Osservasalute: piccoli passi verso una salute migliore

 

Osservasalute: piccoli passi verso una salute miglioreLo scorso 19 aprile sono stati presentati i risultati del 15° Rapporto Osservasalute, realizzato grazie all’impegno di 197 ricercatori dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane con sede presso l’UniversitĂ  Cattolica di Roma.
Il risultato sono 603 pagine in cui vengono analizzati vari aspetti che incidono sulla salute dei cittadini italiani, dai comportamenti personali alla prevenzione messa in atto dalle aziende sanitarie, dall’evoluzione delle cronicitĂ  all’assistenza ospedaliera, dalle disabilitĂ  alle patologie oncologiche, mentali, metaboliche e così via.

Un momento della presentazione del Rapporto Osservasalute

Insomma, un documento ricco che fotografa lo stato della salute nel nostro Paese, uno dei più longevi in Europa: la vita media è di 80,3 anni per gli uomini – il che ci pone al secondo posto in Europa, dopo la Svezia – e di 84,9 anni per le donne – e qui siamo terzi dopo Francia e Spagna. Di pari passo con questo dato, anche la mortalità nostrana è inferiore alla media europea.

Le buone notizie, però, in un certo senso finiscono qui: se si osserva la durata della vita in salute, dai vertici delle classifiche scivoliamo al 15° posto. Occorre quindi che le politiche volte a un invecchiamento attivo della popolazione aumentino e anche che si ripensi la struttura della sanitĂ  per adeguarla alle esigenze dei piĂą longevi: per esempio, dovrebbero esserci piĂą infermieri e il numero di anziani ospiti di residenze dedicate dovrebbe aumentare. Ovviamente, una vita attiva dopo i 65 anni si costruisce lungo tutta l’esistenza, con stili di vita adeguati e una buona prevenzione. Proprio la prevenzione è alla base di un altro capitolo considerato dal Rapporto: gli stili di vita.

Stili di vita: occorre piĂą informazione per cambiare la cultura degli italiani

In fatto di stili di vita l’Italia ha compiuto dei piccoli passi avanti negli ultimi mesi, anche se ancora insufficienti: si registra infatti un aumento dell’attivitĂ  fisica, svolta dal 34,8% della popolazione nel 2016, contro il 33,3% del 2015. Gli italiani sembrano però restare buongustai e goderecci, con un continuo aumento dei soggetti in sovrappeso, se non obesi (35,5%) e un aumento dei consumatori di alcolici, anche tra i giovani.

Secondo il Rapporto sarebbero infatti a rischio il 20,4% dei nostri giovani tra gli 11 e i 17 anni.
Resta invece invariata la percentuale dei fumatori, pari a circa il 19.6% della popolazione.
Il Piano Nazionale di Prevenzione 2014/2018 prevedrebbe una diminuzione del 10% di questo dato entro la fine di quest’anno.
Sarà possibile? Questi dati non indicano un Paese che ama la bella vita, ma semmai uno in cui la popolazione ha maggiore probabilità di incorrere in patologie croniche: è dimostrato che il fumo causa patologie polmonari anche gravi, così come che il sovrappeso è tra i primi responsabili delle patologie cardiovascolari e metaboliche.

Come modificare questa tendenza? Il decisore politico ha in mano la leva economica: si potrebbe decidere di aumentare i prezzi dei cibi più deleteri, per esempio, così come del tabacco.
Accanto a questa possibilitĂ  vi è però la necessitĂ  di fare cultura: le abitudini si acquisiscono spesso in famiglia e il Rapporto consiglia che alle famiglie vengano dati maggiori supporti per formare bene i giovani. Un dato senza dubbio interessante è quello regionale: come sempre quando si parla di Italia, esistono forti differenze nella cultura e nella salute delle varie Regioni. Se consideriamo l’abitudine al fumo, per esempio, osserviamo che la Campania è la Regione meno virtuosa, con il 23,4%, mentre la Calabria è quella con il minor numero di fumatori (15,9%). Come si evince dalla tabella sottostante esistono differenze di fumatori tra una Regione e l’altra, ma non su base Nord/Sud, come in altri casi.

Tabella 1. Percentuale fumatori di età superiore ai 14 anni, per Regione – anno 2016

Quando si parla di sovrappeso e obesitĂ  sembra invece esistere una linea di demarcazione che divide l’Italia in due: come si vede dalla tabella 2, infatti, le Regioni del Sud sono quelle con una percentuale di sovrappeso superiore alla media.
Cambia il discorso se si parla di obesitĂ  negli adulti, la cui media nazionale è il 10,4%: in questo caso si ha un trend piĂą disomogeneo lungo lo stivale, con la Val d’Aosta, per esempio, che raggiunge quasi il 12%, seguita dall’Emilia Romagna, che si aggira intorno all’11%, e dalla Calabria, che invece è di poco sotto la media.

Il trend torna a essere lineare quando l’obesitĂ  riguarda i soggetti sotto i 18 anni, la cui media nazionale è del 24,6%: in questo caso, con la sola eccezione della Emilia Romagna (24,7%), le Regioni del Nord sono sotto media, mentre quelle del Sud sopra media, con picco massimo in Campania (34,7%).

Tabella 2. Percentuali di soggetti over 18 sovrappeso e obesi, divisi per Regione – anno 2016

Presa in carico del malato: tra assistenza ospedaliera e territoriale

Se le malattie croniche sono in aumento nel nostro Paese, come in tutto il mondo, è chiaro che è richiesto una evoluzione del sistema sanitario, pensato per la cura dei casi acuti e inadatto a far fronte all’aumento della cronicitĂ .
Secondo quanto riportato dal Rapporto Osservasalute, negli ultimi due anni si sono visti netti miglioramenti nelle performance dell’assistenza ospedaliera, in un contesto di cambiamento continuo dettato anche da alcuni provvedimenti normativi, come quello di Adeguamento dei LEA e la Legge Gelli sulla responsabilitĂ  professionale.

Secondo il Rapporto ci sono però alcuni ambiti ancora critici, come quello dei posti letto, il cui numero, sebbene si sia avvicinato alle richieste del Ministero, non sono ancora adeguati.
In particolare, si legge nel capitolo dedicato, ci sono dubbi sull’adeguatezza dei posti letto dedicati al post acuto, spesso sottodimensionato. Il dato, tra l’altro, mostra un gradiente Nord-Sud/Isole netto.
Si suggerisce quindi che i decisori e organizzatori sanitari incrocino il dato dei PL con l’indice di occupazione del letto e la degenza media, per valutare l’efficienza di utilizzo del posto stesso e individuare delle situazioni di sottodimensionamento, così da creare dei setting di cura adeguati alle esigenze del proprio territorio e del contesto.

Accanto all’assistenza ospedaliera, abbiamo detto acquista sempre maggiore importanza l’assistenza territoriale, che può avere diverse facce. Una è senza dubbio l’assistenza domiciliare integrata (ADI), che viene erogata solo a malati terminali o in casi di malattie degenerative invalidanti.
Il Rapporto ha voluto indagare lo stato di questo importante strumento che vede un trend in crescita sia nelle Regioni del Nord che in quelle del Centro e del Sud, anche se con tassi differenti: nel 2015 (anno di riferimento) hanno potuto beneficiare di questo servizio: nel Nord 66,55 abitanti su 100.000; nel Sud 53,28 abitanti; nel Centro 42,11 abitanti. Da sottolineare che quando si parla di ADI la rilevazione di quanto accade nelle diverse regioni e organizzazioni del Sistema Sanitario Regionale rende difficile una valutazione puntuale.

In ogni caso si è registrato un aumento del numero di ADI erogato, come richiesto dai Piani Nazionali e Regionali.
Una buona sanitĂ  territoriale non può fare a meno di strutture residenziali dove anziani fragili e malati e disabili possono ricevere assistenza e cure a lungo termine, anche se l’obiettivo ultimo deve essere permettere al soggetto di essere assistito stando al proprio domicilio.

In qualche modo le Case di Cura e di riposo sono un ponte verso una sanità gestita a domicilio. Eppure il Rapporto ha evidenziato una netta differenza di posti disponibili per 10.000 abitanti nelle varie regioni, con picchi positivi nella Provincia Autonoma di Trento, con 100,6 posti, e negativi in Campania, forse la regione peggiore da questo punto di vista, con 7,7 posti. Fa pensare che le Regioni del Sud abbiano, nel complesso, maggiori pensioni di disabilità o di mancanza di autonomia di quelle del Nord. Nella tabella sottostante è possibile vedere i dati regionali sia per i posti letto dedicati ai disabili, sia per quelli dedicati agli anziani non autosufficienti.

Tabella 3. Tasso (valori per 10.000) di posti letto nelle strutture socio-sanitarie per le persone con disabilità e per gli anziani non autosufficienti e coefficiente di variazione (valori per 100) per Regione – anno 2015

I trend delle patologie piĂą diffuse

Il Rapporto ha dedicato una ricca analisi alle patologie che più caratterizzano questi decenni, da quelle oncologiche a quelle metaboliche e cardiovascolari. In linea generale si può osservare un miglioramento nella presa in carico di queste patologie, anche se ancora una volta in taluni casi con discrepanze regionali.
Se si parla di patologie oncologiche, la prevenzione e una diagnosi precoce possono fare la differenza tra la vita e la morte della persona. Occorre quindi continuare nelle pratiche di screening di prevenzione e forse, in taluni casi, migliorarle.
Veniamo ai dati: se si considera il tumore ai polmoni, i dati presentati dal Rapporto parlano di un calo dell’incidenza maschile in tutte le Regioni, affiancato da un trend in aumento della sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi e da un calo della mortalitĂ . Il tipo di progresso ottenuto in tutte le Regioni è quindi di tipo A, ovvero ottimale. Lo stesso profilo si è delineato per il tumore della cervice uterina.

Diverso il discorso per il tumore del colon-retto, per quello della mammella e per quello del polmone se si considerano le donne: nonostante siano oggetto di screening di prevenzione, questi tre tumori sono ancora una piaga e hanno visto progressi differenti nelle diverse Regioni. In particolare si osserva un gradiente negativo da Nord a Sud, con tassi di mortalitĂ  e incidenza superiori nel Meridione.
A incidere sono senza dubbio campagne di screening meno decise, cui aderiscono meno persone, e anche il livello socio-economico.

Passando ai dati, se si considera il tumore al colon-retto maschile, il trend è positivo (A) in Lombardia, P.A. di Trento, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Sicilia e Sardegna, mentre tutte le altre Regioni, a eccezione di Basilicata e Calabria, presentano un’incidenza stabile, il che ne determina un progresso di tipo B (incidenza stabile, sopravvivenza a 5 anni aumentata e mortalitĂ  diminuita). Calabria e Basilicata presentano invece un progresso parziale (C), con incidenza in aumento, sopravvivenza in aumento e mortalitĂ  in diminuzione. Nel caso del tumore al colon-retto nella donna i dati peggiorano nettamente, forse per una minore aderenza alle campagne di screening: in questo caso, infatti, metĂ  delle Regioni vedono un progresso parziale con aumento di incidenza del tumore. Le eccezioni sono Marche, Umbria, Toscana, Liguria, Lombardia e P.A. Di Trento, con incidenza stabile, e Piemonte, Val d’Aosta, Veneto ed Emilia Romagna con un progresso ottimale.
Il tumore al polmone nella donna è invece il caso peggiore registrato dal Rapporto, con una quasi totalitĂ  di progressi inadeguati, determinati da aumenti nell’incidenza e mortalitĂ  in crescita. Uniche eccezioni sono il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, con un progresso parziale.

I risultati per il tumore alla mammella sono quasi sovrapponibili a quelli del tumore al colon-retto femminile. In ogni caso occorre aumentare la vigilanza sulle donne, che negli ultimi anni sono spesso fumo-dipendenti piĂą degli uomini. Anche con una maggiore cultura della prevenzione. Parlando invece di diabete mellito, ciò che si è osservato è una diminuzione della mortalitĂ , soprattutto femminile, oltre a un chiaro collegamento tra la malattia e sovrappeso e sedentarietĂ . Interessante anche osservare l’impatto socio-economico sulla malattia: dai dati di Osservasalute pare infatti che si ammalino di diabete di tipo 2 soprattutto persone con un basso livello di istruzione.
Ecco perché si richiede che vi sia una maggiore informazione rispetto alla malattia e agli stili di vita che potrebbero determinarla.
Iniziando anche dalla scuola primaria. In ogni caso pare necessario prendere in considerazione anche dati non clinici negli studi relativi a questa patologia. Infine, non si può evitare di parlare delle patologie cardi-vascolari, anche perché sono in forte aumento in tutti i Paesi occidentali, e non solo in Italia.

Si tratta, in effetti, di una conseguenza all’allungamento della vita e agli stili di vita sin qui nominati, in particolare la sedentarietĂ  e gli squilibri alimentari. Inoltre la vita odierna è senza dubbio stressante dal punto di vista emotivo e psicologico e ciò può influenzare negativamente il sistema cardi-vascolare. Insieme alle patologie del cuore si mettono anche quelle cardi-cerebrali, quindi l’ictus, che da solo crea molti disabili.

In questo caso i dati presentati dal Rapporto sono moltissimi ed è difficile fare un riassunto. Si rimanda quindi alla lettura del capitolo.

Interessante però osservare che se si considera il Rischio Cardiovascolare Globale Assoluto (RCVGA), ovvero un indicatore che permette di valutare la probabilità di ammalare di un evento cardiovascolare maggiore nei successivi anni conoscendo il livello di alcuni fattori di rischio, si può dire che i fattori di rischio medi sono diminuiti negli ultimi anni. Ma quali sono i fattori di rischio considerati? Sono 6, ovvero: genere, diabete, età, abitudine al fumo, pressione arteriosa, colesterolemia.
Il calcolo dell’indice viene effettuato da un software gratuito che i medici che hanno deciso, o dovessero decidere, di partecipare all’iniziativa possono utilizzare. Ovviamente si tratta di uno strumento valido anche per la programmazione sanitaria.

Le classi di rischio sono 6: MCV I – meno di 5% di rischio; MCV II – da 5 a 10% di rischio; MCV III – da 10 a 15% di rischio; MCV IV – da 15 a 20% di rischio; MCV V da 20 a 25% di rischio; MCV VI – oltre 30% di rischio.

Ebbene, la distribuzione regionale di questo indice per gli uomini, che va ricordato è calcolato su un campione di pazienti volontari, a novembre 2017 era il seguente: Val d’Aosta, Liguria, Toscana, Veneto e Basilicata, MCV II (5,5 a 7,4%); Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Sicilia, MCV II (7,5 a 8,1%); Puglia, Sardegna e Abruzzo, MCV II (8,2 a 0%); Umbria, Marche, Molise e Campania, MCV border tra II e III (9,1 a 10,5%); Calabria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, MCV III 810,6 a 14,4%). Per le donne i risultati cambiano, anche se in generale il rischio è piĂą basso su tutte le Regioni.

Lombardia, Veneto, Sardegna ed Emilia Romagna hanno infatti un MCV di I, con percentuali che vanno da 2,3 a 2,7%. Seguono: Val d’Aosta, Puglia e Abruzzo con un MCV tra I e II, con percentuali da 2,8 a 3,1%; Umbria, Trentino alto Adige, Lazio, Campania con un MCV di II e percentuali da 3,2 a 3,6%; Liguria, Friuli Venezia Giulia e Molise con MCV II e valori dal 3,7 al 4,1%.
Infine Piemonte, Puglia, Toscana e Marche hanno un MCV border tra II e III, con percentuali da 4,2 a 5,2%. In entrambi i sessi il campione aveva una etĂ  tra 35 e 69 anni di etĂ .

Stefania Somaré