione Russa, e altri professionisti reclutati con i bandi straordinari.
L’Ospedale Papa Giovanni XXIII fornisce supporto a distanza, per esempio per la refertazione degli esami di laboratorio e radiologici, e alcuni dei suoi professionisti alternano la propria attività fra le due sedi».

Sicurezza: nuove professioni e strutture da adeguare

Quali sono le principali complessità dell’ospedale?
«Garantire la sicurezza del personale è uno degli aspetti più importanti.
La sintomatologia del virus SARS-CoV-2 non permette la rapida e certa individuazione delle persone infette e questo costituisce un rischio latente per il personale sanitario e non.
Il rispetto rigoroso dei protocolli per la vestizione e svestizione dei dispositivi di protezione individuali, come anche delle regole di comportamento, minimizza il rischio di contagio e consente agli operatori di dedicarsi con serenitĂ  alla cura dei pazienti.

I dpi proteggono principalmente le mucose facciali: sono piuttosto scomodi da indossare e, se si spostano, non possono essere riposizionati dall’operatore che deve ritornare nella sala di vestizione.
Purtroppo, questo non è sempre possibile, perciò gli effetti del decubito sono spesso evidenti alla fine dei turni.
Un’ulteriore complessità è legata alla gestione appropriata dei DPI, disponibili in numero limitato e che devono perciò essere sfruttati al meglio dal personale.

La scarsità di professionisti è un altro problema importante.
L’intensità delle cure prestate è molto elevata e, se il personale non è sufficiente, i turni di lavoro risultano eccessivamente lunghi e stancanti.
Questa situazione può impattare non solo sulla qualità della prestazione, ma anche sulla sicurezza stessa dell’operatore che, in un momento di minore concentrazione, potrebbe tenere un comportamento rischioso per sé e per gli altri».

Quali indicazioni avete tratto dall’esperienza finora compiuta?
«In Italia è praticamente sconosciuta una figura professionale specializzata nella gestione degli aspetti legati all’igiene e alla sicurezza in ambito infettivologico, che si è rivelata estremamente utile durante l’epidemia di Ebola del 2014-2015 e che darebbe un importante contributo nell’epidemia in corso.

Anche in assenza una specifica formazione sanitaria, questa figura conosce i processi e le attività sanitarie ed è in grado di individuare i punti deboli dei comportamenti e delle procedure mirate a minimizzare il rischio di contagio. Oltre alla prevenzione del rischio, la sua attività consiste sia nella formazione, nell’assistenza e nella sorveglianza del resto del personale, sia nella corretta gestione dei flussi connessi ai dpi.
Un’altra interessante indicazione nasce dalla constatazione che il Sars-CoV-2 è solo l’ultimo fra gli agenti virali sconosciuti che, negli ultimi anni, hanno preso origine nei paesi meno sviluppati – dove diverse malattie infettive conosciute e sconosciute continuano a manifestarsi con notevole frequenza – e che hanno raggiunto i paesi più sviluppati – dove invece le malattie infettive conosciute sono ormai quasi praticamente debellate.

Di conseguenza, in Italia gli ospedali e le strutture sanitarie sono sprovvisti di quei requisiti strutturali, organizzativi e tecnologici indispensabili a contrastare la diffusione del contagio e a facilitarne la conversione per la cura dei pazienti infettivi.
Le soluzioni messe in atto per fronteggiare il Covid-19», conclude la dott.ssa Portella, «dovrebbero essere recepite anche dalle normative, in modo rendere idonee tutte le strutture sanitarie ad affrontare al meglio altri eventi simili che potrebbero verificarsi in futuro».

Zoning ospedaliero

«Abbiamo partecipato al gruppo di lavoro che ha progettato e costruito l’Ospedale Covid-19 alla Fiera di Bergamo», spiega il dott. Lorenzo Siracusano, responsabile della Divisione Logistica di Emergency. Attualmente continuiamo la nostra attività di supporto agli staff medici e ai tecnici che operano nella struttura, in stretta collaborazione con l’Asst e con gli altri enti e organizzazioni coinvolti.

dott. Lorenzo Siracusano, Emergency (credit: Emergency)

Ci occupiamo di supervisionare la vestizione e svestizione del personale con i nostri igienisti volontari e, in coordinamento con l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, della gestione di alcuni flussi interni di materiali, in particolare dei dispositivi di protezione individuale.
Altre attività – come la preparazione e il trasporto dei pasti per degenti e personale, la gestione dei rifiuti ospedalieri ecc. – sono invece affidate rispettivamente all’Asst e ad aziende specializzate».

Qual è l’articolazione spazio-funzionale dell’ospedale?
«In estrema sintesi, il volume del padiglione fieristico è stato suddiviso nelle zone verde, gialla e rossa.
Nelle zone verde e gialla non sono presenti pazienti: si tratta perciò di aree a rischio medio, composte da ambienti dedicati alle funzioni di supporto comuni all’intero ospedale, che prevedono rispettivamente una presenza saltuaria (zona verde) e continuativa (zona gialla) di personale e tecnici.

Il personale accede alla zona gialla iniziando dagli spogliatoi.
Indossa le normali uniformi ospedaliere, più una mascherina chirurgica, ed è tenuto a osservare le regole base di prevenzione (lavaggio delle mani, mantenimento della distanza ecc.).

I locali che compongono la zona gialla, anche non direttamente comunicanti fra loro, si trovano tutti in posizione baricentrica rispetto all’ospedale, in modo da minimizzare la lunghezza dei percorsi interni al resto dell’ospedale, che è una zona rossa continua – ovvero popolata da pazienti infetti – perciò considerata a massimo rischio per il personale che può accedervi solo indossando in modo appropriato i dpi».

La gestione degli accessi

Come gestite il rischio per il personale che lavora nella zona rossa?
«Nella zona gialla abbiamo previsto sale comunicanti con la zona rossa, esclusivamente destinate alla vestizione/svestizione del personale che, per eseguire l’operazione, è assistito da operatori appositamente formati.

Questi ultimi svolgono un compito fondamentale per la sicurezza del personale che opera nella zona rossa, in quanto coadiuvano medici, infermieri, tecnici e oss nella procedura di vestizione/svestizione, controllando che i dpi siano indossati e tolti correttamente».
Come sono gestiti gli altri accessi alla zona rossa?
«Fra la zona verde e il locale triage, situato nella zona rossa, si trova uno spazio buffer dotato di porte contrapposte ad apertura controllata.
Quando il paziente accede allo spazio buffer le porte rivolte all’interno, verso la zona rossa, sono chiuse per evitare rischi al personale dell’ambulanza.
Quando le porte rivolte all’esterno, verso la zona verde, sono chiuse, si sbloccano quelle interne e il paziente è preso in carico dal personale del triage.

Lo stesso sistema è utilizzato per l’ingresso e l’uscita dei materiali, dalla zona verde alla quella rossa e viceversa. In questo caso sono i diversi depositi a fungere da spazio buffer.

Sebbene fisicamente situata all’interno dell’ospedale, la Farmacia non è considerata zona rossa.
In questo caso», conclude Lorenzo Siracusano, «il personale dispone degli stessi dpi utilizzati nella zona gialla e il passaggio dei farmaci, dal locale preparazione verso la zona rossa, avviene mediante scivoli anch’essi delimitati da sportelli contrapposti».

Giuseppe La Franca
architetto