Ospedale di Montecchio Maggiore, un nuovo modello spaziale per la sanità contemporanea

Il nuovo ospedale di Montecchio Maggiore

Forme fluide e continue impostate su un modello radiale/circolare, un’immagine architettonica semplice e compatta, attenzione alle relazioni interne e con il contesto paesaggistico e ambientale: rispetto alla prassi corrente, il progetto per il nuovo ospedale di Montecchio Maggiore (Vicenza) presenta numerosi aspetti innovativi.

Idee e metodo

Abbiamo chiesto all’arch. Luisa Fontana (studio LuisaFontanAtelier) – a capo del team che ha sviluppato il progetto in tutte le sue fasi e che oggi sta seguendo la direzione dei lavori – quali idee hanno guidato il percorso progettuale: «abbiamo voluto creare un nuovo modello spaziale, in grado di assecondare la nuova organizzazione sanitaria basata sulla centralità del paziente, sui processi per intensità di cura e sulle aree assistenziali omogenee.

Questa volontà ci ha spinto a superare la rigida logica del corpo quintuplo, alla ricerca di soluzioni in grado di rispondere al cambiamento in atto, per esempio con l’obiettivo di accorciare le distanze degli spostamenti del personale all’interno della struttura, come anche di realizzare spazi dedicati alle attività interdisciplinari.

Un aspetto fondamentale del progetto è stato il miglioramento della qualità ambientale, per esempio garantendo la luce naturale a tutti gli ambienti di lavoro e valorizzando le viste sul paesaggio. L’integrazione con le preesistenze è stata perseguita con l’intento di creare un unicum, che non si proponesse come l’ennesima aggiunta di corpi edilizi disomogenei dettati da una mera logica funzionalista.
In generale abbiamo lavorato per ottenere spazi funzionale ed efficienti, flessibili, accoglienti e umani, affinché l’ospedale potesse risultare amico, bello e capace di farsi amare».

arch. Luisa Fontana

Qual è stato, in estrema sintesi, il metodo utilizzato per la progettazione?
«Lavoriamo da sempre secondo il principio che la progettazione si sviluppa dall’interno – partendo dai flussi e non da una forma precostituita, nella quale ritagliare stanze e corridoi. Siamo convinti che la forma sia una conseguenza, non un presupposto…

I flussi interni si integrano a quelli esterni sulla base dei vincoli urbanistici, del tessuto edilizio e della viabilità. Al contempo la progettazione si confronta con l’ambiente facendo propri gli aspetti bioclimatici – perciò tenendo conto del movimento del Sole e del vento, del clima, degli ombreggiamenti ecc.

Lo studio del paesaggio è un’altra componente essenziale della progettazione, che mette in relazione lo spazio interno con l’esterno, valorizzando le visuali significative ed escludendo quelle negative. Dato che la nostra progettazione ruota attorno alla persona, diamo grande importanza all’ergonomia, all’accessibilità, all’orientamento e agli aspetti sensoriali.

Introduciamo anche componenti tipiche del mondo artistico, a partire da soluzioni figurative, cromatiche e spaziali. Scegliamo i materiali in coerenza con una approccio alla sostenibilità a 360 gradi. Ultima, ma non meno importante, è la componente culturale e sociale che influisce in modo determinante nelle scelte progettuali. Il risultato non può che essere uno spazio fluido, modellato su una pluralità di componenti».

Percorsi e relazioni

Quali sono i principali vantaggi del modello di ospedale radiale/circolare?
«L’ospedale è stato concepito pensando alle persone che lo frequenteranno ed è ottimizzato rispetto ai processi sanitari e ai flussi, che si sviluppano senza interferenze. Per ottenere questo risultato abbiamo dovuto abbandonare la tipologia tradizionale, basata su corpi rigidi di forma squadrata definiti in base a criteri meramente funzionali.

Quando abbiamo iniziato il progetto non avevamo scatole da riempire, ma percorsi e relazioni da trasformare in spazi. L’impianto radiale/circolare rende continui i percorsi e, di conseguenza, facilita le relazioni. Non solo: nel confronto con un ospedale tradizionale, la lunghezza del percorsi e le superfici del connettivo del nuovo modello sono risultate inferiori. Questo permette di liberare risorse da destinare ad altre voci di spesa.

Non si tratta di un modello rigido, ma flessibile, da tarare di volta in volta tenendo conto delle dimensioni e delle relazioni interne ed esterne. Stiamo lavorando sullo sviluppo di modelli sanitari basati sulla circolarità dei percorsi e riscontriamo rilevanti potenzialità da sperimentare.

Ospedale di Montecchio Maggiore, vista aerea

Progettare con il compasso è più difficile che progettare con la squadra?
«Chi progetta un ospedale – come qualsiasi costruzione – ricerca sempre la sintesi fra funzionalità, efficienza e flessibilità, ma in questo caso i presupposti sono diversi… Prendiamo a esempio i percorsi: quando camminiamo, nessuno di noi segue dei binari. Trasformare la linea di uno schema di flussi in un corridoio rettilineo è una mera semplificazione…
Personalmente ritengo che la progettazione sia un atto di consapevolezza tecnica guidato dalla creatività. Sicuramente è più difficile innovare piuttosto che affidarsi a metodologie consolidate, ma la domanda più importante è: quale modello spaziale è in grado di rispondere al meglio alle attuali esigenze dell’attività sanitaria?

Il modello sviluppato per l’Ospedale di Montecchio Maggiore risponde non solo a questa istanza, ma anche a quelle delle altre discipline che concorrono alla complessità dell’atto progettuale. Il risultato di questo processo sono le forme fluide che caratterizzano non solo gli spazi connettivi ma, ad esempio, anche quelle delle camere di degenza.

Per quanto possa risultare difficile da credere, l’ottimizzazione dell’intero intervento si traduce anche in costi non superiori rispetto alla media, nel pieno rispetto del budget previsto da un progetto pubblico. Un esempio della opportunità offerte da questo approccio è la dotazione di servizi igienici dedicati ai singoli pazienti.

Ogni camera di degenza è infatti servita di due bagni prefabbricati, accessibili e dotati di finestra, che contengono lo stretto indispensabile per l’igiene quotidiana: un lavamani e un vaso. Niente docce nelle camere, perciò: le norme peraltro non le prevedono. Le abbiamo sostituite con delle piccole spa per garantire privacy e comfort ai pazienti.

Le spa sono attrezzate con docce, piuttosto che con vasche a seduta o vasche per bambini/ragazzi, in modo da rispondere alle diverse esigenze delle area assistenziali, come medicina e pediatria.
Oltre a contribuire al contenimento delle infezioni crociate, la dotazione di bagni singoli di piccole dimensioni restituisce una migliore qualità spaziale alle camere di degenza e permette al personale di svolgere le proprie mansioni con maggiore agio ed efficienza».

Un lavoro a più mani

Con quali modalità avete interagito con i referenti aziendali per gli ambiti medico e gestionale?
«Dalla vittoria del concorso i contatti sono stati costanti e continui, a partire dai vertici regionali, dai direttori generali e dal RUP, dai primari alla conferenza dei sindaci. È stato un lavoro a più mani, nel quale il compito dei progettisti è stato quello di fare sintesi: comprendere bisogni e vincoli per trasformarli nelle migliori soluzioni.

Un ruolo determinante l’ha svolto il consulente sanitario, che si è prestato ad approfondire nel dettaglio tutti gli aspetti, anche quelli a prima vista meno importanti. Durante l’iter progettuale abbiamo partecipato a numerose presentazioni e confronti pubblici, estremamente utili per capire come realizzare un’opera in grado di rispondere al meglio alle esigenze della collettività, restando comunque in linea con la pianificazione sanitaria regionale».

Stanza di degenza tipo

Quali sono state le principali difficoltà incontrate e come le avete superate?
«La prima è stata legata alla necessità di acquisire credibilità nei confronti degli altri attori – in un ambito, quello dell’edilizia ospedaliera, che non avevamo mai frequentato. Anche grazie alla nostra professionalità, abbiamo dimostrato che l’approccio progettuale proposto era in grado di portare vantaggi a tutti i livelli.
In fase di direzione dei lavori sono state rilevate ulteriori presenze archeologiche oltre quelle già conosciute e indagate, che hanno richiesto una parziale ricompilazione del cronoprogramma dei lavori. La procedura di rescissione del contratto a carico dell’impresa appaltatrice originariamente aggiudicataria, e il conseguente nuovo appalto all’impresa seconda classificata, hanno ulteriormente dilatato i tempi.

Giuseppe La Franca
architetto

Arch. Luisa Fontana – Fontanatelier