Il dott. Norberto Silvestri e l’arch. Luigi Colombo sono stati i consulenti sanitari del progetto per la nuova Terapia Intensiva ad alto bio-contenimento, recentemente realizzata presso l’Ospedale Luigi Sacco di Milano.

«L’emergenza sanitaria è stata un evento imprevedibile», esordisce il dott. Silvestri. «La contenuta capacità delle terapie intensive e l’ancora più ridotta disponibilità di posti letto per i pazienti infettivi, anche nelle strutture specializzate o di più recente costruzione, hanno reso estremamente difficile fronteggiare l’epidemia in modo adeguato, durante il picco registrato fra marzo e aprile 2020».

«In piena l’emergenza», afferma l’arch. Colombo, «siamo stati incaricati dal gruppo dei finanziatori privati di selezionare il team dei professionisti e orientarne l’attività. Il coinvolgimento di Artelia Italia ha permesso di raggiungere gli obiettivi dell’operazione, nei modi e nei tempi previsti, con piena soddisfazione di tutti gli attori interessati».

Progettare i percorsi

Qual è l’aspetto più qualificante del progetto?
«Il progetto nasce dall’opportunità di trasformare un’area sottoutilizzata», spiega il dott. Silvestri, «situata a fianco di reparti per cure intensive già pienamente operativi, con l’obiettivo di creare un reparto intensivo composto esclusivamente da spazi per pazienti in isolamento, ovvero completamente dedicato a soggetti infettivi e utilizzabile anche nel caso di patologie differenti fra loro e in caso di pazienti immunodepressi.

Ci siamo concentrati in particolare sullo studio dei percorsi – che, in generale, sono uno dei punti deboli degli edifici ospedalieri – individuando quelli già utilizzati – per esempio, i collegamenti con il Pronto Soccorso, compresi quelli dedicati ai pazienti Covid-19 – in modo che il nuovo reparto potesse inserirsi in modo efficace e funzionale in una realtà di altissimo livello, scendendo poi nel dettaglio dei flussi interni al nuovo reparto.

Un esempio concreto: il percorso del personale prende origine dagli spogliatoi, distinti per sesso, a valle dei quali medici e infermieri accedono alle rispettive aree operative indossando il normale vestiario di protezione. L’accesso alle singole camere che ospitano i pazienti isolati avviene attraverso filtri sanitari, sufficientemente ampi per consentire al personale di indossare e togliersi i dispositivi di protezione individuale.

Ovviamente si tratta di una dotazione aggiuntiva rispetto alle prescrizioni normative vigenti, che dev’essere opportunamente integrata da protocolli operativi e dall’osservazione di comportamenti adeguati, mirati a prevenire anche la possibilità di infezioni crociata fra i pazienti.
La stessa attenzione è stata prestata ai percorsi dei pazienti e dei materiali. È il caso, per esempio, dell’emergency room, che ha lo scopo di evitare lo spostamento dei pazienti al di fuori del reparto qualora si rendesse necessario effettuare un intervento mininvasivo».

Obiettivo flessibilità

Quali sono le principali caratteristiche della nuova Terapia intensiva ad alto bio-contenimento?
«Si tratta di un reparto che risponde a tutti i requisiti dell’accreditamento – approfondisce l’arch. Colombo. Ogni camera singola è separata dal resto del reparto da un locale filtro ed è equipaggiata con un evoluto impianto di ventilazione. Quest’ultimo può operare in sotto e sovra-pressione, in modo indipendente da camera a camera e da filtro a filtro, dando perciò la possibilità di ospitare contemporaneamente pazienti immunodepressi e infettivi.
Questa scelta tecnica ha lo scopo di assicurare la massima flessibilità d’uso del nuovo reparto, a seconda delle effettive necessità. In pratica abbiamo esteso a tutti i locali di degenza i requisiti strutturali e impiantistici necessari per la cura dei pazienti infettivi, creando un reparto in grado di funzionare autonomamente come anche a sostegno delle altre terapie intensive.

Durante la progettazione sono state considerate tutte le variabili significative, dalle caratteristiche dell’area d’intervento alle relazioni fra spazi e attività, dalle dotazioni impiantistiche e tecnologiche alle risorse umane e tecniche necessarie a permettere il funzionamento e la manutenzione del nuovo reparto, fino alle risorse economiche e alle tempistiche a disposizione.

Alla complessità del progetto si sono sommate le problematiche connesse all’emergenza sanitaria in atto durante l’intera operazione, i tempi estremamente contenuti per portarla a termine e le intuibili difficoltà nel reperimento di prodotti e tecnologie.
Come in ogni progetto sono stati operati dei compromessi, ma ogni mediazione è sempre stata indirizzata verso il migliore risultato raggiungibile, sia sotto il profilo del rapporto costi-benefici, sia per quanto attiene la realizzabilità e la gestione».

Modello e metodo

Quali sono state le principali criticità dell’edilizia ospedaliera italiana emerse durante l’emergenza?
«Le criticità emerse erano già insite nel sistema – riprende il dott. Silvestri. L’emergenza le ha semplicemente portate alla luce, ma bisogna saper distinguere. In larga parte le criticità non sono state di tipo strutturale, ma di tipo organizzativo e gestionale: mi riferisco, ad esempio, alla scarsità di dispositivi di protezione individuale e alla quasi completa assenza di efficienti strutture sanitarie decentrate, in grado di operare con efficacia sul territorio.
Ciò nonostante, i nostri ospedali spesso risalgono a decine di anni fa e, anche nel caso di strutture recenti, durante la fase più critica dell’epidemia hanno dimostrato di poter fronteggiare una situazione d’emergenza solo attraverso la sospensione di tutte le altre attività. Questo, ovviamente, non è accettabile».

«Gli ospedali costruiti negli ultimi anni – conferma l’arch. Colombo – sono tutti più o meno ispirati a un modello che, sottoposto al primo “stress test”, si è dimostrato non appropriato. Nella progettazione ospedaliera, personalmente ritengo che bisognerebbe spostare l’attenzione dal modello al metodo.
Mi spiego: in quarant’anni di esperienza non mi è mai capitato di trovare un vecchio ospedale che valesse la pena mantenere in attività con la medesima destinazione d’uso. Ho invece incontrato moltissimi casi di nuovi ospedali che, prima ancora di iniziare la progettazione, erano già gravati da vincoli e limitazioni di qualsiasi genere, che nulla avevano a che fare con la gestione efficiente dell’attività ospedaliera.

Dobbiamo perciò orientare il processo progettuale affinché quanto viene disegnato trovi una stretta correlazione con gli aspetti organizzativi e gestionali, rendendo l’ospedale una struttura edificio semplice da gestire e, se necessario, semplice da riorganizzare, perciò flessibile in relazione all’evoluzione degli aspetti gestionali ed espandibile quando serve».

Contenuto e contenitore

Quali indicazioni si possono trarre dal progetto della Terapia intensiva ad alto bio-contenimento, nei confronti dei problemi posti dall’epidemia alle strutture ospedaliere italiane?
«Per gli ospedali esistenti c’è poco da fare – continua il dott. Silvestri. Durante l’emergenza è già stato fatto il possibile e, nel caso di una seconda “ondata”, non saremo impreparati. Dobbiamo piuttosto spostare l’attenzione sugli ospedali non ancora realizzati, affinché siano progettati facendo tesoro dell’esperienza compiuta, in modo da poter fronteggiare al meglio tutti quegli eventi catastrofici che potrebbero verificarsi in futuro.

Dobbiamo pensare a nuovi ospedali “elastici” o “modulari”, in grado di incrementare la loro capacità di accogliere molti più pazienti rispetto alla dotazione nominale, già ben organizzati dal punto di vista dei percorsi e dotati di magazzini dedicati alle scorte di materiali, dispositivi e apparecchiature pronte all’uso in caso d’emergenza».

«In sostanza – chiarisce l’arch. Colombo – non disponiamo ancora di tutti gli elementi necessari per dare una risposta progettuale corretta e sostenibile ai molti problemi posti dall’epidemia, ma un fatto è certo: l’ospedale da solo non può fare la differenza, soprattutto se è difficile da gestire.

Un ospedale concepito in modo flessibile – nel quale, per esempio, sia possibile riconfigurare i percorsi in base alle necessità – è già di per sé una struttura che si presta a essere gestita al meglio, in condizioni normali come nel caso di un’emergenza.

Ma per ottenere questi risultati è quanto mai necessario fare sistema, rimettendo al centro dei processi decisionali e progettuali le competenze. Questo è sempre stato ed è tutt’ora il tema principale della progettazione ospedaliera: prima di pensare al contenitore, dobbiamo pensare a quale sarà il contenuto».

Giuseppe La Franca, architetto